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Vivere in fuga - Running on empty


Regia:Lumet Sidney

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Naomi Foner; fotografia: Gerry Fisher; musica: Tony Mottola; montaggio: Andrew Mondshein; scenografia: Philip Rosenberg; costumi: Anna Hill Johnstone; suono: Mark Rathaus (superv.); interpreti: Christine Lahti (Annie Pope), River Phoenix (Danny Pope), Judd Hirsch (Arthur Pope), Jonas Abry (Harry Pope), Martha Plimpton (Lorna Phillips), Ed Crowley (Mr. Phillips), L.M. Kit Carson (Gus Winant), Steven Hill (Mr. Patterson), Augusta Dabney (Abigail Patterson), David Margulies (dr. Jonah Reiff); produzione: Amy Robinson e Griffin Dunne, per Lorimar Film Entertainment/Double Play prod.; distribuzione: WARNER BROS; origine: U.S.A., 1988; durata: 116 min.

Trama:
Nel 1971 una coppia di estrema sinistra fa un attentato a un laboratorio di ricerche sul napalm. Un guardiano resta accecato. Sedici anni dopo, ricercati e con due figli, i due vivono ancora in clandestinità cambiando ogni sei mesi nome, città, auto, colore dei capelli.

Critica (1):Un'acuta e articolata riflessione sulla generazione "radicale" del '68 che a tutt'oggi non ha saputo o non ha potuto rientrare nei ranghi della vita ordinaria. Il tutto riportato all'interno di una cellula familiare. Con quella serenità politica, quelle qualità morali, quella vena intimista, quella sensibilità psicologica che sono prerogativa dei film più sinceri di Sidney Lumet: vale a dire quando il prestigioso e veterano regista, classe 1924, non si limita a prestare il suo scaltro mestiere a prodotti leggeri (si veda il lavoro più recente Sono affari di famiglia) bensì affronta i grandi temi umani e civili che gli sono congeniali.
Come nel bellissimo Daniel (1983), sul caso dei coniugi Rosenberg, anche in Vivere in fuga ("Running on Empty") s'intrecciano politica e famiglia. Arthur e Annie Pope, genitori di due figli di 17 e 10 anni, nell'ormai lontano 1971 avevano fatto parte della sinistra pacifista americana ostile alla guerra del Vietnam e si macchiarono di un attentato a una fabbrica di napalm che, contro i loro piani, causò gravi ferite ad un guardiano.
Da allora sono trascorsi 15 anni, ma la coppia, braccata dall'Fbi, è ancora costretta alla clandestinità trascinando con sè anche i figli. Per sfuggire agli inseguitori, in media ogni sei mesi non possono fare altro che trasferirsi da un paese all'altro degli States, cambiando domicilio, identità e persino l'aspetto fisico. Tale condizione di precarietà, angosciosa per i genitori, è accettata come una divertente avventura dal bambino più piccolo, ma non così dall'adolescente, Danny, il quale, benchè legato da forte affetto a papà e mamma, avverte il peso di una vita senza radici. Con la sua esigenza di stabilità, avendo conosciuto l'amore di una coetanea ed emergendo in lui un talento musicale che desidera sviluppare, è Danny che diventa l'asse portante del film e l'emblema della nuova generazione con diversi ma non opposti valori.
Quando gli agenti federali stanno per rintracciare di nuovo i fuggitivi, sarà Danny a prevenire i genitori del pericolo, ma non si unirà e loro nell'ennesima fuga. Il padre stesso capirà.
Il discorso di Lumet, con quel tento che è dovuto ella sceneggiature originale di Noemi Foner, evita accortamente sia le forzature melodrammatiche sia le semplificazioni manichee e cerca di sondare - riuscendoci mediante sottili analisi dei sentimenti individuali - le ragioni di tutti; quelle del figlio come quelle dei genitori tenuti e sopportare il pesante fardello delle scelte di un lontano passato mentre non aspirano che e une vita tranquilla.
Le sapiente tessitura del racconto contiene momenti di particolare valore emblematico, come l'incontro e colloquio di Annie con il padre, (approccio di due generazioni ancor più distaccate), come l'episodio delle morte del compagno irriducibile rivoluzionario (motivo della definitiva presa di coscienze della coppie e favore della libertà del figlio) e come le sequenze del tenero rapporto di Danny con la ragazza.
Queste volte Lumet non ha fatto ricorso a grandi star, me a seri professionisti capaci di rendere al massimo di concretezze il malessere dei personaggi. Però une lode particolare va al giovane River Phoenix (già apprezzato in Stand by Me) con le sue recitazione mantenuta su mezzi toni di straordinaria efficacia emotive.
Leonardo Autera, Il Corriere della Sera, 27 febbraio 1990.

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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