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Chaplin un artista totale - Unknown Chaplin


Regia:Brownlow Kevin, Gill David

Cast e credits:
Soggetto: Kevin Brownlow, David Gill; montaggio: Trevor Waite; musica: Carl Davis, José Padilla; interpreti: James Mason (narratore), Albert Austin, Henry Bergman, Eric Campbell, Charles Chaplin, Geraldine Chaplin, Sydney Chaplin, Virginia Cherrill, Jackie Coogan, Alistair Cooke, Douglas Fairbanks, Lita Grey, Georgia Hale, Robert Parrish, Edna Purviance, John Rand, Dean Riesner, Tiny Sandford, Roland Totheroh, Loyal Underwood, Kitty Bradbury, Frank J. Coleman, James T. Kelley, Trevor Waite; produzione: Kevin Brownlow, David Gill; origine: Gran Bretagna, 1983; durata: 156'.

Trama:Un documentario realizzato dagli storici del cinema muto Kevin Brownlow e David Gill. Vi si trovano riprese mai viste in precedeza dai film di Chaplin e altri filmati rari. Unknown Chaplin getta uno sguardo importante e approfondito nella creazione dei film di Chaplin; vi sono incluse anche interviste con personaggi che hanno conosciuto Chaplin e che con lui hanno lavorato. Il documentario è diviso in tre parti: My Happiest Years, Hidden Treasures e The Great Director ed è accompagnato dalla musica eccellente di Carl Davis, in parte adattata dalla musica dello stesso Chaplin.

Critica (1):Sarebbe senza dubbio sbagliato credere e asserire che, nel contesto della sterminata letteratura chapliniana, manchi affatto qualcosa di attinente al Chaplin "intimo" o al Chaplin "segreto". Questo settore della letteratura chapliniana esiste, e in misura anzi fin troppo abbondante; ma tocca pressoché esclusivamente fatti o vicende o contingenze scandalistiche della vita di Chaplin, trattate in chiave aneddotica. Poco o nulla esiste invece sul suo "laboratorio", ossia sul retroterra privato della sua personalità di regista, del suo metodo creativo, della sua prassi artistica; anche le testimonianze di prima mano fornite da coloro che, come segretari o collaboratori, gli sono stati intorno piú a lungo (Carlyle T. Robinson, Robert Florey), per non parlare nemmeno dell'evasiva Autobiografia, riescono, da questo lato, assai poco illuminanti.
Tanto piú prezioso appare perciò il materiale di lavoro ritrovato da Kevin Brownlow e David Gill a Vevey, in una cantina dell'ultima dimora svizzera di Chaplin, e da loro messo insieme e montato a comporre le tre parti di Unknown Chaplin ("Chaplin sconosciuto"), per un totale di circa due ore e mezza di proiezione. Il lavoro si compone di materiale girato ma non utilizzato nel montaggio definitivo da Chaplin, e di interviste con suoi attori e collaboratori, che quel materiale inquadrano, illustrano e commentano: dai ricordi di Virginia Cherrill e Georgia Hale, interpreti rispettivamente di Luci della città e La febbre dell'oro, a quelli della prima moglie di Chaplin, Lita Grey, e del figlio Sydney, fino alle testimonianze di Alistair Cooke, Robert Parrish, Dean Riesner. Colpiscono particolarmente gli "spezzoni" intesi a documentare quello che, in una delle interviste, la Cherrill chiama a ragione il "perfezionismo" di Chaplin. Egli non si stanca mai di girare e rigirare, per decine di volte, la stessa sequenza o la stessa inquadratura; scarta, accantona e taglia impietosamente ciò che non lo soddisfa del tutto dal punto di vista creativo o che, anche compiuto in se stesso, gli sembra non accordarsi con lo svolgimento o lo stile del film rispettivo; elimina cosí materiale talora assai prezioso, come ad es. la prima sequenza di Luci della città, un piccolo gioiello autonomo nel suo impianto novellistico.
Se non dunque a un Chaplin "segreto" (nel senso aneddotico-scandalistico del termine), siamo posti qui di fronte a un vero e proprio Chaplin "sconosciuto". Qui molte particolarità del suo laboratorio si dispiegano senza veli dinnanzi ai nostri occhi; qui assistiamo in concreto al processo tramite cui tante prove, tante ripetizioni, tanto - e, apparentemente, tanto esagerato - "perfezionismo" trovano alla fine sbocco nel film compiuto. Non è certo senza significato che i primi reperti di Unknown Chaplin risalgano al periodo Mutual (1916-17). Si tratta infatti del momento di sviluppo dell'arte chapliniana in cui si accentua e si fa per la prima volta palese e consapevole, anche soggettivamente, il distacco dalle "slapstick comedies" di Sennett. Il maggior punto di differenziazione sta in ciò: che Sennett, contrariamente a Chaplin, resta sempre fermo al punto di vista degli inizi; il passaggio dall`one reel" ai "two" o piú "reels" non segna in lui, come in Chaplin, un salto di qualità.
Oggi, grazie al lavorio di scavo della letteratura critica sulla Keystone di Sennet e alla "personale" dedicata a Sennett dalle "Giornate del cinema muto" di Pordenone, siamo in grado di farci un'idea relativamente compiuta dell'universo caotico e sgangherato dello "slapstick", col suo ritmo convulso, le sue convenzioni, i suoi moduli ricorrenti - fughe, inseguimenti, scontri imprevisti, parapiglia, capitomboli, tuffi nell'acqua, mazzate in testa, torte in faccia, crollo di edifici, esplosioni che sconquassano tutto; un caos, appunto, dove, in omaggio alla ferma convinzione di Sennett che il cinema è azione, è movimento ("movies must move"), domina l'ossessione di un moto senza requie, il vorticoso, scatenato, disarticolato succedersi dei gag, e dove la ricerca dell'effetto comico punta bene spesso sull'assurdo per l'assurdo: Sennett stesso chiama la Keystone "un'università del nonsenso". Erede e debitore in non piccola parte del music-hall, del "burlesque", nonché della tradizione europea (francese) del comico che lo precede, e a cui egli aggiunge di proprio un tocco locale, uno specifico "american flavour", Sennett non bada o bada ben poco al contenuto; nelle comiche che realizza alla Keystone - piú farse, in verità, che comiche - non c'è spazio alcuno per la psicologia dei personaggi, per la caratterizzazione. C'è bensí costante, come nel "burlesque", l'intento di far scaturire il comico dall'irrisione della "dignità", specialmente di quella di cui si sentono investiti e si ammantano con boria i rappresentanti ufficiali del potere, i poliziotti (donde i famosi "Keystone Cops"); poiché, come è già stato messo in luce piú volte da piú parti, anch'essi sono tratti a gravitare nel regno del caos, e vi figurano stilizzati e innaturali, simboli dell'assurdo piuttosto che dell'assurdità del potere, lo "slapstick" di Sennett non acquista mai spessore critico, non riesce mai a innalzarsi al livello di un'autentica satira. Sulla satira prevale lo sberleffo, sul comico il farsesco allo stato puro. La "slapstick comedy" non conosce altro genere di comicità; meccanica, ripetitiva, essa gira in tondo e a vuoto senza esprimere da sé alcuna determinazione concreta, senza sapersi dare né un reale contenuto sociale, né una veste formalmente conseguente.
Ora le prime composizioni di Chaplin non si differenziano per nessun tratto essenziale, immediatamente riconoscibile, dallo "slapstick" di Sennett. Come Sennett, Chaplin punta in un primo tempo solo sul gag per il gag; assegna al gag - di fattura ancora molto semplice, elementare, talvolta addirittura rozza - il compito di reggere e fondare per intero la costruzione comica. Per un tratto relativamente lungo, che comprende tutto il periodo Keystone (1914) e si inoltra almeno sino a una buona metà del periodo Essanay (1915-16), egli non tiene in alcuna considerazione, o perde completamente di vista, il problema formale della destinazione del gag, della sua congruenza con l'unità dell'insieme; cosicché nei suoi lavori non si dà propriamente altra unità, dal punto di vista formale, che quella volta a volta prodotta dai singoli gag. Lo svolgimento narrativo delle sue "short-stories" Keystone (e di una parte ancora di quelle Essanay) consiste solo nella giustapposizione seriale di trovate in stile "slapstick", che non cercano nemmeno di congiungersi omogeneamente tra loro e organizzarsi in un tutto. È d'altronde ben naturale che sia cosí. Fino a quando l'"inventio", priva di un supporto strutturale organico, procede a casaccio, e sull'unità prevale la disarticolazione comica, è inevitabile che la comicità si affidi solo all'estro mimico di Chaplin, al suo geniale talento di improvvisatore; e che questo, a sua volta, non possa rivelarsi che nella creazione di gag rapsodici, estemporanei, occasionali.
È soltanto un lento corso di sviluppo, un processo di elaborazione stratificato e notevolmente complesso (composito, eclettico), quello che porta Chaplin dal terreno delle origini sino alla sua propria creazione filmica autonoma, quale si profila o si consolida soprattutto durante il periodo Mutual. L'importanza della prima parte di Unknown Chaplin consiste nel documentare, materiali alla mano, come questo processo avvenga; come solo poco per volta egli pervenga a costruzioni filmiche artisticamente consistenti. È un sintomo del suo innato talento, e insieme della sua maturazione, che egli avverta a un certo punto l'insufficienza della cristallizzazione della "maschera" entro i limiti dello "slapstick" e lavori con lena a infrangerla, a superarla, passando per gradi dalla "maschera" al soggetto umano, alla compiuta individualità della persona, al personaggio in senso proprio. Questa nuova impostazione va tanto piú rilevata e sottolineata, in quanto mitologi, semiologi, esteti formalisti la misconoscono o fanno di tutto per minimizzarla, allo scopo di conservare integra la purezza del mito e del suo rivestimento formale. Storicamente non esiste in Chaplin un personaggio come tipo fisso. Il personaggio si modifica col modificarsi, correggersi, dilatarsi e approfondirsi del mondo artistico di cui fa parte; sicché le determinazioni concrete, i tratti concreti che lo definiscono, riflettono nella loro mobilità la mobilità stessa della concezione dell'autore, le caratteristiche storicamente specifiche via via da essa assunte nelle sue diverse fasi di svolgimento.
L'ultimo scorcio del periodo Mutual (documentato in Unknown Chaplin dalle modifiche di ideazione e realizzazione apportate a L'emigrante, e da due sequenze soppresse nella seconda parte
dell'Evaso) ci trasporta già molto oltre lo "slapstick" degli inizi. Correlativamente al passaggio dalla "maschera" al personaggio, lo "slapstick" poggiante sul principio dell'automatismo viene poco per volta corretto, ritoccato, smussato, disciplinato dall'interno; il caos iniziale della forma, provocato dall'assolutezza dei gag, lascia il posto a una forma in cui i gag si articolano e si organizzano, tanto in sé che nel loro rapporto alla "story", secondo precisi moduli spazio-temporali. Nel frattempo Chaplin viene maturando anche soggettivamente il concetto dell'unità strutturale della forma: giunge cioè a comprendere la verità, avente valore di legge irrecusabile per l'estetica, che un giusto nesso organico tra le sequenze favorisce di per sé la riuscita dell'insieme. Egli dice della sua attività di regista all'altezza del primo film realizzato presso la First National, Vita da cani (1918): "Cominciavo a pensare alla comica in senso strutturale, prendendo atto sempre piú della sua forma architettonica. Ciascuna sequenza implicava quella successiva, e tutte quante erano collegate tra loro".
Data infatti a partire da questo periodo l'uso di un procedimento di costruzione narrativa per sequenze a vasto respiro, le quali, proprio in virtú della loro ampiezza e dalla loro concatenazione, permettono a Chaplin di creare autentiche situazioni novellistiche, analoghe a quelle presenti nella narrativa americana del periodo, in O. Henry, in Sherwood Anderson o in certe scene dei romanzi di Sinclair Lewis. Questa evoluzione formale di Chaplin sta in stretto rapporto con l'evoluzione della sua tematica, con la sempre piú decisa concretizzazione in senso storico-sociale sia del personaggio che delle vicende che lo interessano. Ne risente immediatamente, per contraccolpo, anche la tecnica del gag: poiché ora, a questo stadio specifico del suo sviluppo, i gag risultano intimamente fusi col contenuto della realtà sociale che l'opera, come un tutto unitario, punta a rispecchiare. Quanto piú rappresentativo si fa, socialmente parlando, il contesto di vicende e situazioni, quanto piú esteso il processo evolutivo - in parallelo con esso - della forma, tanto piú ricco, complesso, elaborato, nutrito di mediazioni sociali e culturali diviene anche l'intreccio dei gag.
Ma Unknown Chaplin non si occupa solo dello sviluppo del giovane Chaplin. Molti "excerpta" riguardano il Chaplin maturo. Specialmente la terza parte del lavoro di Brownlow e Gill esibisce un campionario sorprendente di sequenze o stralci da sequenze che, nelle copie definitive, appaiono modificate, ritoccate o amputate del tutto: ricordiamo la sequenza del gioco a golf, ideata per un film Mutual e realizzata di nuovo in seguito - con lo stesso sfondo scenografico e lo stesso spirito - per The Idle Class ("Charlot e la maschera di ferro"); quella di Charlie barbiere, soppressa in Sunnyside ("Un idillio ai campi"), ma poi ripresa, con gli adattamenti del caso, nel Dittatore; la visita medica della sequenza iniziale - interamente soppressa - di Shoulder Arms ("Charlot soldato"); vari rulli di due lavori mai portati a compimento, Il professore (probabilmente l'ultimo progetto del periodo First National, databile al 1923: dove figura, tra l'altro, lo sketch del domatore di pulci, che Chaplin rielaborerà in Luci della ribalta) e Come realizzare un film; e ancora molte altre sequenze inedite tratte dal materiale di scarto dei lungometraggi della maturità, La febbre dell'oro, Il circo, Luci della città (sequenza iniziale citata, primo incontro con la fioraia cieca, sequenza finale nella versione con Georgia Hale), Tempi moderni (sequenza dell'attraversamento pedonale). Che poi in Chaplin tanti gag, a distanza di anni, ritornino, e ritornino modificati, non deve costituire un motivo di sorpresa; ciò fa parte integrante di quella dialettica della tipologia del comico che è un metodo costante della sua prassi creativa.
Nell'insieme, come si vede, Unknown Chaplin fornisce un contributo di tutto rispetto. Certo può anche darsi che abbia ragione Gavin Millar quando, recensendolo per Sight and Sound (primavera 1983), osserva: "Con tutto il suo fascino e con tutta la brillante opera di scoperta e la diabolica maestria tecnica di Brownlow, Gill e del loro gruppo (...) che altro veniamo ad apprendere intorno al Chaplin sconosciuto? Curiosamente poco, in un certo senso". E in realtà Brownlow e Gill ci offrono non un Chaplin diverso da quello già noto, bensí un prezioso strumento per accedere alla sua personalità di artista, appunti, testimonianze, documenti per approssimarci il piú possibile, dall'interno, al suo metodo di lavoro: quanto basta, insomma, perché dalla visione della loro silloge antologica - una messa insieme con molto amore, cui si può rimproverare forse qualche cedimento al mito dell'imprevedibilità e sregolatezza del genio creatore, oltre che un certo disordine espositivo - si esca con la rinnovata persuasione non solo della grandezza del talento mimico di Chaplin, ma delle sue straordinaria qualità di artista in tutta l'estensione del termine: della sua capacità di elaborare a fondo e plasmare l'immagine filmica sino a innalzarla alla dignità dell'arte.
Guido Oldrini, "Charlot ritrovato", Cinema Nuovo, 2/1984

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