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Oci Ciornie - Oci Ciornie


Regia:Mikhalkov Nikita

Cast e credits:
Soggetto: basato sui racconti di Anton Cechov; sceneggiatura: Alexander Adabakhian, Nikita Mikhalkov, Suso Cecchi D'Amico; fotografia: Franco Di Giacomo; musica: Francis Lai; montaggio: Enzo Meniconi; scenografia: Mario Garbuglia, Alexander Adabakhian; interpreti: Marcello Mastroianni (Romano), Silvana Mangano (Elisa), Marthe Keller (Tina), Elena Sofonova (Anna), Vsevolod Larionov (Pavel), Innokenti Smoktunovsky (il governatore), Pina Cei (la madre di Elisa), Dimitri Zolothukin (Konstantin), Roberto Herlitzka, Paolo Baroni, Oleg Tabakov, Yuri Bogatiriov; produzione: Silvia D'Amico Bendicò e Carlo Cucchi, per Excelsior Film-TV/Rai Uno; origine: Italia, 1987; durata: 117'.

Trama:Su un piroscafo, agli inizi del 1900, due uomini di una certa età – Romano, italiano e Pavel, russo – si incontrano al tavolo del ristorante. Fra i due si crea un rapporto di confidenza e Romano comincia a raccontare la sua storia: il folle amore di una notte con una giovane russa; il difficile rapporto con la moglie, amata in gioventù, ma poi troppo presa dagli affari per occuparsi della loro vita di coppia...

Critica (1):La nave va, su di un mare di parole. La superficie del mare è tranquilla, le onde stanno in profondità, correnti fredde di memorie reali, di memorie inventate. Romano, italiano cinquantenne, racconta ad un interlocutore casuale del suo amore inclassificabile, non catalogabile, per una affascinante donna russa, indifesa e irraggiungibile. Il racconto dura una notte e una vita, si dilata e si comprime, si coagula intorno a certi nuclei forti che hanno Cechov come ispirazione e molteplici punti di arrivo. La nave va da una cinematografia planetaria, epica e lirica insieme come quella sovietica ad un'altra, più dichiarata ed effimera, disperatamente legata ad un passato irrevocabile, quella italiana. È qui, nell'Italia dove Romano non è il solo né l'unico ad inventarsi un passato bugiardo e reale, dove i produttori sono piccoli padri-padroni umorali e geniali, qualche volta, che Mikhalkov ha deciso di girare il suo primo film europeo. La nave va con il suo carico felliniano (fellinista), ma c'è qualcosa di viscontiano nello stile e nell'apparato. Il percorso è contrario a quello del regista: la prima parte è molto italiana (così come Mikhalkov interpreta questo termine, con violenta ironia) la seconda profondamente russa. Come se Mikhalkov avesse voluto anteporre l'arrivo e garantirsi un ritorno (più che umano, stilistico). La nave va, nell'immobilità di una storia più pensata che vissuta, cechovianamente scandita da partenze reali, da partenze mancate. Vincitore morale di Cannes, Oci Ciornie è un film irregolare, bellissimo ma imperfetto. Travolge di Mikhalkov, la forza inventiva, la facilità con la quale muove un attore e le masse, la apparente naturalezza con la quale racconta per immagini. ma stupisce, di lui, la assoluta spontaneità con la quale sa transitare dalle atmosfere, dai climi, dalle latitudini più diverse senza fratture, senza violenze.
Oci Ciornie non è il capolavoro di Mikhalkov; il suo vero capolavoro consiste nell'averlo realizzato rimanendo fedele a se stesso e alle due cinematografie che lo hanno ispirato. Fusione quasi necessaria, ci appare, Oci Ciornie, tra due mondi così diversi che trovano però, frequentandosi, numerosi elementi di contiguità e di continuità. Se per Tarkovsky Nostalghia era un film di rimpianto per la bellezza perduta, per un'arte che fa mancare il fiato, per una terra che non permette lontananze senza sradicamento, per Mikhalkov, più giovane, più agile, più divertito e compiaciuto ma non meno profondo, Oci Ciornie è anche l'occasione di rimpianto per un certo cinema italiano e Silvana Mangano tra i protagonisti è una cifra interpretativa. La continuità tra il cinema europeo futuro di un regista prodigioso e amante dei prodigi e un cinema da rivitalizzare come il nostro si ritrova nel viso, nei gesti, nel portamento di Marcello Mastroianni, bugiardo e debole Romano, diventato cameriere dopo i lussi consentiti da un matrimonio borghese. Capace di gesti generosi ma non gratuiti, spettacolari ma mai pagabili con i contanti del cuore, Romano ha amato la donna russa di un amore impraticabile, che lei alla fine comprende e decifra come totale ma non esclusivo.
Le lacrime di Romano possono essere sincere e illusorie, drammatcihe e drammaturgiche, trasparenti e opache. Dietro di lui c'è sempre in agguato il senso di una rappresentazione della vita che sostituisce la vita. Lei è diversa, magari misteriosa, ma capace di slanci sentiti, non appariscente, ma destinata ad imporsi, a lasciare una traccia non cancellabile. Elena Sofonova dà alla signora con il cagnolino (uno dei quattro racconti da cui Mikhalkov è partito si intitola proprio così) una indimenticabile interpretazione. Film con più anime, Oci Ciornie suscita l'applauso nella scena delle terme e incanta nella lunga sequenza del ritorno di Marcello alla stazione, accompagnato su di un carretto trascinato da un cavallo stanco. Nella nebbia, arrivano gli zingari. Il canto invade la sterminata pianura, colora la nebbia, stempera la tristezza. Dissolvenza incrociata di sensazioni, voci e colori, questo momento di cinema straordinario può valere una stagione. Come per Romano, per Mikhalkov la rappresentazione è un fatto naturale, così spontanea da fare persino rabbia. Ma è una capacità di mettere in scena la vita che non la blocca, che non la sostituisce, anzi la aiuta a rivelarsi ancora.
Paolo Taggi, Segnocinema, n. 30 novembre 1987

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