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High Life


Regia:Denis Claire

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Claire Denis, Jean-Pol Fargeau, Geoff Cox, Nick Laird-Clowes; montaggio: Guy Lecorne; arredamento: Susan Gohsmann; costumi: Judy Shrewsbury; effetti: Xavier Allard; interpreti: Robert Pattinson (Monte), Juliette Binoche (Dottoressa Dibs), André Benjamin (Tcherny), Mia Goth (Boyse), Lars Eidinger (Chandra), Agata Buzek (Nansen), Claire Tran (Mink), Ewan Mitchell (Ettore), Gloria Obianyo (Elektra), Scarlett Lindsey (Willow); produzione: Alcatraz Films; distribuzione: Movies Inspired; origine: Francia-Germania-Gran Bretagna-Polonia-Canada-Usa, 2018; durata: 113’.

Trama:Spazio profondo. Oltre il nostro sistema solare. Monte e sua figlia Willow vivono insieme a bordo di un veicolo spaziale, in completo isolamento. Nel corso degli anni Monte, attraverso la figlia, sperimenta la nascita di un amore onnipotente. Willow cresce diventando una ragazza, poi una giovane donna. Insieme, soli, padre e figlia si avvicinano alla loro destinazione: il buco nero in cui tutto il tempo e lo spazio cessano di esistere.

Critica (1):L’essere umano è un animale sociale che tende a organizzarsi per appagare bisogni di base biologici. Quello che nel mondo animale è pura necessità di sostentamento e sopravvivenza, per l’essere umano assume significati psicologici (e fantasmatici), senza i quali il dato reale perderebbe di senso.
In High Life di Claire Denis un gruppo di reietti e galeotti viene ingaggiato per una missione spaziale comandata da una dottoressa devota alla riproduzione. Ogni forma di “umana” interazione sociale all’interno della navicella viene annullata; nessun sentimento di amicizia o solidarietà (le uniche reazioni di difesa e attacco assomigliano a quelle del branco), nessuna forma di amore, nessun affetto. L’uomo viene dunque ridotto a un animale che sente la paura, il desiderio sessuale, segue l’istinto di sopravvivenza e quando intuisce essere vicino alla fine si lascia morire solo.
Abitualmente l’educazione sentimentale avviene grazie alle esperienze e ai ricordi che serbiamo di queste ultime. La memoria del protagonista (Robert Pattinson) appare invece frammentaria – alcune immagini che richiamano il Tarkovskij di Stalker e Solaris, e che Denis gira in 16 mm, rimandano a un episodio traumatico dell’infanzia, niente di più. I ricordi sono per il protagonista una fonte di disturbo del quale preferirebbe privarsi. Anche il rapporto con la figlia concepita attraverso l’inseminazione artificiale – l’unico a avere la parvenza di un qualche tipo di dolcezza – risulta in realtà ambiguo, se non altro perché i due rimangono gli unici sopravvissuti all’esperimento. Fallito il tentativo di connessione con un’altra navicella e passati a una dimensione superiore, ai due non resta che andare incontro all’estinzione o a riprodursi tra di loro. Alla fine lo sguardo tra i due rimane indecidibile, soprattutto perché per la prima volta vediamo la figlia diventata una giovane donna seducente.
High Life è un immenso film sulla solitudine e sullo scandalo che il Reale porta con sé. Privati di un Immaginario – la memoria delle immagini è ridotta a frammenti – e venuto meno il Simbolico (le regole vigenti nella navicella non hanno nulla a che vedere con quelle condivise a livello sociale), i personaggi relegati nella prigione spaziale si comportano sempre più come il branco di cani randagi e affamati che popolano l’identico shuttle che si connette al loro.
Quando si sperimenta la solitudine alienante e profonda non resta che la cosa reale, ossia il corpo. Da questo punto di vista la sessualità risulta dirimente. La navicella è dotata di una “fuckbox” in cui ognuno può entrare per appagare i propri desideri. È però proibito avere rapporti tra i componenti dell’equipaggio che talvolta tornano a desiderare in maniera fantasmatica – più di un personaggio maschile prova pulsioni per la dottoressa interpretata dalla Binoche che, rispetto alle altre donne, è l’unica ad aver mantenuto una forza seduttiva e un elemento erotico, immaginifico nelle sue movenze e nei suoi atteggiamenti. La sua devozione per la riproduzione la spinge a mettere in salvo la stessa da qualsiasi dinamica erotico-sentimentale di base distruttiva, praticando l’inseminazione artificiale.
Binoche – già con la Denis nella ronde sentimentale di Gli amori di Isabelle, dove era continuamente delusa da uomini narcisisti, egoisti e codardi – diventa qui una specie di prototipo di donna totalmente indipendente e pronta a ridefinire il suo ruolo. La scena della “fuckbox” è in questo esemplare: entrando nella stanza nella quale si trova la sex machine, Binoche inizia a spogliarsi e sfiorarsi come farebbe di fronte a un uomo che la desidera e che lei desidera; aggrappata a delle maniglie, invece, si siede sulla macchina e inizia a muoversi e a far muovere il congegno al suo ritmo e bisogno, fino a perdersi completamente nel piacere. Uscita dalla stanza, incrocia il protagonista, che per rafforzarsi pratica l’astinenza. Lo sguardo perso della donna, quasi in trance a seguito dell’esperienza, risulta non solo umiliante per l’uomo, ma addirittura inedito.
Ed è proprio lo sconosciuto e l’inedito l’altro polo di questo film. In fondo della missione a cui partecipa il protagonista si sa ben poco e nessuno di loro, tranne la dottoressa, che comunque è un medico e non uno scienziato, ha capacità cognitive o una preparazione culturale precedente per affrontare il viaggio nello spazio. In maniera quasi darwiniana sopravvive il più forte, il più astuto, ma quasi per caso. Il personaggio di Pattinson non è spinto da un desiderio inesauribile di conoscenza, la sua non è una fuga verso l’assoluto, non ha la volontà di spingersi verso qualcosa di sconosciuto, ma ha l’occasione di incontrare l’Alterità – che poi è una delle tematiche ricorrenti del cinema di Claire Denis, e che raggiunge uno dei suoi punti più alti con Trouble Every Day.
In High Life l’Altro è proprio la figlia, dapprima nelle sembianze di neonato che piange senza sosta. «Do you want to kill me?» le dice il padre che non riesce a calmarla e non capisce cos’ha per le mani. Ma fino alla fine la figlia rimane Altro da lui – dal sangue delle mestruazioni, fino allo sguardo ambiguo nel vederla diventata una giovane donna, dotata a sua volta di erotismo.
Disturbante e misterioso, High Life è probabilmente un unicum, un UFO difficile da avvicinare ma magnetico come il buco nero che risucchia uno dei personaggi, devastandolo.
Gloria Zerbinati, cineforum.it. 7/8/2020

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Critica (4):
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