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Vita da cani - Dog's Life (A)


Regia:Chaplin Charlie

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Charlie Chaplin; fotografia: Roland Totheroh; scenografia: Charles D. Hall; interpreti: Charlie Chaplin (Vagabondo), Edna Purviance (cantante nel caffè), Henry Bergman (uomo al collocamento/signora in sala da ballo), Charles Riesner (commesso viaggiatore), Albert Austin (imbroglione), Tom Wilson (poliziotto), Granville Redmond (proprietario sala da ballo), Millie Chaplin (signora piangente), Alf Reeves (uomo al bar), N. Tahbel (venditore di cibo indiano), Rob Wagner (uomo alla sala da ballo), L.S. McVey (orchestrale), J.F. Parker (orchestrale), Syd Chaplin (venditore di panini); produzione: Charlie Chaplin per First National; distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Usa, 1918; durata: 36'.

Trama:Charlot non riesce, nonostante i molti tentativi, a trovare un lavoro che gli consenta una vita passabile. La sua giornata è quella del vagabondo, continuamente affamato e infreddolito; non ha casa, e dorme su un prato. Si fa un amico: un cane. In una trattoria, fa la conoscenza di una cantante e Charlot conosce finalmente la possibilità di poter avere qualcuno con cui scambiare qualche parola.
Nel frattempo alcuni ladruncoli si sono impossessati di un portafogli e lo sotterrano nel prato dove Charlot è solito sostare Il cane, notata a fiuto l'insolita presenza, mette alla luce il portafogli. A Charlot sembra quasi impossibile, e corre felice alla trattoria. Trova però che la cantante è stata malamente licenziata e fa di tutto per consolarla. 1 ladri resisi conto dell'accaduto sono presto sulla pista del trafugatore e riescono con varie astuzie e riprendersi il conteso portafogli. Dopo alterne e imprevedibili vicissitudini Charlot può recuperare ancora una volta i denari. Potrà così sposare la cantante e trasferirsi con lei in campagna, per trascorrere in una fattoria una vita più felice.

Critica (1):A Dog's Life rappresenta il primo concreto tentativo di spostare l'asse del discorso dal ruolo in sé meccanico della maschera a quello del personaggio: Charlot cessa di essere oggetto del discorso per diventare, grazie alla sua dilatazione, soggetto. Tutto ciò implica un processo di ampliamento nel processo di significazione e la rinuncia a molti degli schematismi in precedenza adottati, come la caricatura (qui limitata solo ad alcune figure secondarie, come il donnone che piange, di tipica estrazione clownesca) o come l'inseguimento (ridotto a tre sole inquadrature all'uscita dalla taverna). Il rifiuto della meccanicità, che è poi rifiuto della struttura mitica del racconto, è evidente nella consequenzialità semantica dei gag: se altrove troviamo gag che potrebbero innestarsi su qualsiasi trama, qui essi sono insostituibili, caratterizzati da una coerenza semantica riassumibile schematicamente nella amara ironia del titolo. Il regno della maschera è il mito, quello del personaggio è la storia. Chaplin ricerca questo spostamento di piani significanti in una precisa connotazione "ambientale" (come già in The Immigrant), ma anche nella struttura stessa del racconto: Charlot non è piú una marionetta, per quanto emblematica, data come immutabile, ma il risultato di una "condizione umana" determinata nel segno della fame e della miseria; proprio quando lo riscopre come soggetto, Chaplin ne illumina criticamente l'alienazione di fondo.
La chiusura di A Dog's Life apre la strada ad una possibile interpretazione marginale del cinema chapliniano come espressione (anche) d'una latente sessuofobia, costante in tutta la sua opera, il "pudore scandaloso" di cui parla Delluc. I rapporti del personaggio con le sue partners sono sempre asessuati, venati da un'impronta favolistica che li trasporta nel regno dell'astrazione. Esse non sono che variazioni su un unico tema, quello della donna indifesa e debole, da salvare. Il finale di A Dog's Life consiste significativamente nella sostituzione d'una cucciolata del cane ai bambini che la convenzione vorrebbe per il rapporto Charlot-Edna. Scrive lo stesso Chaplin: "A differenza di Freud, io non credo che il sesso sia l'elemento piú importante nella complessità del comportamento. È piú facile che incidano sulla psicologia il freddo, la fame e la vergogna della miseria. Come per chiunque altro, la mia vita sessuale ha avuto un andamento ciclico. A volte fu molto attiva, a volte una delusione. Ma non fu mai al centro dei miei interessi ".
La donna in Chaplin è spesso un doppio di Charlot, come la Paulette Goddard di Modern Times. C'è in tutto ciò una chiara discendenza dal puritanesimo inglese ottocentesco, una vena di malinteso romanticismo. Sole eccezioni in questo panorama sono alcuni sparsi gag: in Behind the Screen (l'atteggiamento equivoco del padrone quando scopre Charlot flirtare con Edna travestita da uomo), in The Count (le famose occhiate di Charlot alla bajadera) e piú tardi in City Lights (il tentativo di "seduzione" prima dell'incontro di boxe) e le garbate allusioni di Monsieur Verdoux o di A King in New York. In ogni caso si tratta di eccezioni che non investono mai il senso della presenza femminile, un ruolo semanticamente subordinato e privo di autonomia. Tra questi simboli, piú che personaggi, si può comunque ravvisare una diversità significativa di funzioni: quando la donna si trova nelle stesse condizioni sociali di Charlot (come in The Immigrant o in A Dog's Life, ad esempio), essa può dividere il suo destino con Charlot (e abbiamo allora un happy end, piú o meno convinto e convicente) - ma quando appartiene a un altro ambiente sociale, Charlot è senza speranza. Il pessimismo di Chaplin circa l'emarginazione del personaggio non viene nemmeno sminuito dalla presenza dell'amore, perché questo non può in pratica essere ricambiato da una classe all'altra.
L'importanza di A Dog's Life sta soprattutto nella rigorosa articolazione strutturale e nel rapporto che questa fonda con la realtà del suo tempo. Questa tensione all'ampliamento narrativo rimane ancorata all'archetipo, ad una struttura situazionale e drammatica già fondata dal cinema in generale e da quello di Chaplin in particolare (con l'uso del personaggio-maschera, innanzitutto); essa si pone implicitamente nella linea della parodia, cioè come "creazione di un sosia scoronizzante", elaborazione strutturale di un "mondo alla rovescia" (Bachtin). Chaplin usa da un lato la caricatura (deformazione del referente), dall'altro la struttura mitica, la fabula già data, il personaggio già conosciuto (deformazione del codice retorico). In entrambi i casi il risultato è una contraddizione che si pone fra l'individuo (nella sua forma mitica di personaggio-maschera, di Charlot simbolo dell'uomo) e la società (riflessa nei miti narrativi che essa produce). Si assiste cosí ad uno spostamento di significanti e ad una modificazione delle loro funzioni "sociali": non a caso ciò che è drammatico nella realtà diventa occasione del comico, il quale nasce non solo dalla presenza di Charlot personaggio incongruo, ma dalla struttura stessa della narrazione.
Il ritmo imposto da Chaplin al gesto, al movimento, e quindi al montaggio, introduce un nuovo ordine del discorso (diverso sia da quello "reale" che da quello "culturale"), un continuo "balletto", al cui centro è sempre e comunque il personaggio-segno Charlot. Cosí anche la disperazione di certe "chiusure" presenta un suo rovescio: Charlot si avvia da solo lungo una strada deserta o si rifugia in un angolo di realtà del tutto avulso dal contesto realistico (un angolo di fiaba): la solitudine è la sola possibilità di vittoria di chi è istituzionalmente sconfitto; è la forma definitiva e introitata dell'emarginazione; ma è al tempo stesso la possibilità che ha il personaggio di restare dominatore della scena. Chaplin ribalta la prospettiva mitica dell'eroe, facendone un anti-eroe, ma contemporaneamente usandolo come segno positivo al confronto della connotazione negativa dell'altro: ristabilisce cioè il predominio semantico dell'individuale laddove il connotato realistico sembra spostare il senso del predominio verso la logica della narrazione, che è quella, tradizionalmente, della sconfitta. (...)
Giorgio Cremonini, Charlie Chaplin, Il Castoro Cinema, 11/1977

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Charlie Chaplin
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