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Giovanna D'Arco - Jeanne la pucelle


Regia:Rivette Jacques

Cast e credits:
Sceneggiatura: Christine Laurent, Pascal Bonitzer; fotografia: Willy Lubtchansky; scenografia: Manu de Chauvigny; costumi: Christine Laurent; suono: Florian Eidenbenz; montaggio: Nicole Lubtchansky; mixage: Bernard LeRoux; musica (diretta e interpretata): Jordi Savall; interpreti: Sandrine Bonnaire (Jeanne), Tatiana Moukhine (Isabelle Romée), Baptiste Roussillon (Baudricourt), Olivier Cruveiller (Jean de Metz), André Marcon (Charles, delfino di Francia), Jean-Louis Richard (La Trémoille), Didier Sauvegrain (Raoul de Gaucourt), Jean-Pierre Lorit (Jean d’Alençon), Patrick le Mauff (Bâtard d’Orléans), Catherine Bidaut (dame Boucher), Pierre Baillot (Jacques Boucher), Marcel Bozonnet (Regnault de Chartres), Stéphane Boucher (La Hire), Xavier Maly (Xaintrailles), Jean-Pierre Becker (Jean d’Aulon), Philippe Morier-Genoud (Philippe le Bon), Yann Collette (Jean de Luxembourg), Edith Scob (Jeanne de Béthune), Monique Mélinand (Jeanne de Luxembourg), Alain Ollivier (Pierre, évêque de Beauvais), Michel Berto (Guillaume Erard); produzione: Pierre Wallon per Martine Marignac; origine: Francia, 1994) durata: “Le battaglie”, 160' - “Le prigioni”, 176'.

Trama:Prima parte "Le battaglie" (Les batailles): gennaio-maggio 1429. La sedicenne contadina lorenese (1412-31) di Donremy si fa affidare un esercito da Carlo, Delfino di Francia, rimane ferita in battaglia, contribuisce alla riconquista della fortezza delle Tourelles, costringendo gli inglesi a togliere l'assedio a Orleans. Seconda parte "Le prigioni" (Les prisons): luglio 1429-30 maggio 1431 quando Giovanna sale sul rogo a Rouen. Il film procede per capitoli brevi, disposti in modo lineare e monodico, a mezza strada tra realismo e stilizzazione.

Critica (1):Trent’anni fa, Jaques Rivette lavorò a La Religieuse. Il signor Papon, prefetto di polizia, avvertì il produttore Georges de Beauregard dei rischi di proibizione totale che correva il film. Pertanto, nel 1963, importanti rimaneggiamenti erano stati apportati al progetto per ammansire le inquietudini della censura. Il 2 aprile 1965, le Monde annunciò: “Benché la commissione di controllo abbia dato per due volte parere favorevole con una larga maggioranza, il signor Bourges, segretario di Stato per l’informazione, sta per vietare il film Suzanne Simonin, la Religieuse.” Polemiche, dibattito all’Assemblea Nazionale, presa di posizione di André Malraux che “non vuole inconvenienti” rispetto al fatto che il film sia presentato a Cannes: lo è due volte, davanti a pubblici selezionati e costumati. Nel marzo 1967, un tribunale amministrativo annulla la decisione di divieto, il film esce nel luglio 1967. Nel 1993, Jacques Rivette non ha lavorato in questo clima di conflitto intellettuale contro l’oscurantismo. Nel 1994, non ci sarà un “affaire” di Giovanna d’Arco, tanto le due ore e quaranta del primo film, Le battaglie, e le due ore e cinquantasei del secondo, Le prigioni, mettono alla prova l’interesse dello spettatore. Pure, a dispetto dell’esigenza di plausibilità del regista che ha l’assillo di collocare la sua non-epopea in una guerra dei Cento Anni molto lontana da noi, il film non è per nulla indifferente al presente.
Tratta di un eroina positiva della fede. Non serve, certamente, la Chiesa. Va comunque ugualmente nel senso delle correnti contemporanee che operano per un ritorno alla religiosità. Certamente, queste considerazioni devono essere estranee a Jacques Rivette le cui intenzioni non hanno niente in comune con il proselitismo. Come nel 1966 in cui confidò a Lettres françaises: “La Religeuse è lo schema di una situazione che ritroviamo ogni volta che l’autorità si serve della fede dell’individuo per reprimerlo”, non è animato che da una fede segreta e pura di cui difende il diritto all’esistenza, ma nulla di più.
Impossibile ricondurre la sua impresa a dei retro-pensieri prefabbricati. Giovanna d’Arco è un film austero, che rifiuta lo spettacolo: non è d’altra parte giansenista. Rigetta tutte le evocazioni-rappresentazioni delle voci: non per questo è bressoniano. Ancora meno tentato dal misticismo mortificante della Thérèse di Alain Cavalier. No, lontano da Rossellini e dai suoi grandi piani illuminati dallo splendore della grazia (qui, qualcuno dice di cogliere di sfuggita le “guance rosse” di Giovanna alle prese con le sue voci), lontano da Rohmer e dalla sua stilizzazione d’esteta, non c’è in Giovanna d’arco che il minimalismo, il puritanesimo propri di Jacques Rivette. Non c’è che la sua tensione all’assoluto. Dopo il successo di La bella scontrosa, può permettersi il lusso di sacrificarlo. Perché no?
La sua Giovanna è stupenda per semplicità e quindi d’autonomia. Sandrine Bonnaire lo supporta con l’energia, la baldanza di una vera marciatrice. Dopo La prigioniera del deserto la sapevamo capace di misurare a grandi passi le dune. Qui, misura il pesante terreno della storia. Né vittima né allegoria, un po’ caposquadra scout, gira in mezzo ai masnadieri come in mezzo a un cortile per la ricreazione. È senza macchia e senza paura, senza senso di colpa e senza molte certezze. Dubita anche con moderazione, afferma senza imporre. è donna, e, se rifiuta la sessualità, non è per negare il suo sesso ma per essere uguale ai suoi compagni: un soldato. è pensata da uomini di un tempo che ha conosciuto il femminismo. Questi la vedono schietta, limpida e sola di fronte al meccanismo maschile della Monarchia e della Chiesa (non ci sono eserciti ma dei capi con le truppe che hanno loro giurato fedeltà).
Jacques Rivette e i suoi dialoghisti Pascal Bonitzer e Christine Laurent la seguono nel campo agitato dei meccanismi del potere. Suzanne Simonin è stata repressa, Giovanna è minacciata di manipolazione. Il grosso La Trémoille (formidabile Jean-Louis Richard) l’allontana dal suo cammino, la fa cadere nelle pieghe della politica. Ella si difende meno bene da queste che dagli inquisitori che destabilizza, tanto è poco retorica e coscientemente obiettiva. I lavori degli storici hanno dato i loro frutti. Questa Giovanna d’Arco è senza dubbio, di tutte quelle che l’hanno preceduta, la meno “recuperata” dalle ideologie ansione di impadronirsene che fecero di lei sia una figura da seminario, sia un’emanazione del popolo che veste i suoi nascenti sentimenti nazionali. Ultima versione che, deviata, porta ai riti lepeniani e al culto della statua dorata di piazza delle Piramidi. Tanti scogli evitati sono sufficienti all’elaborazione di un personaggio che ci coinvolga?
Noi lo riconosciamo, ci è simpatico, ma si stacca da un patrimonio rivisitato. La problematica del rapporto dei Giusti con la ragion di Stato quando travolge gli slanci della generosità e del dono di sé è più interessante. È certo che questa Giovanna, cittadina ante litteram, guidata da una morale umanista e che tiene testa ai Grandi e alla Chiesa, offre altre prospettive rispetto a quelle dei “ pazzi di Dio” che affollano la nostra fine secolo o quelle delle istituzioni planetarie che pretendono di dettar legge a tutti i popoli. Noi abbiamo bisogno di giusti, ma Jacques Rivette sa bene che è un pio desiderio. L’esprime con pragmatismo e ce lo fa comprendere con l’interpretare lui stesso il curato di Vaucoleurs, che esorcizza Giovanna per rassicurare il signore de Baudricourt. Il prete sa che lei non è né strega, né demente, né eretica, le dà la sua opportunità. La possibilità di seguire la sua strada. Così è dell’ambiziosa impresa del cineasta, un gesto per la continuazione del mondo.
Non ho parlato di messinscena, di messa in immagini. Ci sono delle belle sequenze, un immaginario nutrito d’iconografia che data agli inizi della scuola laica, uno sguardo riuscito (quadro nel quadro) delle marce dell’Est che esaltavano Barrès.
La Loira è angusta, la cattedrale di Reims (anche se La Trémoille spiega che l’epoca non è per le adunate di massa) troppo improbabile. Jacques Rivette sa creare le tensioni fra personaggi legati da una vera posta in gioco privata: le scene del confronto fra Giovanna e i suoi giudici o i suoi compagni aristocratici, amici o nemici, hanno del vigore. Quelle di spazio e d’azione non ne hanno.
Françoise Aude, Positif n. 396 febbraio1994

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