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Fucking åmål - Mostrami l'amore - Fever pitch


Regia:Moodysson Lukas

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Kukas Moodysson; scenografia: Heidi Saikkonen, Lina Strand; fotografia: Ulf Brantas; montaggio: Bernhard Winkler, Michal Leszczylowski; costumi: Maria Swenson; interpreti: Rebecca Liljeberg (Agnes Ahlberg), Alexandra Dahlstrom (Elin), Mathias Rust (Johan Hulth), Erica Carlson (Jessica), Stefan Hörberg (Markus), Josefin Nyberg (Viktoria); produzione: Sveriges Television (SVT), Memfis Film & Television, Trollywood AB, SVT Drama, Göteborg, Film i Väst, Zentropa Productions; distribuzione: Keyfilms; origine: Svezia, 1998; durata: 89’.

Trama:La vita scorre tranquilla ad Amal almeno fino a quando Elin va alla festa sbagliata e la sua vita prende una nuova direzione. Una storia sulla gioia e il dolore di essere innamorati.

Critica (1):Potremmo dire che Fuckin Åmål è un film di lesbiche, per pedofili. Suona forte? E perchè? Non abbiamo il diritto di essere quello che ci pare? Chi può arrogarsi la pretesa di intervenire nella nostra sfera sessuale? Beh, questo film se la arroga. Fuckin Åmål corteggia, analizza, scandaglia e poi racconta senza mezzi termini le vicende sentimentali di due giovani adolescenti della provincia svedese alla prese con l’impossibilità di dichiarare la propria omosessualità agli altri (la brunetta Agnes), ma soprattutto a se stessi (la bionda Elin). È come un giro di giostra fatto a trent’anni, che ti fa tornare quindicenne e ti fa dire ridendo quanto eravamo stupidi, eppure così capaci di eroiche incoscienze “rivoluzionarie”. Le due protagoniste sono così belle che forse l’unico appunto che si può fare al regista – se proprio bisogna, per esercizio di critica – è quello di non darci scampo. Agnes ed Elin non si possono non amare. Agnes è dolce di una dolcezza sofferta eppure perfettamente nascosta dietro il sorriso e la grazia di un fiore che sta per sbocciare e di cui è già possibile immaginare odore e colori. Ed è bellissima nei suoi quindici anni. Elin è altrettanto bella, forse un po’ volgare. Ma si difende con le armi di quella seduzione inconsapevole e ingenua che nasce dall’insofferenza di sentirsi adulta e annoiata in un mondo di bambini, in cui tutti pensano che sia ‘un’esperta’ divoratrice di uomini e invece non ha mai fatto l’amore. Il regista ha appena trenta anni ed è dal 1995 che dirige lungometraggi. Esordire a venticinque anni nel cinema significa “prodigio” (in Italia un regista esordiente mediamente ha più di trent’anni). Dico questo per due motivi. Innanzitutto questa “giovane disinvoltura” è forse l’ingrediente che funziona di più nel film, gli inietta una dose massiccia di ritmo e lo asciuga dei tempi morti che sono la cifra comune di qualunque regista al suo esordio (“la lentezza fa tanto autorialità’” si pensa troppo spesso qui da noi). E poi c’è da star sicuri che un film così in Italia sarebbe stato indifferente alla critica “seria”, come fosse un Gabriele Muccino natalizio. Ma Fuckin Åmål viene dalla Svezia, un paese la cui cinematografia ultimamente frequenta poco le sale italiane. E perciò tant’è, vai col capolavoro, come da qualche parte è stato detto. Non lo è, a dirla tutta, un capolavoro. Ma sa raccontare quello che gli interessa come vuole, scivolando via senza che te ne accorgi e sollevandoti su e giù con molta abilità per i binari delle emozioni stabilite. Trovatemelo un italiano capace di raccontare così il lesbismo adolescenziale (o semplicemente la vita giovanile di provincia) senza infilarci forzosamente riflessioni etiche o religiose quasi sempre fuori luogo. È la dolcezza, lo ripeto, la chiave dello sguardo di Moodysson. Solo la dolcezza, nonostante l’argomento. Per questo, credo, sarebbe piaciuto a Nabokov. Di certo è piaciuto alla commissione degli Academy Award, che lo ha nominato nella categoria “Miglior film straniero”.
Federico Greco, 35mm.it

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Lukas Moodysson
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