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Primo respiro (Il) - Premier cri (Le)


Regia:De Maistre Gilles

Cast e credits:
Soggetto:Gilles de Maistre, Marie-Claire Javoy; fotografia:Gilles de Maistre; musiche:Armand Amar; montaggio:Marie Quinton; voce off versione italiana:Isabella Ferrari; produzione:Mai Juin Productions; distribuzione:Lucky Red; origine:Francia, 2007; durata:99’.

Trama:Quegli eventi intensi, vissuti da pubblico in scena, che prendono la mano. È quanto avvenuto al regista Gilles De Maistre (in un ventennio di attività oltre cento reportages e documentari, con il compimento del desiderio di realizzarne uno cinematografico, per l’appunto Il primo respiro), che per due anni ha fatto riprese televisive in un reparto maternità. Esperienza che lo ha scosso e cambiato, lasciandogli la voglia di ripeterla con l’intenzione di filmare – della nascita – le medesime emozioni e le differenti condizioni e modalità, in un viaggio transnazionale e interclassista. All’origine della sceneggiatura, necessariamente modificatasi sul campo, c’è un’inchiesta giornalistica e una prolungata, complessa gestione, soprattutto pratica. De Maistre ha tirato in ballo l’universalità dell’atto e il percorso evoluzionista collettivo per ottenere l’assenso delle gestanti – scelte in base all’espressività e ad una fisionomia di facile identificazione geografica – che hanno risposto sì per sostegno ad una causa (la procreazione in casa), la possibilità di un ricordo registrato o narcisismo. Altro filo conduttore, nell’operazione, è stato un’eclissi di sole, coincisa con un aumento di parti.

Critica (1):Ispirato da una inchiesta giornalistica, Il primo respiro è un progetto molto consistente e difficile, realizzato in circa tre anni di tempo grazie al lavoro e all’impegno di un gran numero di persone, tra cui un cospicuo gruppo di ricercatori ed informatori mai visto prima in un documentario del genere. Lo sforzo profuso alla realizzazione del film è evidente e traspare chiaramente dallo schermo grazie alla forma stessa dell’opera. Divisa in più blocchi tra loro intrecciati, il documentario racconta infatti tante microstorie sparse in giro per il mondo ; storie di nascite, tutte diverse tra loro ma con un unico elemento che le tiene involontariamente unite : la simultaneità dell’evento. È il 29 marzo del 2006, un giorno come un altro se non fosse per l’eclissi solare che in cielo attira l’attenzione degli esseri umani. Per molti di questi la vita continua durante l’evento atmosferico, per altri invece quest’ultimo non è nemmeno visibile. Questione di latitudini e longitudini differenti. Per i protagonisti, però, c’è qualcosa di ancora più importante a scandire le ore della giornata : l’imminente arrivo di un bambino. Luce o non luce, sole o non sole, quindi, è arrivato il momento di nascere per dei piccoli esseri umani e tutto nei diversi angoli del mondo si predispone all’evento. La comunità Masai prepara la capanna in cui Kokoya partorirà lontano da occhi indiscreti; in Vietnam, nel reparto maternità più grande al mondo, una donna si appresta a partorire con taglio cesareo; negli Stati Uniti invece Vanessa e Mikael si preparano ad affrontare le difficoltà di un parto non assistito, da consumarsi in privato davanti ai propri cari e lontano dalla medicina ufficiale. A questi casi poi se ne aggiungono tanti altri, sempre differenti e soprattutto lontani tra loro. Quello di Manè ad esempio, donna tuareg in procinto di partorire in pieno deserto, nel buio della sua capanna ; o quello di Gaby e Pilar, due messicane decise a mettere al mondo i propri piccoli tra le acque dell’oceano (la prima) e in una vasca di delfini (la seconda); o ancora Majtonrè, indiana kayapo, destinata a partorire il suo terzo figlio tra mille sofferenze e grazie alle cure delle levatrici del villaggio. Tante storie, tanti comparti narrativi che non soffrono le continue collisioni messe a punto appositamente dal regista. (…) La bravura del francese si misura proprio sul bilanciamento dell’opera, sempre rigorosa, misurata, mai eccessiva. Il suo tocco si dimostra leggero e lo sguardo, nonostante superi in molte occasioni i confini dell’intimità, non sembra mai essere invasivo o irriverente. Il suo è un cinema contaminato che invece di fornire una sola immagine della realtà documentata tenta di comporre un mosaico di figure allo stesso tempo simili e distanti. Un cinema dinamico quindi, nel contenuto ma anche nella forma, in cui la messa in scena non risponde ad una rigida impostazione stilistica, bensì si adatta in corso d’opera alle esigenze drammaturgiche della storia stessa. Il film, infatti, ha la capacità e la peculiarità di cambiare registro continuamente, alternando alla storia delle nascite, in cui l’autore sembra privilegiare un forte spirito antropologico ed una spiccata propensione all’osservazione, le storie della nascita, in cui il lirismo diviene il fil rouge di un discorso molto più pretenzioso ed elevato. (…)
close-up.it

Critica (2):Ha puntato sui contrasti, l’autore: tra luoghi, tenori di vita (nei paesi poveri la venuta al mondo è spesso legata alla morte del piccolo o della madre), pianificazione e ospedalizzazione o meno (una delle strutture risulta tipo affollata catena di montaggio, in un’altra la tendenza materiale equipara il parto alla malattia), alterni e repentini stati d’animo. Con troupe ridotta, improvvisazione (in quanto "buona solo la prima"), volontà di essere parte integrante del "rito" e non presenza discreta, l’opera riporta i preparativi e la progressione emotiva, le problematiche connesse alla nascita (e alla macchina da presa), la presenza dell’uomo (proibita o da semplice spettatore). E si serve di simbolismi (la pancia e i pianeti, elementi come acqua, luce solare, terra), ritagli di mondo, attesa e musica suggestiva, ma non può evitare la ripetitività e la distanza da un’intimità filtrata.
Federico Raponi,
filmup.leonardo.it

Critica (3):

Critica (4):
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