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Cristo si è fermato a Eboli


Regia:Rosi Francesco

Cast e credits:
Soggetto: tratto dal romanzo "Cristo si è fermato a Eboli" di Carlo Levi; sceneggiatura: Francesco Rosi, Tonino Guerra, Raffaele La Capria; fotografia: Pasqualino De Santis; musiche: Piero Piccioni; montaggio: Ruggero Mastroianni; scenografia: Andrea Crisanti; costumi: Enrico Sabbatini; interpreti: Gian Maria Volonté (Carlo Levi), Paolo Bonacelli (il podestà Luigi Magalone), Alain Cuny (il barone Rotundo), Lea Massari (Luisa Levi), Irene Papas (Giulia), Frangois Simon (don Traiella), Luigi Infantino (autista), Accursio Di Leo (falegname), Francesco Càllari (dottor Gibilisco), Antonio Allocca (l'ufficiale postale), Tommaso Polgar (il "sanaporcelle"), Vincenzo Vitale (dottor Milillo), Mufi Loffredo (confinata mafiosa), Frank Raviele (il brigadiere dei carabinieri), Stavros Tornes (il segretario comunale), Giacomo Giardina (il becchino), Francesco Capotorto (confinato politico), Vincenzo Licata (un italoamericano), Maria Antonia Capotorto (donna Caterina), Lidia Bavusi (la vedova); produzione: Rai-Radiotelevisione italiana-Tv2 -Vides Cinematografica, Roma-Action film, Parigi; distribuzione: Cineteca dell'Aquila; origine: Italia-Francia, 1979; durata: 160'.

Trama:1935. Il medico-pittore torinese Carlo Levi, condannato al confino dalla dittatura fascista, accompagnato da due carabinieri, scende dal treno alla stazione di Eboli: "Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui, né vi è arrivato il tempo, né l'anima individuale, né la speranza, né il legame tra le cause e gli effetti, la ragione e la Storia". Il viaggio prosegue in pullman e quindi in automobile. Raggiunto Gagliano, Carlo inizierà le sue piccole passeggiate in compagnia del cane Barone. Lentamente prenderà contatto con la popolazione che finirà per imporre, tanto a lui quanto al podestà fascista, di esercitare la professione di medico. Visitato dalla sorella Luisa, prenderà alloggio in una casa ove lo servirà Giulia. Si darà alla pittura. Scambierà parole con gli abitanti, con il podestà, con il misterioso Don Trajella. La conquista dell'Abissinia gli porterà la libertà. Tornato a Torino carico di ricordi, scriverà il libro che fa da soggetto al film.

Critica (1):(...) L'originalità di Levi è consistita nel suo approccio nordico e borghese al Sud contadino; nel suo rigetto del populismo denunciatario degli scrittori meridionali del dopoguerra a favore di un populismo superiore, di stampo quasi russo; nel suo interesse per il mondo magico, per la comprensione del mito al fine della comprensione stessa della storia, come concreto e autonomo e valido sistema di valori (...). Ora Rosi e i suoi collaboratori, a anni-luce dal contesto di Levi (quando cioè la grande migrazione interna, la televisione, il boom, l'illusoria industrializzazione, la scolarità di massa fin universitaria, e i molteplici fallimenti della politica delle sinistre, hanno radicalmente trasformato quel contesto), non possono che vedersi nella loro realtà di intellettuali meridionali, parte in causa di una storia e delle sue disgrazie, e intellettuali di oggi, di dopo la trasformazione di un mondo contadino e della sua civiltà cui non hanno mai aderito (e non potevano farlo per ovvi motivi di collocazione). (...) Rosi si concentra dunque su due aspetti dell'opera: la capacità (straordinaria) di Levi, ma solo in questo tra i suoi libri sul Sud, di descrivere in termini sociologici, da osservatore-partecipante, una comunità meridionale tipo; e il rapporto stesso tra Levi e quel mondo, oggettivato, distaccato dal narcisismo prepotentissimo del narratore che già si sceglieva la parte di un'olimpica accettazione e affermazione della sua diversità culturale e sociale. Descrive dunque Gagliano precisando le componenti sociali di quel microcosmo rappresentativo, senza affatto privilegiare i contadini, e anzi più interessato ai piccoli-borghesi, agli ex-emigrati, al barone, all'esattore delle tasse, al prete-intellettuale fallito perché fallita è la sua missione di integrazione tra ideologia cattolica e mondo magico contadino e che non accetta la sua funzione di cane da guardia della piccola borghesia, che non ai contadini, uomini e donne e bambini (sparisce, e è un peccato, il bellissimo personaggio del ragazzo "Capitano", che avrebbe potuto avere, e forse per questo è sparito, un significato politico trascendente la descrizione storicizzata di quell'ambito preciso: e contrariamente alle altre componenti sociali, quella contadina si fa personaggio nel solo caso di Giulia), che restano in sostanza elementi di sfondo, o una componente comunque non centrale agli interessi del regista. L'enunciazione tematica del film è sintetizzata dal dialogo tra don Luigino e il medico-pittore confinato: scena risolta con tutta semplicità, per affermare la forza dei discorsi, e in cui il " Luigino " è tuttavia più distanziato che non nel libro, a dire cose che un senso e una forza continuano ad avere, come se Rosi non potesse disconoscere una qualche ragione a quel discorso di fronte alla visione solo negativa dello Stato che Levi attribuisce al mondo contadino, ma a cui egli sembra aderire. Qui è forse il distacco maggiore di Rosi da Levi, della tradizione meridionalista da quella, diciamo, cattaneana. E il dilemma è forse tutt'altro che risolto e facilmente risolvibile ancor oggi. Ma insomma Rosi ha saputo cavarsela egregiamente in questa lettura di Levi e di un testo classico e "settentrionale" del meridionalismo. Senza bluffare. Senza tradire Levi e senza tradire se stesso.
Goffredo Fofi, Dieci anni difficili, La Casa Usher, 1985

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Francesco Rosi
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