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Regeneration - Regeneration


Regia:MacKinnon Gilles

Cast e credits:
Soggetto
: dal romanzo omonimo di Pat Barker; sceneggiatura: Allan Scott; musica: Mychael Danna; montaggio: Pia Di Ciaula; fotografia: Glen Macpherson; interpreti: Jonathan Price (dott. William Rivers), James Wilby (Siegfrid Sassoon), Jonny Lee Miller (Billy Pryor); produzione: Norstar Ent., Rafford Films; origine: GB, 1997; durata: 114’.

Trama:Siamo nel 1917 il dottor William Rivers (Pryce) lavora nell'ospedale militare di Claiglockhart in Scozia, dove cura i reduci dal fronte. Lì si ritrovano personaggi che porteranno Rivers a mettersi in discussione. Nel gruppo dei ricoverati si trovano il poeta Sigfried Sassoon (Wilby) che, già eroe di guerra, scrive una coraggiosa dichiarazione dove denuncia l'orribile massacro. A Claiglockhart Sassoon incontra il giovane Wilfred Owen (Bunce) che aspira a diventare poeta.

Critica (1):Di film contro la guerra ne abbiamo visti tanti e sotto tante angolazioni, per cui questo Regeneration non pretende certo all’originalità. Nel metterci di fronte alle conseguenze che la guerra ha sulle menti di chi vi partecipa, oltre che sui corpi ( si tratta infatti di quanto accade non sul fronte ma in un nosocomio dove si “rigenerano” ufficiali colpiti da shock per poi rispedirli in trincea) la pellicola presenta nondimeno alcuni caratteri d’interesse, al di là della professionalissima confezione degna della grande tradizione del cinema britannico (anche se lo scozzese Mackinnon è un regista più che altro televisivo). La vicenda è tratta da un recente libro di Pat Barker pubblicato anche in Italia in cui, fondendo insieme verità e finzione, si raccontano le esperienze di uno psichiatra, il dottor Rivers, che nel 1917 all’Ospedale militare di Glaiglockhart presso Edimburgo ha in cura diversi reduci dalla mente sconvolta. Fra di loro il poeta Sigfried Sassoon, che dopo aver compiuto gesta eroiche al fronte sottoscrive una coraggiosa dichiarazione di intenti pacifisti nella persuasione «che la guerra venga volontariamente prolungata da coloro che avrebbero il potere di porle termine»: e il più giovane amico Wilfred Owen, poeta alle prime armi, avviato da Sassoon a temi impegnativi (tra le sue poesie rimaste – fu ucciso una settimana prima della fine del conflitto – una conclude demolendo la “vecchia menzogna” «Dulce et decorum est pro patria mori»). Date le premesse, e considerato che il dottor Rivers conosce le teorie di Freud, si rimpiange che il film non abbia puntato maggiormente sui due motivi più nuovi e più interessanti del discorso, la poesia e la psicanalisi come ‘medicine’ per guarire dai guasti provocati dalla guerra, salvo poi fare di nuovo, degli ufficiali guariti, carne da cannone (e magari sono loro stessi a volerlo). Ciò che angoscia il dottor Rivers, interpretato con cogitabonda disponibilità da Jonathan Pryce – Perón in Evita – è proprio il fatto di riuscire a rendere degli uomini diventati sani, pazzi a tal punto da voler ritornare in guerra. Ermanno Comuzio, Cineforum n. 367, sett. 1997 I film “a tesi” sono sempre facili da commentare. L’autore incentra la sua opera su una “tesi” (nel caso l’inutilità della guerra). Se si è d’accordo ci si troverà ad amare la sua opera. Se non si è d’accordo non si avrà difficoltà a stroncarla. Regeneration è ambientato in un ospedale psichiatrico nei pressi di Edimburgo nel 1917, durante la prima guerra mondiale. È un ospedale militare dove gli ufficiali sono chiamati a “tornare alla normalità” per sopportare la vita dura che il fronte, la prima linea, impone. Siegfried Sassoon è un ufficiale, realmente esistito, un eroe di guerra che butta al mare la sua medaglia al valor militare ed inizia una campagna “pacifista”. Verrà inviato all’ospedale di Edimburgo per “guarire” e poter così tornare al fronte. Il dottor Rivers è un medico psichiatra che si trova a vivere in un particolare momento della psichiatria quale era l’inizio del secolo. Cerca e trova le cure per guarire i suoi pazienti e critica i metodi “forti” di altri scienziati che trattano i soldati come “macchine da riparare”. Sassoon comincia ad odiare la guerra e la gerarchia militare quando scopre che questa potrebbe porre fine alle ostilità non fosse per la miopia di alcuni generali e le utopie imperialistiche che spingono a sacrificare la vita di molti. Rivers si chiede invece cosa accadrebbe se tutti i soldati compiessero le stesse scelte di Sassoon e la guerra finisse con tutti gli inglesi arresi. Nasce un rapporto del tutto particolare tra Rivers e Sassoon che il regista tratteggia in modo esemplare. Le idee dei due mutano lentamente e le convinzioni particolarmente rigide di Sassoon si plasmano al volere di Rivers che , contemporaneamente, comincia ad assumere atteggiamenti sempre più critici sul suo lavoro e sui motivi che lo spingono ad andare avanti. Sassoon morirà al fronte, dove era tornato, debitamente “rigenerato”, mentre preparava un nuovo attacco personale alla trincea tedesca. Rivers chiuderà il film in un pianto amaro, complice di quelle morti, di quei “rigenerati” che grazie alle sue cure possono tornare a nuotare nel fango di un campo di battaglia a servire la causa.
Alessandro Tovani

Critica (2):Nel 1917, il dottor William Rivers lavora nell'ospedale militare di Claiglockart, in Scozia, dove vengono accolti i feriti di guerra, non nel fisico ma nella mente. Lì si trova anche Sigfried Sassoon, poeta e già eroe di guerra, che scrive una coraggiosa dichiarazione in cui, pur non rinnegando i principi che hanno mosso il conflitto, ne denuncia l'ormai inutile massacro di vite e ne auspica una soluzione diplomatica. Grazie all'intervento dell'amico Robert Graves, il poeta-soldato evita la corte marziale e viene affidato al dottor Rivers. In ospedale, Sigfried conosce il giovane Wilfried Owen, che incoraggia a comporre a sua volta poesie. Il dottor Rivers è anche impegnato molto da Billy Prior, che si è chiuso nel mutismo ed ha poi una relazione con Sarah, infermiera conosciuta in un bar fuori. Rivers capisce che il suo ruolo è quello di guarire i soldati solo per renderli abili a tornare di nuovo al fronte, e cerca di opporsi. Wilfried però, considerato 'sano', viene rispedito in prima linea e muore. Sigfried scrive una lettera a Rivers, in cui gli invia l'ultima poesia scritta da Wilfried, che il dottore legge commosso.
Al contrario di quello che capita in buona parte dei film che ci siamo abituati a vedere, in Regeneration di Gillies Mackinnon, dal bel romanzo di Pat Barker (curiosamente, una signo-ra che invade il campo tipicamente maschile del romanzo "politico" e che con questo libro ha vinto anche il Booker Prize) la guerra è vera, i personaggi anche, e così il problema, nonostan-te sia apparentemente lontano nel tempo.
Il regista di Small Faces ci parla di un conflitto che sembra lontano, ma che continua a restare il paradigma della guerra devastante in cui gli uomini si scontrano e si uccidono a pochi metri di distanza. E affronta il problema non nel vivo dell'azione, ma nella riflessione di un momento di pausa che rende quell'azione astratta e para-dossale.
Nella clinica del dottor Williams (Jonathan Pryce, di cui bisognerà prima o poi riconoscere ufficial-mente la straordinaria bravura) si cerca una cura alla coscienza inquieta e tormentata di chi non si arrende alla logica perversa della morte lega-lizzata. È evidente che Siegfried Sassoon non è matto - ma per tutti (siamo in pieno Comma 22) è meglio che lo sia. E non esiste una cura a que-sta malattia del cuore e della logica che non sia la resa al paradosso etico rappresentato dalla guerra - o la sua trasfigurazione nella poesia.
Mackinnon disegna la sua storia con luci cupe, livide, austere, non sbaglia un tono, fa un film nobilmente démodé - e così antiemotivo da es-sere più vicino ai ragionamenti antimilitaristi di Sassoon che ai versi di quell'autentico grande poeta che fu Wilfred Owen.
Ireen Bignardi, La Repubblica, 18/11/1997

Critica (3):L’adattamento di Gillies MacKinnon del racconto di Pat Barker è una bella ed intensa evocazione delle emozioni che la guerra 1914-1918 ha suscitato nei suoi combattenti.
Narrativamente l’epicentro ed il punto di identi-ficazione per gli spettatori è Rivers, il dottore che volontariamente, ma con dolore, ascolta ed assorbe le reazioni alla guerra dei suoi pazienti traumatizzati. Rivers fa proprie le ansie represse dei suoi pazienti, iniziando a soffrire come gli uf-ficiali feriti e vedendo i loro incubi. E’ un guscio vuoto riempito delle personalità degli altri. Per esempio, verso la fine del film, Rivers ha un in-cubo. La cinepresa segue una linea di soldati, ma una successiva inquadratura rivela che si tratta di figure in piedi vicino al letto di Sassoon allucinato. E’ significativo perché implica un’identificazione tra Rivers e i suoi pazienti, e la relazione tra le immagini che descrivono e ciò che lui vede. Questa empatia, e il suo acca-vallarsi con le esperienze dei soldati in una me-moria condivisa, è l’innovazione più commoven-te del film.
Il film evoca i traumi della guerra (e il trauma del loro racconto) attraverso una serie di flashback delle trincee opachi e virtualmente monocromatici. Di nuovo si crea un senso di memoria collettiva quando ogni paziente rivive negli incubi un comune paesaggio fangoso e in rovina.
Più sorprendente è lo stile tecnico che il film a-dotta. Questo è un film palesemente realista, ma la sottile fotografia di Glen MacPherson lavora intensamente, ma quasi impercettibilmente, per manipolare le nostre risposte emotive. Piuttosto tardi nel film ci sono due sequenze giustapposte: prima il viaggio di Rivers per osservare i metodi del Dr Yealland, barbari e concreti, per assicura-re una percentuale di successo del 100% nella cura degli shock, poi la seduta dello stesso Dr Ri-vers con Prior sulla strada della guarigione. La prima è ripresa in una maniera fredda, funziona-le e distaccata – la cinepresa si muove a fatica, il montaggio è funzionale e la luce è forte; al contrario la seconda scena trasmette calore, ge-nerato dall’uso di arancioni sensuali, mentre la cinepresa si muove continuamente tra i due per-sonaggi, come se alla cinepresa piacessero e si prendesse cura di loro.
Stella Bruzzi, Sight and sound, 12/1997

Critica (4):
Gilles Mackinnon
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