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Via Lattea (La) - Voie Lactée (La)


Regia:Buñuel Luis

Cast e credits:
Soggetto: Jean-Claude Carrière, Luis Buñuel; sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Luis Buñuel; fotografia: Christian Matras; musiche: Luis Buñuel; montaggio: Louisette Hautecoeur; costumi: Jacqueline Guyot; interpreti: Claude Cerval (brigadiere), Paul Frankeur (Pierre), Ellen Bahl, Jean Ehrman, Georges Douking, Alain Cuny (uomo col mantello), Bernard Verley (Gesù), Jean Clarieux, Claude Jetter, Jean-Claude Carrière (Priscilliano), Auguste Carrière, Agnes Capri (dir. istituto), Claudio Brook (vescovo), Julien Bertheau (maître Richard), José Bergos, Claudine Berg, Pierre Clementi (demone), Marcel Pérès (prete spagnolo), Laurent Terzieff (Jean), Christian Simon, Delphine Seyrig (prostituta), Edith Scob (Maria), Daniel Pilon (François), Michel Etcheverry (inquisitore), Jean Piat (il giansenista), Pierre Lary, Bernard Musson (oste francese), Damaso Muni, Georges Marchal (il gesuita), Denis Manuel (Rodolphe), François Maistre (prete matto), Pierre Maguelon, Marius Laurey, Michel Piccoli (Sade); produzione: Serge Silberman per Grenwich Films e Fraia, Greenwich (Parigi) - Fraia Film di Anna ed Enzo Muzii (Roma); distribuzione: Cineteca di Bologna; origine: Francia, 1969; durata: 92'.

Trama:Due vagabondi, Jean e Pierre, si recano a piedi dalla Francia alla Spagna, diretti al Santuario di San Giacomo di Compostella col proposito di far quattrini. Ancora alle porte di Parigi, incontrano un arcigno ed enigmatico individuo che ad uno fa la carità, all'altro no. Successivamente si imbattono in un bambino, poi, sul luogo di un incidente stradale, in un diabolico personaggio che si presenta in veste di gentile adolescente. Il viaggio prosegue e, con un continuo alternarsi di passato e presente (siano Jean e Pierre testimoni o no di quel che accade) si assiste ad una serie di disparati avvenimenti: in una radura tra gli alberi l'eretico Prisciliano ammaestra i suoi fedeli sull'unica possibilità di affrancare l'anima "mortificando" il corpo attraverso i piaceri della carne; tra un giansenista e un gesuita si svolge un duello a proposito della Grazia e della Predestinazione; il marchese De Sade tenta di spiegare ad una sua vittima che Dio non esiste; polemizzando con due giovani a proposito dell'Unità e Trinità di Dio un Vescovo medioevale condanna al rogo il cadavere di un suo predecessore; ad un incredulo cacciatore, colpevole di un atto sacrilego, appare, dolcissima, la Madonna, che gli consegna un rosario; mentre nel giardino di un collegio un gruppo di bambine recita anatemi, Jean immagina che un plotone di anarchici fucili il Papa; Gesù ridà la vista a due ciechi: ma per poco, poichè essi tornano subito dopo a tastare il terreno col bastone. Alle porte di Santiago, i due viandanti incontrano una prostituta che li disillude, spiegando che il pellegrinaggio a San Giacomo è tutta un'invenzione: il loro viaggio è finito.

Critica (1):Con La Via Lattea Buñuel ripropone una "ricerca circolare," e quindi in qualche modo non tale, in cui anche la Storia (della Chiesa) è in realtà la riproposta, volta a volta, di un ritorno di situazioni, quando è "esaurito" l'ordine delle cose essenziali, e cioè dei diversi modi di porsi di fronte al "Destino dell'Uomo," in rapporto alla "Rivelazione." È dunque un cammino di incertezze o di false certezze al cui termine i problemi si ripresentano altrettanto aperti e inconclusi che all'inizio.
Lo schema è estremamente semplice e buñueliano: due umili, Dupont e Duval, procedono in una ricerca che ha una meta vista da loro nel modo piú utilitario; di passo in passo - sulla stessa via che altri seguono, oltre i limiti dello spazio e del tempo, in modo piú prettamente spirituale, di conoscenza e di successiva definizione della esperienza umana - partecipano da spettatori, raramente coinvolti, e se presi a partito sempre in modo succedaneo, da servi o da oggetti di pietà, alla grande vicenda della Chiesa. Le certezze che si scontrano ai loro occhi (e che restano per lo piú li6tate a un preciso arco di classe: roba di ricchi e potenti, cosí come è esemplificato nel finale di duello tra giansenista e gesuita) riguardano via via i vari dogmi centrali che la Chiesa ha stabilito e sui quali le opinioni si sono scontrate. Questi dogmi ci sono presentati in un ordine che probabilmente è esattamente calibrato: l'incarnazione, l'anima e la carne, la divinità, il male e Satana, il libero arbitrio, la Trinità, la Grazia, e infine quelli riguardanti la Vergine in una piccola summa di mariologia messa buon'ultima in quanto, probabilmente, elemento di distinzione in un discorso che anteriormente riguardava cristiani in generale e da qui distingue tra protestanti e "papisti." Infine, a conclusione del cammino dei brav'uomini, san Giacomo è invece Priscilliano, la fatica dell'umanità ricomincia, e di nuovo Cristo viene a dividere, e c'è chi capisce ed è salvato e chi non capisce ed è dannato all'incertezza. Ma chi capisce e chi no? E che cosa c'è da capire?
La struttura : un centone di dogmatica cattolica discusso coi commenti e le dispute degli eretici e sunteggiato dalla meravigliosa fantasia buñueliana, che ritrova e rivive dubbi, divertimenti e problematica della sua infanzia cattolicissima. Però, in piú: una concomitanza non straordinaria tra arbitrarietà apparente delle soluzioni narrative, e arbitrarietà (apparente?) della Rivelazione, cioè anche dei tentativi dell'uomo di interpretazione del Verbo, all'interno della sola logica e storia cristiana o meglio cattolica.
Emarginati dal bene terreno, vi sono problemi che solo incuriosiscono i due pellegrini (proletari) per bisogno, altri che essi neppure comprendono e non sono ammessi a dividere, altri ancora che provocano essi stessi, in modo piú semplice e accomodante (la presenza dell'irrazionale, dell'imprevedibile, del mistero) e decisamente meno sul vivo. Esiste tuttavia tra di loro una solidarietà reale e sentita, e sono loro a essere chiamati alla procreazione dei figli apocalittici che di nuovo divideranno e porteranno castigo. (Forse anche rivoluzione?)
Il Verbo (il vangelo) s'incarna in modi quasi intercambiabili: non solo molti disputano sul significato delle sue indicazioni, spesso sibilline e spesso contrastanti, ma anche molti ne sono portavoce, in questa o quella frase e occasione. Lo stesso Cristo è due, adulto e bambino, un altro dei tanti figli di Maria (ma Buñuel non lo specifica; potrebbe essere anche il figlio di una vicina, no?), e bambino lo incontriamo con le sue brave stimmate sui bordi di una strada di Francia ad assistere i due vagabondi nel loro autostop. Allo stesso modo, tutti i padroni e i servi servili, i preti e i poliziotti, i locandieri e i mendicanti possono citare e discutere i temi della rivelazione, dibatterne i significati e le interpretazioni, da casuisti piú o meno profondi. Tutto è in definitiva riconducibile all'ambito del cristianesimo, e "non possiamo non dirci cristiani". E che tutto sia oleografico, nelle rievocazioni evangeliche come in quelle "storiche" e faccia tanto stile contro-riforma, è un dato anch'esso significativo: la cultura cattolica delle sacre immagini, del catechismo della domenica. Tensione all'ordinamento e rivendicazione di autonomia riguardano sempre l'arco cristiano dell'interpretazione assai piú che quelli dell'applicazione. Ci sono Paolo e Tommaso e Agostino; non ci sono, e c'erano in fondo nei modelli di Nazarín e Viridiana, Francesco e poverelli. Buñuel tratta dunque qui della Fede e della definizione dei suoi oggetti, non della Carità.
Di tutto il dibattito, lo spettatore, come i due mendicanti, finirà per cogliere soprattutto la versione saggia e sfiduciata dei romani del Belli: "Venissimo a capì che so' misteri..." Ma non è Buñuel ad aver detto: "Il mistero è l'essenziale di ogni opera d'arte"? Poiché il mistero è per lui attributo fondamentale del senso dell'esistenza, e in modo contorto ne partecipa ogni tentativo d'interpretazione, poiché ogni interpretazione è costretta ad arrestarsi ad un certo punto.
Preti dolcissimi e poliziotti da cartolina ricordo, oltre a dibattere la verità, dimostrano ancora una volta l'abilità di Buñuel a raggirare le censure. I secondi, anche l'arbitrarietà delle umane leggi, e la loro osservanza della parola e non della sostanza nell'episodio del furto alla Venta del Llopo: si punisce il furto e non la legalità (quale legalità?) dell'acquisto, ma si è pronti a fidarsi della dichiarazione di adesione formale alla legge. E l'episodio sta a ricordare mirabilmente l'insufficienza, per Buñuel obbligatoria, di ogni soluzione terrestre e sociale della Legge: quella di non esaurire, di non andar oltre, di fermarsi a formalizzare un contratto d'apparenze.
La distinzione tra cattolici e protestanti, nata dalle acquisizioni d'aperture rinascimentali, è dapprima riferita alla dichiarazione dell'un-Dio contro la trinità, nella sua accezione di rivelazione interiore antidogmatica, mentre poi, con gioviale sbalzo e mutamento di vesti, si precisa la derivazione borghese-cacciatrice-odierna-funzionale di quegli scolari preluterani, le cui pseudo-sicurezze vengono malignamente sconvolte dai sonnambulismi mariani per un irrazionale inutilmente represso dentro di loro. Riconquistati al papismo proprio dal piú infantilmente mammista dei miti cattolici. Altro ramo di un'unica pianta ch'è la Chiesa di Roma, il protestantesimo non è - ovviamente - nelle simpatie ultime di Buñuel, il cui punto di visione nel pro e nel contro e nel chissà è ancorato a una qualche colonna laterale del porticato del Bernini.
Alla Venta del Llopo, si conclude l'episodio forse piú prestigioso e coerente - della coerenza che hanno la fiaba e la leggenda, il sogno e gli aneddoti edificanti - di tutto il film. In un clima del tutto onirico, il prete s'insinuerà coi suoi dogmi mariani nel letto matrimoniale, a dividere il maschio dalla femmina (non riuscirà nell'altra stanza, e il perché è del tutto "aperto" alle spiegazioni piú varie), a dolcemente spingere alla sublimazione, a impadronirsi delle ultime intimità, a non lasciar spazi vuoti nella coscienza dell'uomo. Sotto la tonaca, la sciabola castratrice è pronta a recidere.
I preti, come d'obbligo, abbondano, furbi, lucidi, pazzi, banali. È il caso di ricordare la passione di Buñuel per il travesti religioso, attestata da foto d'ogni periodo, da rapide partecipazioni come attore in veste di prete a qualche film altrui, dalla ricorrente presenza di ecclesiastici in quasi tutti i suoi film. Buñuel non è stato certo lontano, nell'infanzia di collegio, dalla "vocazione."
Tra gli anatemi scagliati dalle lolite moltiplicate e crudelmente virginali del collegio Lamartine, quale piú sentitamente e insistentemente "bunueliana" delle condanne a ogni "apertura" verso gli animali? In essa si chiude provvisoriamente - ma è in realtà il punto di partenza, da un concilio spagnolo mai davvero accettato - il tragico bestiario buñueliano. Perché i non-colpevoli devono pagare? Perché è impossibile vivere senza commettere: ingiustizia e crudeltà. Un teorico marxista noto e conseguente di nostra conoscenza tentò un tempo di risolvere elaborando occasionalmente una teoria degli animali come "classi" sfruttate, in vari gradi alle quali l'uomo ha negato e bloccato ogni possibilità d'evoluzione...
Ne La Via Lattea compare non solo Dio (Cuny dal rosso mantello, accompagnato dal nano-figlio e dalla colombaspirito - purezza animale e imperfezione condannata dell'uomo), ma anche il Diavolo (Clementi beat decadente e triste, "operaio che non sciopera" e che attende al suo compito di morte nella speranza di un finale ritorno alla pace di Dio assieme ai suoi colleghi di un profondo senza speranza e di lingua spagnola), e un emissario che proviene forse da entrambi ma che piú del secondo che del primo (Delphine Seyrig prostituta-madre di vendetta e apocalisse) servono a dimostrare la logica che, per il regista, necessariamente discende dal dilemma della salvezza. Clementi è l'incarnazione del male oggettivamente esistente, e la Seyrig soprattutto della conclusione nella condanna: "Non sei piú il mio popolo," "Tu non avrai misericordia." L'eternità della condanna s'accanisce sull'uomo, e la salvezza, la luce,
come la contrasteranno, e di dove e a chi giungeranno? La ricomparsa di Cristo, nonostante la fallibilità della Chiesa e sant'Iago e Priscilliano che si cambiano di tomba, e che dove si spera verità si trovi menzogna, e senza sapere qual è comunque la verità e quale la menzogna - dice solo d'essere venuto a dividere e che tutto ricomincia: niente rivelazione, niente unità, niente pace, niente fine. Dei due ciechi, l'uno, il semplice che non dubita, è ammesso a seguire il Cristo, l'altro, colui che domanda dove sta il nero e dove sta il bianco, non sa oltrepassare il minuscolo fossato, benché fisicamente "ci veda." Tutto davvero ricomincia.
Si riparte per nuovi dubbi e nuovi stermini, ma comunque sulle orme del Cristo. Qui effettivamente si dovrà cominciare a salutare Bufluel: a collocare la sua intera opera, a deliziarci della sua invenzione che ha la ricchezza e la fluidità d'una vena però sempre piú tiepida (in quanto si vuole saggia e pacata) anche se parrebbe inesauribile, ma anche, ed è ora, a prendere le nostre distanze, a confutare il significato per noi di questa saggezza. Non c'importa troppo che Buñuel possa morire col Crocefisso in mano, né che porti la sua riflessione su quella sfera che la politica non riuscirà mai a coprire e che la religione ha sempre teso a catalogare, ritualizzare, conchiudere, e la poesia a cantare (la malattia, la morte, le passioni: cioè le limitazioni oggettive dell'uomo). C'importa che ciò avvenga all'interno di un ordine di preoccupazioni che, nonostante l'ironia l'aggressività o il distacco, vivono tutte della logica del cristianesimo. Dall'infanzia alla vecchiaia, ogni altra acquisizione è da Buñuel ricondotta con La Via Lattea a un contesto invalicabilmente cristiano. Ma se fossimo cristiani, rimprovereremmo lo stesso a Buñuel di essersi fermato davvero alla sua infanzia. Delle tre possibilità estreme "di sinistra" contemplate dall'attualità cristiana, nessuna è qui presente con i suoi dati piú accesi: quella che vede Dio dovunque e in specie nelle missilistiche scie delle "magnifiche sorti e progressive" dell'umanità e della scienza (Teilhard), quella protestante piú disperata che addirittura nega l'esistenza di Dio (Bonhofer), quella rivoluzionaria attiva e terrestre per la costruzione di quel tanto di paradiso su terra che dovrà avere nome socialismo (Torres). In questo film tutto è vecchio. Anche ammesso che la riapertura del ciclo si svolga ancora sulle orme del Cristo, allora il film di Bufluel per dirci davvero qualcosa avrebbe dovuto paradossalmente cominciare dalla fine. Ancora una volta, Buñuel si esclude dalla storia, e la storia non può che lasciarlo da parte.
Il cristianesimo è la prigione di Buñuel. Quella stessa da cui noi cerchiamo di uscire. Come nasce il nuovo dal vecchio? Fu tentato rispetto alla Legge del patto, ma il problema non fu risolto e la nuova legge ci ha fregato. Rispetto a essa, il nostro lavoro è assai piú arduo di quanto troppo facilmente si sia tentati di credere con formule di rivoluzionamento interno piú volute che sentite. Distruggere l'uomo vecchio per costruire il nuovo (oltre che il vecchio sistema per costruire il nuovo) è un compito di incommensurabile sgomento. Su questa strada, però, Buñuel ha poco da darci, anche se qualcosa da prendere noi possiamo ancora trovarla in certe indicazioni di metodo, di linguaggio, di critica, di saviezza. Vale ormai anche per lui, nonostante i film che ancora ci deve dare, e col rispetto e l'affetto che si è meritati, la citazione utilizzata per Dreyer: "Che i morti seppelliscano i loro morti." Ed è un caso se questa citazione viene dal Vangelo?
Goffredo Fofi, Capire con il cinema, Feltrinelli, 1977

Critica (2):«J. de la Colina - La via lattea è un, film non usuale: è come una lunga discussione che abbraccia secoli.
Buñuel - Molte cose mi vennero in mente dopo aver riletto, già qui in Messico, un libro straordinario, pieno di dati storici e più interessante di un romanzo; è la Historia de los heterodoxos españoles, di Marcellino Menéndez Pelayo. Mi interessarono le eresie come mi interessano le differenze dello spirito umano sia in religione che in cultura e in politica. Un gruppo fonda una dottrina e ad essa aderiscono migliaia e migliaia di individui. Dopo cominciano a nascere i dissidenti che credono in tutto ciò che predica la religione meno che in uno o più punti. Vengono puniti, allontanati dal gruppo, sono perseguitati, e appaiono le opposizioni settarie, in cui si odia di più la divergenza che il nemico dichiarato.
T. P. Turrent - Questo può succedere nella Chiesa o nel Partito Comunista ... o per esempio nel movimento surrealista.
Buñuel - Può capitare lo stesso quando si crea lo spirito di setta. Con il surrealismo successe qualcosa di simile per quanto Breton non torturava né bruciava vivo nessuno, si limitava a espellerlo. Devo precisare che Breton non mi ha mai espulso, malgrado io abbia lavorato nel cinema commerciale e abbia avuto la debolezza di ricevere premi.
J. de la Colina - Si basò solo sul libro di Menéndez Pelayo?
Buñuel - Mi sono documentato di più. Ho letto libri di teologia e di storia della chiesa. Carrière mi regalò un libro magnifico, una Storia della Chiesa in più di ottanta volumi, pubblicato in Francia dal 1880. Due volumi sono dedicati alle eresie, e scelsi le principali, quelle che vanno dal IV fino al IX secolo e le protestanti. Volevo una forma un po' romanzesca, non un film di sketch, e ho pensato a due mendicanti che peregrinano attraverso il tempo e lo spazio e nel cammino incontrano le eresie.
J. de la Colina . - È una buona idea, però non tanto insolita come il fatto che un maître d'hotel spieghi in un ristorante il mistero della transustanziazioni.
Buñuel - Mi infastidiva mettere due sacerdoti che discutevano il dogma e così ho cercato un ambiente inadeguato, per creare una sorta di "spiazzamento". Un maître, alcuni camerieri, una cameriera che discutono di teologia lo rendono più piacevole
di quanto lo sarebbe se fossero cardinali o vescovi. Questo episodio inoltre è legato al fatto che i pellegrini sono arrivati alla locanda per chiedere elemosine.»
in José de la Colina, Tomás Pérez Turrent, Buñuel por Buñuel

Critica (3):«Nel comportamento dell'eretico, la cosa per me più affascinante è proprio questa convinzione di possedere la verità e la stranezza di certe invenzioni. In seguito avrei trovato una frase in cui Breton, malgrado la sua avversione per la religione, ammetteva che il surrealismo riconosce di avere "certi punti di contatto" con gli eretici.
Tutto quello che si vede e si sente nel film si basa su documenti autentici. Il cadavere dell'arcivescovo riesumato e bruciato pubblicamente (perché dopo la morte erano stati trovati, scritti di suo pugno, dei testi viziati d'eresia) fu nella realtà quello di un arcivescovo di Toledo che si chiamava Carranza. Iniziammo con un lungo lavoro di ricerca al centro del quale troneggiava il Dizionario delle eresie dell'abate Pluquet, poi scrivemmo la prima stesura nell'autunno 1967, al parador di Cazorla in Spagna, provincia di Jaén. Eravamo soli, Carrière e io, fra le montagne dell'Andalusia. La strada si ferrmava all'albergo. Dei cacciatori partivano all'alba per rientrare solo a notte fatta, portando ogni tanto il dolce cadavere di uno stambecco. Per tutto il giorno non parlavamo che della Trinità, della duplice natura di Cristo, dei misteri della Vergine Maria. Silberman accettò il progetto, cosa per noi incredibile, e terminammo lo script a San José Purua nel febbraio-marzo 1968. Messo per un attimo in pericolo dalle barricate del maggio 58, il film venne girato a Parigi e nella regione circostante durante l'estate. [...]
L;a via lattea, di cui a quanto sembra facciamo parte, si chiamava una volta "il sentiero di san Giacomo" perché indicava la direzione della Spagna ai pellegrini che arrivavano da tutta l'Europa del Nord. Da cui il titolo. [...] Per la seconda - e ultima volta mettevo in scena Cristo stesso, impersonato da Bernard Verley. Ho voluto mostrarlo come un uomo normale, che ride e corre, che sbaglia strada, che si dispone perfino a farsi la barba, molto lontano dall'iconografia tradizionale.
E dato che parliamo di Cristo, mi sembra che nell'evoluzione contemporanea della religione Cristo si sia impadronito di un posto privilegiato nei confronti delle altre due persone della Santissima Trinità. Si parla solo di lui. Dio Padre esiste ancora, d'accordo, ma molto vago, molto lontano. Quanto al povero Spirito Santo, nessuno gli bada e adesso fa l'accattone. [...]
Per me La via lattea non era pro questo né contro quello. Il film, oltre alle situazioni e alle dispute dottrinarie autentiche che mostrava, mi sembrava innanzitutto una scorribanda nel fanatismo in cui ciascuno si aggrappava con forza e intransigenza alla propria porzione di verità, pronto a uccidere e a morire per lei. Cosi mi sembrava che la via percorsa dai due pellegrini si potesse applicare a qualsiasi ideologia politica e perfino artistica.»
Luis Buñuel, Dei miei sospiri estremi, Milano, Rizzoli

Critica (4):
Luis Buñuel
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