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Valle del peccato (La) - Vale Abraao


Regia:De Oliveira Manoel

Cast e credits:
Sceneggiatura: Manoel de Oliveira, dal romanzo omonimo di Agustina Bessa Luis; fotografia: Mario Barroso; montaggio: Manoel de Oliveira, Valérie Loiseleux; scenografia: Maria José Branco; costumi: Isabel Branco; musica: Beethoven, Chopin, Debussy, Fauré, Schumann, Coleman Hawkins; interpreti: Leonor Silveira (Ema), Cecile Sanz de Alba (Ema giovane), Luis Miguel Cintra (Carlos de Paiva), Rui de Carvalho (Paulino Cardeano); produzione: Paulo Branco per Madragoa Filmes (Portogallo), Gemini Films (Francia), Light Night Production (Svizzera); distribuzione: Mikado; durata: 187; origine: Portogallo, 1993.

Trama:La valle del Douro, in Portogallo. Qui vive Ema, che ha sposato, senza amore, un medico. È leggermente claudicante, ma fin da bambina ha scoperto il suo enorme potere di seduzione sugli uomini. Ora, con due figlie, una ricca proprietà, una bella casa, la larga agiatezza, molti amici intelletuali, cerca, come la Emma Bovary di Gustave Flaubert, un amante, poi un altro, poi un altro ancora.L'ultra ottuagenario De Oliveira, con ironia mista a comprensione, compone il ritratto affascinante di una "peccatrice" e dell'ambiente (naturale e umano) in cui essa vive. 

Critica (1):Quella in cui ci trasporta Manoel de Oliveira non è la valle del peccato, come dice il fasullo e falsamente insinuante titolo italiano. È la valle di Abramo, come dice il titolo originale, troppo colto, anche pericoloso con quel richiamo biblico e religioso, evidentemente giudicato rovinoso per il botteghino; come dice anche il titolo del romanzo da cui il film è tratto, della scrittrice Agustina Bessa Luis, amica di De Oliveira (che ha già utilizzato, per Francisca ad esempio, altri suoi lavori), romanzo che è una operazione di riscrittura, sembra su commissione dello stesso De Oliveira, di "Madame Bovary" di Flaubert. Come infine dice, ad apertura di film, la voce del narratore onnisciente (ma spesso reticente, o imprevedibile) che ci accompagna fino alla conclusione. De Oliveira costruisce il suo mondo secondo un particolare disegno: lo àncora geograficamente e culturalmente in un luogo molto portoghese e al tempo stesso lo apre ad altri orizzonti. Nel film vengono a sovrapporsi la provincia francese di Flaubert, il Portogallo di oggi, le storie bibliche, ogni storia in cui abbia spazio il desiderio, in cui si senta desiderio per ciò che manca (perché ogni desiderio nasce da un'assenza). Nella valle di Abramo, ci avverte la voce in apertura, accadono cose che appartengono al mondo dei sogni il mondo più ipocrita che ci sia. E la voce ci ricorda come il patriarca biblico usasse la moglie Sara per superare le proprie difficoltà, la chiamasse sorella, la lasciasse libera al desiderio degli uomini. L'allargamento così operato da De Oliveira accentua il carattere esemplare, originario, della storia di Ema-Emma, ne indica i tratti ricorrenti dentro la immobile storia degli uomini, dentro le storie che, su se stessi, hanno presto cominciato a raccontarsi gli uomini (e le donne, se è vero come sostiene Harold Bloom che l"'inventore" di Jahvé, lo scrittore del primo nucleo delle storie bibliche è una "inventrice", è donna). Altri segnali indicano la volontà di allargarsi oltre la valle portoghese. La scelta stessa della valle percorsa dal fiume come luogo del racconto: l'immagine del fiume (che è più arcaica e viene prima di quella della strada) è stata usata da sempre per simboleggiare la vita
umana e la storia, il movimento finalizzato, la traiettoria, la durata, l'estensione
lineare, in contrapposizione alla fissità di ciò che nello spazio si espande (il lago, la terra, il cielo). (Così, parlando di fiumi e storia, si apre il libro postumo di Jurij Lotman, "Cercare la strada", Marsilio). E poi, seguendo il film, ci si accorge presto che non è il racconto preciso ed esaustivo della vita di Ema ad interessare De Oliveira: troppi sono i salti temporali neppure segnalati, i fatti biograficamente importanti eppure trascurati, le ellissi profonde (c'è un cambio di attrice, appaiono le figlie già grandi). E neppure interessa a De Oliveira, che la elimina totalmente, la canonica sintomatologia del desiderio amoroso, quella ottocentesca: rossori, lacrime, sospiri, svenimenti; men che meno quella novecentesca: baci, carezze, amplessi o orgasmi, neppure suggeriti. L'andatura del racconto è troppo lontana dal normale cabotaggio narrativo per non metterci in guardia: l'avvio sulla giovinezza di Ema nella casa del padre; un primo salto con il matrimonio con Carlos; un altro salto quando ritroviamo Ema con le figlie al fianco; i passaggi, neppure sempre ricuciti dalla voce, da un amante all'altro; poi, il lungo vuoto finale rivelato dal ritorno di Caires che è stato per anni in Inghilterra. Non ci sono né intrigo né elementi romanzeschi. Evidente è la riduzione e la ripetizione di immagini, fatti, situazioni: De Oliveira stringe sul paesaggio del fiume e dei vigneti, sui volti di pochi personaggi,' sulle scene in cui è presa di mira la vacuità dei discorsi salottieri. De Oliveira non è il biografo di Ema; come Flaubert in Emma, cerca in lei dell'altro che sta oltre gli accadimenti della sua vita. De Oliveira: "Cerco di mettermi tra due posizioni, i piedi in terra, conoscendo intimamente i luoghi e le case in cui giro, ma anche di volgermi verso la musica, la poesia, verso il lato immateriale dell'uomo". Il realismo e il resto; il qui e ora e ciò che è segreto e nascosto.
Per De Oliveira il cinema è sempre impuro, è sempre (almeno come momento di avvio) operazione di riscrittura e riutilizzazione di materiali. Molti suoi film derivano da romanzi o da testi teatrali. Il suo La divina commedia era tutto un rovistare fra Nietzsche, Dostoievskij e Vangelo di Giovanni. Consueto è l'uso e il. riuso di brani di musica classica e. operistica: I cannibali è un'opera. tragicomica; nella valle di Abramo c'è una antologia di chiari di luna pianistici. Così nella valle, la Emma di Flaubert si ripresenta nella Ema di De Oliveira. Emma ed Ema desiderano ed amano, cercano dj colmare il vuoto da cui si sentono invase;` si avvicinano al vuoto ancora più profondo che sta oltre l'amore e il desiderio. Non è la realizzazione del desiderio il punto di approdo delle due emme ma la scoperta dell'abisso cui ci si affaccia tenendo dietro al desiderio. (Messa giù dura: si abbandonano all'anemos, allo spirare del desiderio, in cerca di un fato). Ed entrambe, giunte a questo passo, non si ritraggono, si espongono al vuoto piuttosto di tornare dentro la normalità della bêtise,.dei discorsi e dei luoghi in cui si celebra la stupidità della vita normalizzata. Flaubert guardava alle cose in modo obliquo e stupefatto (le continue e soffocanti descrizioni in Madame Bovary hanno spesso un tono allucinato; diceva: " È in odio al realismo che ho scritto questo romanzo"), sentiva affacciarsi dietro le cose un vuoto impercorribile, sopra il quale poteva essere stesa, a parziale protezione, la rete dello stile, della forma, ultima e sola possibilità di catturare qualche parzialissimo avanzo di realtà e verità. Il viaggio di attraversamento del reale si conclude per ed Ema con l'accettazione della morte. Al regno della bêtise non si torna di certo.
Bruno Fomara, Cineforum n. 336, luglio-ago 1994

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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