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Dieci inverni


Regia:Mieli Valerio

Cast e credits:
Sceneggiatura: Isabella Aguilar, Davide Lantieri, Valerio Mieli; fotografia: Marco Onorato; musiche: Francesco De Luca, Alessandro Forti; montaggio: Luigi Mearelli; scenografia: Mauro Vanzati; costumi: Andrea Cavalletto; interpreti: Isabella Ragonese (Camilla), Michele Riondino (Silvestro), Liuba Zaizieva (Liuba), Glen Blackhall (Simone), Sergei Zhigunov (Fjodor), Sergei Nikonenko (Prof. Korsakov), Alice Torriani (Clara), Vinicio Capossela; produzione: Elisabetta Bruscolini per Csc Production-Rai Cinema-Uliana Kovaleva per United Film Company; distribuzione: Bolero Films; origine: Italia-Russia, 2009; durata: 99’.

Trama:Dieci anni nelle esistenze di Camilla e Silvestro, conosciutisi all'età di 18 anni su un vaporetto nella laguna veneziana, nell'inverno del 1999, e da quel momento ciclicamente amici, nemici, conoscenti, innamorati, vicini e distanti. Un'avventura vissuta tra Venezia e Mosca, prologo di una storia d'amore tra due persone che non si sono mai perse del tutto ma che nel frattempo sono cresciute sperimentando il difficile e splendido ingresso nell'età adulta.

Critica (1):Camilla e Silvestro si incontrano su un vaporetto veneziano l'inverno del 1999. Studenti appena iscritti alla facoltà, lei vivrà in una casettina isolata, lui con altri studenti, lei vuole studiare russo, lui chissà. Lei timida e severa dietro agli occhiali, una vecchia lampada in mano. Lui fintamente disinvolto, fin troppo sicuro di sé con l'alberello regalo per la zia. La segue, chiede ospitalità. Dormiranno insieme nel letto della casa gelida. All'alba lui va via, lei quando lo incontra accenna un sorriso, lui le gira le spalle. Voilà. «Mi facevi paura» le dirà il ragazzo tanto tempo dopo ...
Già perché nel corso degli inverni, per dieci anni, i due continuano a incrociare i loro passi, sempre a distanza però. Con l'intimità che arriva negli accidenti casuali della vita, una punta di sofferenza lei di fronte alle fidanzate di lui e viceversa. La confidenza conquistata nelle mail, Camilla (Isabella Aragonese) si è trasferita in Russia, Silvestro (Riondino) va a cercarla – la famosa sorpresa sempre da evitare ... – e lei infatti si è messa col «bacucco», un regista teatrale con dolce vita all'Amleto e pancetta stempiata ma fascino del «maturo» intelletto. Così tra lacrime, malintesi, ripicche, sorrisi, tenerezza per Dieci inverni, come si chiama l'esordio di Valerio Mieli nato come saggio di regia al centro sperimentale, che il regista ha scritto (finalista al Premio Solinas 2007) insieme a Isabella Aguilar e Davide Lantieri ( supervisione di Federica Pontremoli e Andrei Selvanov).
Una storia d'amore e di formazione, il passaggio dai vent'anni alla cosiddetta età adulta che chissà perché deve coincidere con «scelte» importanti e definitive – sentimentali, lavorative e via dicendo. A dire il vero non vale per i due personaggi, lei una catastrofe amorosa dopo l'altra e una figlia, lui solo storielle qua e là. Mieli però nel continuo sfiorarsi dei protagonisti lascia le traiettorie del vissuto fuoricampo: gli inverni sono sguardi catturati qua e là, incontri «casuali» complice il labirinto delle calli veneziane in cui si muovono, campi, mercati, ponti. Non è importante cosa c'è stato prima e dopo quell'incontro (anche se a volte ci sono risvolti narrativi un po' repentini), conta l'insieme dei gesti mancati, l'attrazione che resta lì negli anni e che i due rifiutano, forse per quella vecchia paura del primo incontro che continua a tenerli lontano. Nemmeno un bacio, «siamo amici no?» ...
Ed è bravo il regista a disegnarla questa bizzarra traiettoria del sentimento, pure se non manca l'ammiccamento che è persino facile cercare: a chi non sarà capitato di trovarsi accanto qualcuno con la consapevolezza che era la persona amata solo dopo averla perduta? L'amico degli anni, di ogni giorno, quello con cui non hai mai avuto un imbarazzo e che non hai baciato mai? E pure se finisce con un «happy end»: sarà davvero felice poi?
Però non è facile dare un'immagine a quanto è impalpabile, dunque se è vero che il film gioca su territori «facili», è vero anche il contrario, cioè che mantenere la leggerezza del racconto, e della «commedia sentimentale» con la banalità in agguato è complicato. Anche perché non ci sono «eroi», nessuno ha torto o ragione. I due ragazzi sono a tratti antipatici, sgradevoli, confusi. Con la naturalezza, a volte surreale, che appartiene alla vita.
Cristina Piccino, Il Manifesto, 12/12/2009

Critica (2):Potrebbero essere i personaggi tipici di un romanzo di formazione o i protagonisti di una piéce teatrale in cui il tempo (dieci anni) e lo spazio (Venezia, Mosca) scorrono sullo sfondo. Dieci inverni, realizzato dall'esordiente Valerio Mieli, ex allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia, non dà l'idea di essere un soggetto originale. Anzi, si potrebbe ipoteticamente immaginare come la trasposizione moderna di un testo della letteratura dell'Ottocento. Forse è la presenza di quelle sfumature tra bianco e grigio della fotografia di Onorato (abituale
collaboratore di Garrone), dove sembrano espandersi nell'inquadratura la nebbia di Venezia e la neve della Russia, a creare questo effetto di provvisorio stordimento, di depistaggio dalla normalità, quasi dalla banalità di una storia così ordinaria. Si sente uno strano freddo dentro Dieci inverni. Un senso di glacialità che tiene i due protagonisti continuamente sospesi, come se stessero galleggiando. Si avvicinano, si allontanano, sono complici ma arrivano anche a odiarsi. Camilla e Silvestro si conoscono nell'inverno del 1999 su un vaporetto. Già il loro primo incontro è rivelatore di quel continuo malinteso che caratterizzerà il loro rapporto nell'arco di dieci anni. Da una parte ci sono gli sguardi che a volte li portano a tradirsi, a scoprirsi anche oltre le loro intenzioni. Dall'altro ci sono le parole e i gesti che cercano di razionalizzare ciò che provano, e quindi di nascondere i propri sentimenti. In sostanza, Dieci inverni sembra costruirsi proprio su questo contrasto, su questo gioco di intese mancate. Camilla, all'inizio, cerca di avvicinarsi a Silvestro quando lui è con i suoi amici e viene ignorata. Oppure, dopo una corrispondenza via mail, il ragazzo va a Mosca a trovarla, ma scopre che è legata con un altro uomo. Il film diretto da Mieli è quindi pieno di questi piccoli, infiniti quadri i quali, ovviamente, fanno presagire che ce ne siano molti altri non mostrati, come sommersi nelle ellissi temporali. Il tono può apparire uniforme ma, al di là della storia che viene portata sullo schermo, Dieci inverni possiede comunque un'attraente monotonia, rivitalizzata anche da alcuni squarci improvvisi di affascinante decadenza (le scene con i due protagonisti nella loro casa malmessa) o da nomadismi che appaiono infiniti, come la passeggiata di Camilla con il suo ex amante russo nel giorno in cui ha discusso la tesi. In questo senso lo spazio di Venezia (e, in misura minore, anche quello di Mosca) diventa decisivo per far uscire il film da una sua apparente teatralità. I percorsi di Camilla e Silvestro appaiono, infatti, simili a quelli di Rosalba in Pane e tulipani, e quel luogo diventa il rifugio ideale per potersi nascondere. I due protagonisti
di Dieci inverni lo fanno all'infinito, ma Mieli ha comunque l'abilità di mantenere vivi i due personaggi, sospesi tra attrazione e rifiuto, tra desiderio e sconforto.
Sicuramente, in una struttura di questo genere diventa decisivo il lavoro sugli attori. Michele Riondino (che ha messo in secondo piano Germano in Il passato è una terra straniera) e Isabella Ragonese (rivelatasi con Tutta la vita davanti) sono sicuramente tra quelli italiani più interessanti della nuova generazione. Non sono decisivi, ma comunque indispensabili alla riuscita del film; e chissà se con altri al loro posto i risultati sarebbero stati gli stessi. I due interpreti sembrano infatti guardare ai modelli di Dustin Hoffman e Mia Farrow in John e Mary di Yates per quanto riguarda la tecnica, ma anche a Fabrizio Gifuni e Lorenza Indovina di Un amore di Tavarelli per l'istinto. Si vede quindi un complesso lavoro preparatorio sui personaggi, dal quale emerge anche il loro vissuto. Per certi aspetti, Dieci inverni possiede anche dei lampi del miglior film di D'Alatri, Casomai, nel modo in cui ogni ricerca di stabilità viene continuamente interrotta, e come il destino, alla fine, rischia di sfuggire dalle mani dei due personaggi.
Certo, a volte sono presenti delle forzature che rompono provvisoriamente l'atmosfera che si è creata (capace di sopravvivere anche alla storia stessa), come è evidente nel modo in cui viene descritta la depressione di Camilla e il suo tentativo di sedurre forzatamente Silvestro, momento con un tono che non appare nelle corde del film. Inoltre, forse, l’“ultimo inverno” dissolve in modo improvviso quell'attesa su cui si è alimentato tutto il film. Sarebbe stato forse meglio immaginarselo, il finale, piuttosto che vederlo. Ciò, comunque, non priva quest'opera di quel suo respiro sempre sospeso, a volte irreale (la festa in cui compare anche Vinicio Capossela), che ricorda a tratti quello dell'esordio di Mazzacurati con Notte italiana. Certo, non è un “nuovo cinema italiano”. Ma è un cinema discreto, non esibizionista, più che dignitoso. Ed è già molto di più di qualcosa.
Simone Emiliani, Cineforum n. 491, 1-2/2010

Critica (3):Buon debutto italiano con un film pensato, realizzato con cura, ben interpretato, studiato nella combinazione produttiva: storia d'amore originale e intelligente, Dieci inverni di Valerio Mieli è del tutto controcorrente e riuscito. Ragazza e ragazzo si incontrano sul vaporetto a Venezia nell'inverno 1999, si conoscono, si frequentano. Diventano amici, e soltanto dieci inverni dopo si rendono conto che è amore quel sentimento che li lega: simpatia, affetto, complicità, ironia leggera, piacere di ridere e di fare le cose insieme, protezione, desiderio, analoghi interessi, analogo atteggiamento verso la vita. Fossimo in un tempo romantico, si potrebbe forse pensare che l'assenza di una grande e forte passione d'amore sminuisca la coppia, che in un simile legame ci sia qualcosa di manchevole e malinconico. Per i fragili tempi nostri, il tipo d'amore, sfumato di solidarietà e di divertimento, può essere l'ideale. Ambientato tra i grigi invernali di Venezia e di Mosca (per ragioni di studio), naturalmente il film è imperfetto (soggetto poco nutrito, sceneggiatura a volte ripetitiva)
ma efficace, dotato di fascino, interpretato con naturalezza a bravura da Isabella Ragonese e Michele Riondino, capace di immaginare due persone giovani senza stupidità né pedanteria, senza melensaggine. Forse un poco troppo sentimentale, la macchina da presa si muove nelle due città nebbiose, sui protagonisti incappottati e infagottati, con una dolcezza particolare. Sembra di capire, anche se lo stile attento è convenzionale, che l'autore ami davvero il lavoro che ha fatto, che ci tenga e non lo consideri un veicolo per altri risultati: questo ha un'importanza speciale in un cinema attuale standard, generalmente realizzato con distrazione e freddezza, per motivi mercantili e/o vanesii, come un altro lavoro qualsiasi, senza cuore.
Lietta Tornabuoni, L’Espresso, 22/12/2009

Critica (4):
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