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Medici con l'Africa


Regia:Mazzacurati Carlo

Cast e credits:
Soggetto: Carlo Mazzacurati, Claudio Piersanti; fotografia: Luca Bigazzi; musiche: Eurico Carrapatoso; montaggio: Paolo Cottignola; suono: Alessandro Palmerini; interpreti: Don Dante Carraio, Don Luigi Mazzucato, Claudio Beltramello, Paolo Lanzoni, Rino Scuccato, Antonella Marongiu, Italo Turato, Donata Galloni, suor Delfina Tamega, Lidia Baiocchi, Marilena Urso, Daniel Nardo, Maria Laura Mastrogiacomo; produzione: Francesco Bonsembiante e Marina Zangirolami per Argonauti in collaborazione con Medici con l'Africa Cuamm; origine: Italia, 2012; durata: 89’.

Trama:Il film inizia nella sede storica di Medici con l’Africa Cuamm (Collegio universitario aspiranti e medici missionari), nel centro di Padova. Don Dante Carraro è un sacerdote. È anche cardiologo, e da quattro anni è il direttore del Cuamm. Insieme a lui un altro sacerdote, più anziano: don Luigi Mazzucato, direttore dal 1955 al 2008, e per niente pensionato. Don Dante spiega perché hanno deciso di chiamarsi Medici CON l’Africa. Perché da sempre agiscono insieme alle istituzioni sanitarie africane. Il loro compito è duplice: gestire strutture sanitarie disperse nell’immenso territorio sub-sahariano, ma soprattutto creare percorsi di crescita, anche a livello universitario, in grado di formare sul campo nuove generazioni di medici africani. Un lavoro enorme, che il documentario presenta con un asciutto reportage girato in Africa, lasciando la parola a medici e pazienti, ad adulti e bambini. Numerosi medici raccontano le loro esperienze, i loro entusiasmi e i loro fallimenti. Incontriamo anche alcuni giovani africani che si sono formati nelle aule della facoltà di medicina supportata dal Cuamm. Uno di loro, vicino alla laurea, è cresciuto in un orfanotrofio gestito da una straordinaria suora africana, “madre” di centinaia di bambini abbandonati al loro destino.

Critica (1):Rabbia e sorrisi, ammirazione sconfinata e ironia politicamente scorretta, senso d'impotenza. Sono tante le raffiche emotive che scuotono lo spettatore che si mette davanti a Medici con l'Africa di Carlo Mazzacurati, fuori concorso, documentario gioiello che porta il cineasta a scoprire, appunto, Medici con l'Africa CUAMM (Collegio Universitario Aspiranti Medici Missionari). E noi con lui.
Fa bene il regista a non scegliere un taglio informativo-divulgativo, ma a inserirsi nella quotidianità di questi eroi normali che curano la popolazione in situazioni proibitive. La più grande organizzazione italiana per la promozione e la tutela della salute delle popolazioni africane, lavora dal 1950 e ha inviato almeno 1300 professionisti in 41 paesi africani. Numeri incredibili che, però, non ci mostrano la sensibilità di questi uomini, donne, ragazzi che ogni giorno vedono troppa morte e ad essa rispondono con la vita, con il sorriso, con una sofferta dolcezza.
Ginecologi, pediatri, infettivologi, chirurghi, tutti necessari a un continente che ha bisogno di chi cominci ad aiutarlo e smetta di colonizzarlo. "Vi racconto un gruppo di uomini straordinari- ha dettto Carlo Mazzacurati prima della proiezione in Palabiennale-, conoscerli e seguirli ha aperto molto i miei orizzonti, più di qualsiasi altra esperienza, e di questo li ringrazio molto". Di suo l'autore c'ha messo un'empatia intelligente e ponderata, che gli ha permesso di non fare un'agiografia di gruppo ma un ritratto umanissimo di chi parte per terre lontane e trasforma la sua vita, di chi fa una scelta coraggiosa e forse un po' incosciente per dare speranza a popoli lontani. E trovare un senso profondo alla propria esistenza e alla propria professione.
Così è impossibile non voler bene a quello specializzando dallo sguardo un po' triste, così come senti subito vicino e fondamentale quel Don Luigi che è la bussola, il faro di questa organizzazione. Eroe tra gli eroi, con la sua cordialità serafica e i modi quasi bruschi, di chi non è abituato a sprecare parole perché rivolto ai fatti. E se deve parlare, ti chiama dall'altra parte del mondo di sera. Tardi. Mazzacurati ci porta nei "loro" ospedali, ma piuttosto che proporci immagine spettacolari, si affida alla testimonianza tranquilla e spesso sorridente dei medici, che si raccontano come uomini e come dottori, lamentando le mancanze del territorio, dei governi, dell'Occidente che non aiuta abbastanza e nel modo giusto. Perché "lavorare in Africa è dura" dice un altro, in sedia a rotelle, perché, come ci racconta, "mi son fatto tutte le guerre degli ultimi decenni, ero pure a Nassiriya, e poi un ictus, ad Haiti, mi ha ridotto così. La vita è fatta così". Si commuove spesso quest'uomo, un chirurgo che in Africa c'è andato con la moglie, collega e sodale di quest'impresa.
Parlano insieme, lei ha un atteggiamento affettuoso e allo stesso tempo trattenuto, con i suoi occhi ci mostra la sincerità della loro passione per il continente nero e i suoi abitanti e l'amore per quest'uomo lucido, intelligentissimo e che ora, dopo aver tanto aiutato, ha bisogno lui d'aiuto. Proprio lui ci mostra l'ironia della sorte, e soprattutto della morte, della sua vita. "Veniamo da Venegono superiore – rivela – e siamo arrivati con una guerra civile in corso qui in Mozambico. Sai da che aerei venivano i bombardamenti? Da quelli di Aermacchi. Che proprio a Venegono Superiore ha la sua sede". E di ironia ce n'è, eccome, in quel medico dallo sguardo arrabbiato che ci dice "che qui siamo pedine di un gioco più vasto. Dobbiamo inventarci ogni machiavellismo per prendere malattie "sexy" come l'Aids – oggetto di molte donazioni per la sua pur sinistra fama – e portare le persone a interessarsi anche di altre piaghe, come il diabete. Altrimenti qui chi ha l'Aids ha pure lo psicologo, ma chi ha il diabete non ha l'insulina! Il mercato dell'aiuto ha i suoi trend, così come quello della cooperazione: è, soprattutto, immagine".
E allora, magari, per avere più fondi per la chirurgia, si fa una campagna contro l'alta mortalità materna. Se si raccoglie denaro per fare più (e meglio) i cesarei, i fondi andranno anche al resto della chirurgia. Un quadro completo e impietoso, quello di Mazzacurati e dei suoi uomini straordinari, che a volte ci alleggerisce il cuore da questo peso: con quel bambino che si capovolge goffamente col triciclo mentre si parla di malnutrizione e malattie infantili, così come lo fa con la speranza di due sorelle orfane che studiano medicina.
E alla fine rimangono impresse quelle tre regole che vengono insegnate in una delle loro lezioni: il rispetto delle persone, la benevolenza e la giustizia. In sistemi sanitari occidentali sempre più schiavi di bilanci e tagli, nella spersonalizzazione di medici, malattie e comunicazioni, qui si ritorna all'origine della medicina come sostegno non solo dovuto alle competenze, ma anche alla capacità di curare l'anima dei malati. E in tempi di supereroi venerati e frutto di fantasie pur fervide e fertili, noi scopriamo chi lo è veramente. (…)
Boris Sollazzo, Il Sole 24 ore, 30/8/2012

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Critica (3):

Critica (4):
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