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Terza generazione (La) - Dritte Generation (Die)


Regia:Fassbinder Rainer Werner

Cast e credits:
Soggetto, sceneggiatura, fotografia: Rainer Werner Fassbinder; musiche: Peer Raben; montaggio: Juliane Lorenz; scenografia: Raoul Gimenez, Volker Spengler; interpreti: Volker Spengler (August Brem), Bulle Ogier (Hilde Krieger), Hanna Schygulla (Susanne Gast), Harry Baer (Rudolf Mann), Vitus Zeplichal (Bernhard von Stein), Udo Kier (Edgar Gast), Margit Carstensen (Petra Vielhaber), Günther Kaufmann (Franz Walsch), Eddie Constantine (P. J. Lurz); produzione: Tango-Film, Berlin - Pro-ject Filmproduktion im Filmverlag der Autoren; origine: Germania,1979; durata: 110'.

Trama:Un industriale che si occupa di congegni elettronici, contatta e finanzia un gruppo di terroristi a Berlini perché mettano in scena il suo rapimento. Lo scopo è di incrementare la vendita allo Stato di computer sempre più specializzandosi nella individuazione e persecuzione dei giovani che fanno parte di cellule eversive. Tutti ottengono il risultato desiderato: l'industria guadagna, la polizia indaga, i terroristi celebrano la loro voglia di imprese sempre più assurde e sanguinose. Poi nel gioco subentra il tradimento.

Critica (1):La terza generazione non è una "visione teorica" del terrorismo, non è un'interpretazione di cause ed effetti, non è un'analisi di comportamenti. Fassbinder non si lascia prendere dalle attrattive del rivestimento sociologico, come non riproduce psicologia alcuna, evitando le trappole del caso umano (errori macroscopici in Anni di piombo). Con minor ambizione egli costruisce semplicemente un film d'azione, qua e là giocato tra le seduzioni del noir e quelle del dramma senza luce. Ne vien fuori in tal modo non un'immagine del terrorismo, ma un'immagine del mondo, dove il terrorismo vi appare come elemento, come costituente, come dato di fatto, come fattore necessario. La stessa predominanza del "movimento" cinematografico rispetto alle prerogative del soggetto, porta Fassbinder ad un giudizio dell'esistente che supera il fenomeno singolo, o comunque isolabile per specificità proprie, per "dedurre" dalla mostruosità del mondo l'inevitabile, ma comprensibile, generazione e degenerazione di possibili destini.
Perciò la forma è di necessità atteggiamento morale; Fassbinder non parla di terrorismo, non appronta un discorso politico, ma getta sullo schermo un clima, un décor; luoghi, percorsi, spazi, modi d'essere dove quelle azioni sono ben ambientate, perfettamente e deterministicamente collocate. Anche i personaggi vengono sovrastati dalla loro essenza, dalla loro funzione sociale; non sappiamo perché sono diventati terroristi, attraverso quali esperienze individuali: non hanno storia, non dichiarano ragioni di opposizione e rifiuto. Le loro azioni sono al presente; ciò che mostrano è la trama prima del loro doppio gioco, poi delle loro clandestinità, delle loro morti, dei loro attentati.
[...] La terza generazione è tra i film più gelidi di Fassbinder; l'autore non entra mai nell'opera, i personaggi vengono abbandonati al loro destino, la macchina da presa si tiene costantemente in disparte e alla lontana, con l'intento a volte di spiare, ma sempre con la volontà di non farsi coinvolgere nel complotto. Questo distacco è già contenuto nell'epigrafe al film per mano di Fassbinder: "Una commedia in 6 episodi che tratta di giochi di società pieni di suspence, eccitazione, logica, crudeltà e follia simili alle favole che si raccontano ai bambini per aiutarli a sopportare la loro vita fino alla morte". Da parte dell'autore c'è solamente un lavoro di costruzione, la capacità di dar forma ad un evento spettacolare, di usare elementi espressivi che possono anche essere indipendenti rispetto al contenuto, alla materia narrativa. In questo modo Fassbinder può giocare con il soggetto del film senza lasciarsene prevaricare, ottenendo, sul piano della narrazione, di controllare eventuali emorragie della storia nel dominio del linguaggio. Con questo riduce la portata del contenuto, assumendo però come autore una responsabilità enorme: quella di circoscrivere i personaggi nella propria Weltaushaung; pertanto essi non debordano dalle intenzioni del regista, acquistando vita propria, ma finiscono per essere servitori in tutto e per tutto di una regia totalitaria. Il loro abbandono coincide, nell'economia del film, con la loro completa sottomissione alla rappresentazione. Doppiamente strumenti, come referenti e come segni, denunciano il loro scarso significato. E se intravediamo su di essi tracce di sensazioni che ci parlano della condizione del viver nostro, è Fassbinder a sovrapporre loro la sua rabbia e la sua disperazione. Quei corpi che si agitano, che fuggono braccati, che si travestono, che muoiono violentemente ricordano la tenace protesta della solitudine di Fassbinder. E la loro stupidità, il loro andare incontro alla morte forse per evitare di sopportare la vita, in definitiva la loro sconfitta esistenziale, dichiarano senza falsi pudori l'arroganza di un sistema che riesce ad accomunare asservimento, ribellione ed integrazione. È veramente un gioco di società, un salotto borghese di personaggi irriconoscibili senza maschera; un carnevale dove la follia non è una parentesi, o una diversità, ma la logica di un'evoluzione a breve termine. L'inutilità del terrorismo alla luce di qualche cambiamento coinvolge la paura di Fassbinder e mostrare questa inutilità con l'ingrandimento cinematografico è un atto di rivolta contro l'illusione di un facile mutamento. È vero, in un film ci sono bugie ventiquattro volte al secondo, ma come la finzione può stravolgere il significato delle cose essa può pure rompere una finzione vissuta o fatta passare per verità. La vera messa in scena è il terrorismo stesso, le interpretazioni che ne sono state date, i programmi politici, le catture, i rapimenti, i processi, le vittorie della legge (il film, che si riferisce agli epigoni del terrorismo tedesco può essere un motivo di meditazione per il caso italiano). Molte favole sono state raccontate: perché la gente inorridisse e fosse fiduciosa di essere in buone mani, perché il futuro sarebbe stato diverso e la giustizia democratica avrebbe trionfato e la vita sarebbe stata sopportabile fino alla morte. Poi il terrorismo è passato di moda...
Angelo Signorelli, Cineforum n. 231, 1984

Critica (2):Anche il film successivo, Die dritte Generation, è prodotto in proprio da Fassbinder. Non per scelta, ma per necessità, visto che nessuno organismo statale se la sentiva di finanziare un progetto riguardante il terrorismo. La "terza generazione" infatti, significa secondo l'autore "l'attuale generazione di terroristi, se accettiamo l'idea che precedentemente ce ne siano state una prima e una seconda. La prima generazione è quella che è virtualmente impazzita per il suo idealismo accoppiato alla quasi patologica disperazione e impotenza di fronte al sistema e ai suoi rappresentanti. La seconda generazione sarebbe quella la cui comprensione delle motivazioni della prima l'ha spinta a difenderne i rappresentanti, spesso nel senso letterale del termine, dato che molti erano veri avvocati... La terza generazione di terroristi ha in comune con i suoi due immediati predecessori meno di quanto abbia in comune con questa società e e col potere che essa esercita, chiunque di questo potere benefici. Sono convinto che non sanno quello che fanno e l'unico significato che si può trovare nelle loro azioni è l'azione stessa... Agire pericolosamente, ma senza alcun progetto, sperimentare l'ebrezza dell'avventura fine a se stessa, queste sono le motivazioni della terza generazione" (presentazione al film tratta dal materiale stampa. Fassbinder (che non si è mai espresso di propria volontà in modo così organico su un suo film) prosegue: "che dono del Signore deve essere per lo Stato questo terrorismo, un terrorismo che agisce senza motivo e che perciò non comporta alcun pericolo... In verità, se questi terroristi non esistessero, lo Stato, al presente livello di sviluppo, dovrebbe inventarli. forse lo ha già fatto? Perchè no?" Conseguentemente, la complicatissima trama si incarica di mettere in rilievo il velleitarismo e l'ambiguità politica di questo terrorismo. Definito nei titoli di testa "Una commedia in sei parti su giochi di società, tutta suspense, emozione e logica, crudeltà e pazzia, proprio come le fiabe che si raccontano ai bambini per rendere più tollerabile la vita che si conclude nella morte", Die dritte Generation è una pastiche grandguignolesca che ogni tanto smarrisce la sua intenzione a causa degli eccessivi stimoli intellettuali che raccoglie e produce. Si concordi o meno con l'atteggiamento di Fassbinder verso il terrorismo post-RAF (un giudizio che è saggio lasciare all'intelligenza politica di ognuno) è più significativo rilevare come dato oggettivo (e coerente con Germania in autunno e In einem Jahr mit 13 Monden) l'invasione dello schermo da parte dei mass media, che trasformano il film in un incubo di suoni e di immagini nelle immagini. Succede così che i terroristi siano vittime (e causa!) della stessa alienazione e dello stesso isolamento del personaggio-Fassbinder di Germania in autunno. Figli della televisione e del cinismo, i componenti della terza generazione agiscono come secondo un copione di sceneggiato e forniscono essi materia per nuovi programmi. Estranei ala realtà (e alla cultura umanistica di Baader o della Enslin), sono condizionati dalla continua mediazione alla vita (e al cambiamento ) offerta dai mezzi di comunicazione di massa. Ma laddove Fassbinder accettava - seppur masochisticamente - questa situazione per testimoniarla nuovamente e problematicamente come artista attraverso un film, Brem & Co. non possono che ripetere nella vita gli atteggiamenti di un film e sono così condannati a perdersi definitivamente. Ciascun personaggio è un po' manipolato e un po' manipolatore, in una messa in scena in cui si è dimenticato chi sia il regista - ma dove sono rimasti tanti buttafuori disumani e armati fino ai denti.

Davide Ferrarlo, FASSBINDER - IL CASTORO CINEMA nov./dic. 1982

Critica (3):

Critica (4):
Rainer Werner Fassbinder
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