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Reinette e Mirabelle - 4 Aventures de Reinette et Mirabelle


Regia:Rohmer Eric

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Eric Rohmer; collaborazione alla sceneggiatura: Joelle Miquel; fotografia: Sophie Maintigneux; montaggio: Maria-Luisa Garcia; musica: Roman Girre, Jean-Louis Valero; suono: Pierre Camus, Pascal Ribier; scenografia: Joélle Miquel; interpreti: Joelle Miquel (Reinette), Jessica Forde (Mirabelle), Philippe Laudenbach (il cameriere), Maria Rivière (l’imbrogliona), Fabrice Luchini (il gallerista), Yasmine Haury (la cleptomane), Béatrice Romand (la sorvegliante), Gérard Courant (il sorvegliante), David Racksavage (l’inglese), Jacques Auffray (lo scroccone), Haydée Caillot (la signora caritatevole), Marie Bouteloup e Francoise Valier (le visitatrici), famiglia Housseau (i vicini), Francois Marie Banier (1° passante), Jean Claude Brisseau (2° passante); produzione: C.E.R. - Les Films du, Losange; distribuzione : Academy; origine: Francia, 1987; durata: 95’.

Trama:L’ORA BLU. Rimasta appiedata in una strada di campagna per la foratura di una gomma della bicicletta, la giovane Mirabelle trova aiuto nella coetanea Reinette che sta trascorrendo l’estate in un grande cascinale di famiglia in mezzo ai campi. Dopo alcune iniziali titubanze, le due ragazze fanno amicizia e Reinette invita Mirabelle a passare la notte con lei soprattutto per assistere, al levar dell’alba, all’ora blu, zona magica intermedia tra la notte e il giorno in cui il silenzio regna assoluto. Dovendo poi fare ritorno a Parigi per riprendere gli studi, Mirabelle ricambia la cortesia all’amica e la invita a dividere con lei l’appartamento in città. Reinette può così andare all’Accademia per seguire i prediletti corsi di pittura. IL CAMERIERE DEL CAFFÈ. Datesi appuntamento ad un caffè di Montparnasse, Reinette, mentre aspetta l’amica, si concede una consumazione del costo di 4 f e 20, paga con 200 franchi ma si trova di fronte un cameriere irascibile e nevrotico che pretende moneta spicciola. La discussione va avanti fino all’arrivo di Mirabelle che, per tagliar corto, si trascina via l’amica con una fuga nel traffico. Ma Reinette non è in pace con se stessa e il giorno dopo torna al caffè a lasciare i soldi della consumazione. LA MENDICANTE, LA CLEPTOMANE, L’IMBROGLIONA. Camminando per le strade di Parigi, le due ragazze incontrano molti mendicanti. È giusto fare loro la carità? In un supermercato Mirabelle, approfittando di una situazione favorevole, sottrae una piccola refurtiva alimentare e la porta a casa per la cena. Reinette è scandalizzata e rimprovera l’amica, ma il giorno dopo alla stazione, accortasi di essere stata raggirata da una ragazza che chiede soldi ai passanti, esige la restituzione del denaro ed arriva ad un accordo con la truffatrice. LA VENDITA DEL QUADRO. Passato del tempo, Reinette si rende conto che se vuol continuare a vivere a Parigi deve guadagnarsi dei soldi. Non vedendo altre soluzioni, decide di vendere un quadro. La galleria la convoca, ma lei non può parlare a causa di una scommessa fatta con l’amica. Fingendosi sordomuta, Reinette offre il quadro al gallerista, mentre Mirabelle ne difende la causa. Il proprietario alla fine tira fuori 2000 franchi. Le due ragazze se ne vanno felici e contente, convinte di aver fatto un grosso affare. Ma, uscite loro, entrano in galleria altre persone, ad una delle quali il gallerista, da buon commerciante, vende il quadro per 4000 franchi.

Critica (1):Per tutto l’aureo pomeriggio/galleggiamo beati
Avendo incauti entrambi i remi/alle bimbe affidati,
le cui manine ora pretendono/guidare i nostri fati
(L. Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie)

La camera invisibile
Con Reinette et Mirabellé Rohmer torna a girare in 16 mm.; e se ciò riconferma l’adesione dei regista a un cinema "quasi amatoriale", parallelo, "modesto", legato ad una politica del risparmio – che a livello di scelte espressive fonda l’economicità della sua scrittura cinematografica – è pur vero che in questo caso l’uso dei mezzo povero è indicativo della sua volontà di concedersi la più ampia libertà di movimento, lontano da impacci e condizionamenti, che solo il 16 mm. garantisce. E proprio il fatto che il regista non abbia comunque mai accettato imposizioni in fase di realizzazione, mettendo in atto abili meccanismi di difesa – la griglia progettuale di cui parla Michele Mancini – che gli consentono di stare addosso al suo lavoro, ci convince ancor più che nel nostro caso il passo ridotto abbia risposto, date le caratteristiche, al desiderio rohmeriano del "gioco cinematografico". Gioco quanto mai sofisticato e controllato che porta ancor più in profondità la sfida al cinema "non di finzione" attraverso un’operazione sviante che sta tra la finzione documentaria e il documentario di finzione. E se già in Le rayon vert questo procedimento risultava manifesto, Reinette et Mirabelle lo eleva alla massima potenza; qui, davvero, risulta difficile credere che il "girato" non sia frutto della estemporaneità del momento, della suggestione dell’istante. Si veda l’episodio Le garcon de cafè in cui l’impressione di realtà è talmente forte da aver ingannato gli stessi clienti, del tutto ignari che si stesse girando ed impegnati nel vano tentativo di richiamare l’attenzione del "cameriere" (l’attore Philippe Laudenbach).
Riferendo questo aneddoto nel corso di un’intervista ai "Cahiers", il regista maliziosamente si chiede: "Est-ce que ma caméra est moins visible que les autres?". Senza dubbio, Maestro, la vostra camera è così magicamente invisibile da credersi fantasmatica e, come quegli avventori, anche noi non la avvertiamo, la dimentichiamo, noi che pure sappiamo quanto quella magia sia abilmente pilotata e scientificamente pianificata in fase di sceneggiatura. Rohmer non ammette improvvisazioni, non corre dietro alle cose e non si fa intrappolare da queste; come i poeti, ne subisce il fascino, le implicazioni più segrete e le rielabora secondo quell’estetica della trasparenza che si fonda sulla "visualizzazione" del reale, salvo poi rendere visivo ciò che solitamente si sottrae alla conoscenza del mezzo cinematografico. Reinette et Mirabelle è senza dubbio l’esempio più sorprendente della poetica rohmeriana, tesa a cogliere una sua "verità" attraverso un processo di accettazione/superamento del dato di realtà, forbice espressiva il cui risultato è quella immagine immediata, ingenua, conturbante ed ambigua al tempo stesso. La scommessa dell’autore è di andare verso una semplicità sempre più grande; si ricordava l’episodio "del caffè" – il secondo dei quattro quadri in cui è suddiviso il film (L’heure bleue; Le garçon de cafè; Le mendiant, la cleptomane, Panarqueuse, La vente du tableau) che abbandona la scansione temporale (i giorni, le date, le ore) e si struttura per "situazioni" – ma ogni singola sequenza potrebbe esser presa ad esempio di questo percorso rohmeriano. L’incontro casuale delle due ragazze su una stradina di campagna, i loro vagabondaggi agresti, la cena en plein air, l’attesa in coppia dell’"ora blu", la scoperta di Parigi da parte di Reinette, i suoi incontri, le sue meraviglie. Una quotidianità bassa e quasi esasperata che Rohmer si diverte a ribaltare di segno; qui manca perfino la storia a nobilitare la materia narrativa e, se Delphine coagulava intorno alla propria vicenda la scrittura di Le rayon vert, ora il regista rifiuta la narrazione di vicende e accadimenti, in realtà non ci racconta niente, ci concede e ci offre tranches de vie. Riduce ai minimi termini, assottiglia ai limiti dell’annientamento, rarefà e occulta, producendosi contemporaneamente in un grandioso gioco al massacro nei confronti del cinema che s’imbarbarisce e cialtroneggia tra banalità e mollezze.
Il piacere del dire
Film di conversazione – dove, come vedremo, le querelles non sono né alte né impegnate – se Reinette et Mirabelle risplende nell’immagine, trova nella parola l’altro suo punto di forza. Non è una novità, nei film di Rohmer si parla molto, ai tavolini dei bar (e qui si rende omaggio), su poltrone e divani casalinghi. La parola però non è mai verbosità superflua o accessorio di rincalzo, ma supplemento d’immagine cui l’espressività il chiacchiericcio del film è incessante, torrenziale, irrefrenabile e il gioco rohmeriano si propone di sfiorare l’eccesso, di sfidare una presunta soglia di tollerabilità del "parlato" insita al mezzo cinematografico. Ed ancora una volta il divertimento di questo giocatore incallito è il rovesciamento scenico: l’eccesso si fa giusta misura e la verbalità esasperata, godibilissima colloquialità. La parola è il fulcro stesso attorno a cui ruota il film: il rapporto d’amicizia tra Reinette e Mirabelle nasce e si fonda sullo scambio verbale che è ad un tempo veicolo di conoscenza, strumento di reciproco confronto, espressione della personale visione del mondo, occasione di scherzo. Le due fanciulle ci rimandano il raro piacere del dire che traduce emozioni, idee, stati d’animo, dubbi, impressioni, sentimenti, convinzioni, sogni. Il loro discorso fitto fitto, frivolo o serioso dialogo spumeggiante o assorta riflessione, si iscrive perfettamente nella poetica della trasparenza con la freschezza e la semplicità della cosa udita. (Rohmer non si nega tuttavia il piacere di giocare col silenzio e nell’episodio La vente du tableau, insieme alle due protagoniste mette in scena proprio quel gioco di bambinesca memoria. Ma il silenzio – parola rattenuta e sospesa in Delphine – è anche luogo di fascino e mistero che diventa con L’heure bleue fonte di grande magia e profonde emozioni.
Universo infantile
La dimensione ludica cui abbiamo fatto continuo riferimento compenetra dunque l’ultimo stadio del cinema di Rohmer; ed è ancora una volta lo stesso Rohmer che ci consente di spostare un po’ più in là, dal piano narrativo a quello concettuale, il discorso sul gioco, arricchendolo di ulteriori significati.
A proposito del film, dice: "È un dibattito infantile e nonostante ciò un dibattito che mi interessa solo nella misura in cui resta infantile; non amo più i grandi dibattiti" (intervista ai "Cahiers").
4 Aventures de Reinette et Mirabelle, il cui titolo suona come una filastrocca, è una favola che fa proprio lo sguardo di due bambine appena un po’ cresciute; il mondo dell’infanzia si impone dunque con forza come referente primario e sotto il suo orizzonte Rohmer quasi settantenne ricompone la propria visione del mondo.
Ha sempre creduto alla bellezza, a un ordine del mondo, ha sempre parlato del cuore andando alla scoperta dei buoni sentimenti; così, l’adesione ad un universo infantile gioioso e incontaminato risulta tappa obbligata e logica conseguenza, soprattutto quando altri mondi vacillano paurosamente e non offrono più spazio al sorriso sereno delle sue Commedie e Proverbi.
Marzia Milanesi, Cineforum n. 264, maggio 1987


Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Eric Rohmer
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