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Prénom Carmen - Prènom Carmen


Regia:Godard Jean-Luc

Cast e credits:
Soggetto
: Prosper Merimee, Anne Marie Mieville, dal romanzo "Carmen" di Merimee; sceneggiatura: Anne Marie Mieville; fotografia: Raoul Coutard; montaggio: Suzanne Lang-Willar; suono: François Musy; musica: Beethoven, quartetti 9, 10, 14, 15 e 16. La canzone Ruby’s Arms è eseguita da Tom Waits; interpreti: Maruschka Detmers (Carmen), Jacques Bonaffe (Joseph), Hippolyte Girardot (Fred), Jean-Luc Godard (zio Jean), Jean-Pierre Mocky (il malato), Miriam Roussel (Claire), Christophe Odent (il capo); produzione: Sara Film, JIG Film, A2; origine: Francia-Svizzera, 1983; durata: 84'.

Trama:Carmen, una giovane che frequenta un gruppo di terroristi sta organizzando una rapina ad una banca. Chiede aiuto ad uno zio ricoverato in una clinica per malattie nervose (lo stesso Jean-Luc Godard), che vaneggia su una sceneggiatura dopo l'altra essendo un regista cinematografico. Lo zio, che per Carmen sembra aver sempre avuto una tenerezza particolare, le concede di poter utilizzare un appartamento vuoto in riva al mare e in più promette di creare un diversivo con la troupe durante la rapina. ma il piano non funziona...

Critica (1):Prénom Carmen, letteralmente prima del nome di Carmen, un archetipo che nasconde una realtà a finzione simbolica, pré-nom, in grado di individuare il Mito e di mettere a nudo un meccanismo di relazioni connotative. Musica e racconto (Bizet e Mèrimèe) hanno fornito uno schema di funzionamento in cui i rapporti di amore, di dolore e di morte si consumano nella continua trasgressione del potere e della sessualità. Godard ha manipolato l’intreccio ha usato la musica dei quartetti beethoveniani come deterrente per infrangere lo schema mantenendo inalterato i rapporti di amore, di dolore e di morte.
Come in Pierrot le fou anche in Prénom Carmen il colore entra prepotentemente dentro la storia, il paesaggio scopre sottilissimi legami, negli interstizi di luce diviene il respiro del mare, che scandisce il ritmo narrativo, l’impenetrabile movimento, che spezza l’emozione improvvisa. Come in Pierrot le fou, il flusso mortale occupa il campo simbolico e riempie di sè il paradigma costruito sulla storia di Carmen e Joseph e della loro follia distruttrice. Godard smonta e rimonta l’archetipo per meglio enunciare quel senso che il testo cela nella sua allusività, il mistero perverso che travolge i due amanti nella pulsione dei sensi, il respiro, l’avventura e l’attesa, l’improvviso stordimento dei due e l’impossibile parlare /parlare per nascondere la tensione alla vista di quel pube, che si offre naturalmente, sono altrettante “entrate” in questa circolazione perversa attorno all’oggetto del desiderio il dolore, la sofferenza, si avverte negli intervalli, in una zona metareale sottolineata dagli slarghi della musica e dallo scontro tra un modo classico di fare cinema (narrativo) e un modo moderno (ellittico). Il codice dell’ironia, nella funzione del film nel film, e del personaggio di Godard interpretato dallo stesso Godard, e dei rituali dei pranzi non consumati, non attenua questo senso doloroso del tragico, lo spettro del destino già realizzato in un itinerario di morte. Lo sguardo si posa sugli oggetti e sui corpi senza mai disperdere la tensione della libido in una visione onirica del simbolico; il senso disperato di questo amore ineluttabile insegue il tracciato funebre di un canto appassionato che Godard avverte con la presenza in campo dei musicisti che eseguono i quartetti di Beethoven (nn. 9, 10, 14, 15, 16) divaricando il significato dell’attesa e del dolore, l’incontro con Carmen durante una rapina (e mai una rapina ha avuto una proposta di finzione così determinata e assoluta) sconvolge il poliziotto Joseph e lo chiude in una solitudine disperata. Il loro amore entra nel regno della favola ma ha breve respiro; il dolore di Joseph occupa lo spazio dell’assenza, nella sopraggiunta imprevista indifferenza di lei. Godard accentua il senso pànico della musica per accedere ai motivi della disperazione, inserisce la visione del mare nelle crepe di una rappresentazione che agisce sulle fasce segrete dell’inconscio. La finzione invade i confini del sogno, cinema e realtà confondono i segnali (il film da farsi e la realtà filmata) in una sorta di avventura ad occhi aperti dove la fuga visionaria oggettivizza l’emozione delle scene d’amore. Godard filma la fisicità di uno stato d’animo attraverso la costruzione dell’immagine e definisce in un gesto rapporti complessi. Così la rabbia e l’impotenza di quel gesto onanista sotto la doccia, crudele requiem, di una sfinitezza dei sensi, dopo Sauve qui peut la vie esemplare oggettivazione della bassa ritualità erotica e Passion, luminosa trasfigurazione della fascinazione del cinema, Prènom Carmen è tra le punte più alte raggiunte da Godard, un’opera intensa nella sua materialità filmica dove il significante diventa soggetto di se stesso in una riscrittura di un testo, che sa essere allo stesso tempo geometrica e appassionante.
Edoardo Bruno, Filmcritica n. 337 sett. 1983

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Jean-Luc Godard
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