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Porta del cielo (La)


Regia:De Sica Vittorio

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini, Diego Fabbri, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Carlo Musso; fotografia: Aldo Tonti; arredamento: Enrico Ciampi; musica: Enzo Masetti diretta da Franco Ferrara; cori: diretti da Bonaventura Somma, con i solisti Guido Agosti, Ferruccio Vignanelli; montaggio: Mario Bonotti; assistenti alla regia: Paolo Moffa, Carlo Musso; interpreti e personaggi: Marina Berti (la crocerossina), Elettra Druscovich (Filomena), Giuseppe Forcina (l'ingegnere), Massimo Girotti (il giovane cieco), Giovanni Grasso (il vecchio paralitico numero ventotto), Roldano Lupi (Giovanni Brandacci), Maria Mercader (Maria), Carlo Ninchi (il compagno del cieco), Elli Parvo (la signora elegante), Amelia Bissi (la signora Enrichetta), Cristiano Cristiani (Claudio Gorini), Pino Piovani (sua zia), Enrico Ribulsi e Giulio Alfieri (i due ragazzi snob), Guido Calì (il napoletano curioso), Gildo Bocci; direttore di produzione: Alberto Tronchet; direzione generale: Salvo D'Angelo; collaborazione documentaria: Film Conti di Senigallia; produzione e distribuzione: Orbis; distribuzione: Lux Film; origine: Italia, 1944; durata: 88'.

Trama:Storia di un pellegrinaggio in treno a Lourdes con una serie di casi pietosi: un ragazzo paralitico aiutato da un'orfana, un pianista che ha perduto l'uso di una mano, un operaio cieco, accompagnato da un compagno responsabile del suo infortunio.

Critica (1):È possibile giudicare questo film come tanti altri, rilevarne i difetti e i pregi con l'occhio dello spettatore imparziale, ma sarebbe un errore limitarsi a tanto e non scendere invece ad un esame obiettivo delle intenzioni che lo dettarono. Sino a scoprire -per esempio - che quelle intenzioni non hanno permesso al film di prendere una piega facilmente apologetica, l'hanno anzi salvato dal pericolo di riuscire freddo o appena illustrativo: eppure sappiamo che niente genera la cattiva letteratura come le buone intenzioni e gli ottimi sentimenti. La porta del cielo narra di miracoli. Il primo miracolo - mi sembra - è lo stesso film, portato a termine dopo sette mesi di lavorazione attraverso incredibili difficoltà. Non si legge il diario di produzione di questo film senza restare sbalorditi per la serie di incidenti drammatici che ne rallentarono il corso. Basterà ricordare che il 3 giugno scorso, mentre a pochi chilometri di distanza si decideva la battaglia per Roma, ottocento persone tra comparse e tecnici vari erano agli ordini del regista nell'interno della basilica di San Paolo, intenti a girare, mostrando un disprezzo per la guerra che soltanto Archimede avrebbe condiviso. "Li avevo chiusi a chiave - racconta De Sica - altrimenti qualcuno scappava». E ride come di uno scherzo riuscito. Zavattini, uno degli autori del soggetto e della sceneggiatura, mi diceva che bisogna considerare il film perlomeno come uno sforzo professionale. Aggiungerò per mio conto che si tratta di un film esteticamente genuino, che non chiede grazia per la nobiltà del contenuto. Di un film "italiano" sotto tutti gli aspetti e che arriva al momento opportuno. Il film è stato girato a Roma durante i mesi dell'occupazione tedesca. Probabilmente sarebbe rimasto incompiuto se non fosse stato di proposito una risposta a quell'occupazione, agli atti che la caratterizzarono, e addirittura alla filosofia che l'aveva fatalmente provocata come episodio di una guerra diretta più contro l'Uomo che contro determinate nazioni.
La vicenda si presenta frammentaria. Un treno "bianco" parte alla volta di Loreto col suo carico di infermi. Tra questi, un ragazzo, un vecchio commerciante, una ragazza, un pianista, una vecchia domestica, un giovane cieco: tutte persone che tentano il viaggio animati da una segreta speranza: il miracolo. Vedremo poi che il miracolo non ci sarà, ma tutti avranno trovato in quei pellegrinaggio, al contatto dell'infelicità altrui, la fede necessaria per sopportare la propria. Da questo tenia, De Sica ha tratto un film denso e verosimile (carico di speranza e di pietà come nessun'altra opero del nostro cinema), senza peraltro sciupare le grandi parole, ma narrando le storie dei vari personaggi. Abbiamo parlato di frammentarietà: in effetti, per colpa anche di un montaggio poco sottolineato, queste storie si inseriscono con qualche prepotenza nella vicenda comune, e ognuno tenderebbe a farla da padrone. Al termine di ogni singola storia si stenta a rientrare in carreggiata e a riprendere il viaggio verso il Santuario: ma il difetto è compensato dalla felicità che De Sica ha saputo mettere nelle sue narrazioni. tutto l'episodio che si svolge nella fabbrica di ghiaccio sorprende per efficacia e disinvoltura, per i suoi personaggi ben tratteggiati e contenuti. Così pure l'episodio del pianista, il suo ritorno a casa, la sua disperazione: mentre meno necessaria appare tutta la storia familiare montata addosso alla povera domestica. De Sica sa portare nelle sue opere quel tanto di vivo e di osservato, che fa la loro fortuna. In questo film i momenti felici abbondano e danno a tutta la vicenda un respiro agevole, immediato, direi quotidiano. Era facilissimo sbagliare questo film trincerandosi dietro la nobiltà dell'assunto: De Sica non l'ha fatto perché è riuscito a rimanere se stesso. Quel bambino che viene issato o braccia nello scompartimento e che sorride quasi scusandosi della sua infermità, quelle giovani viaggiatrici che sottolineano l'arrivo del treno a Napoli cantando nostalgicamente - come tante volte ci è accaduto di verificare nella realtà -, quel sordido vicolo meridionale, la finta allegria del cieco, sono tutti motivi fermati con occhio sensibile e che fanno la grazia del film dando verità all'azione, impedendo il fiorire della retorica. Dirò anzi che il pubblico è talmente attratto da questo abile e spontaneo giuoco del regista che soltanto alla fine scopre le intenzioni del film, quanto cioè non farebbe più in tempo a trovarle edificanti, nobili e forse noiose. Tra gli attori ricordiamo Marina Berti, Massimo Girotti, Maria Mercader, Roldano Lupi, Carlo Ninchi. Ci sembra anche doveroso ricordare che la titanica produzione di questo film è opera di Salvo D' Angelo. E, considerati gli sforzi che sono stati necessari per portarlo a termine e il risultato raggiunto, siamo d'accordo con lui quando afferma che la più convincente deduzione che affiora da questo lavoro è che il cinema italiano dispone di uomini che rappresentano la sola vera ragione per la quale non potrà perire.
Ennio Flaiano Domenica, II, 18, Roma, 6 maggio 1945 poi in E. Flaiano, Lettere d'amore al cinema, Rizzoli, Milano, 1978, pp. 69-7

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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