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Funny Games - Funny Games


Regia:Haneke Michael

Cast e credits:
Soggetto: Michael Haneke; sceneggiatura: Michael Haneke; fotografia: Darius Khondji; scenografia: Kevin Thompson; arredamento: Rebecca Meis DeMarco; costumi: David C. Robinson; interpreti: Naomi Watts (Anna), Tim Roth (George), Michael Pitt (Paul), Brady Corbet (Peter), Siobhan Fallon (Betsy), Boyd Gaines (Fred), Devon Gearhart (Georgie), Robert LuPone (Robert), Linda Moran (Eva); produzione: Celluloid Dreams-Celluloid Nightmares-Halcyon Pictures-Tartan Films-X Filme International-Dreamachine; distribuzione: Lucky Red; origine: Usa-Francia-Gran Bretagna; durata: 97’. Vietato 14

Trama:Anna si reca insieme al marito George ed al figlio di 10 anni, Georgie, nella loro casa di vacanza sul lago. Tuttavia, quello che si era preannunciato come un felice periodo di vacanza, si trasforma ben presto in un violento incubo quando alla loro porta si presentano due giovani: Paul e Peter.

Critica (1):Non c'è una fine, in Funny Games (…). E non c'è un fine, nella "tranquilla" mania omicida di Paul (Michael Pitt) e Peter (Brady Corbet). Tutto accade nel gelo dell'indifferenza. O forse niente accade davvero, nonostante l'orrore. Forse basterebbe un rewind, perché l'incubo scomparisse. Così a un certo punto fa Paul: con un riavvolgimento veloce delle immagini "annulla" la morte di Peter, cui Ann (Naomi Watts) ha sparato in pieno petto un colpo di fucile.
Di immagini e di realtà, e della loro commistione: anche di questo sembra voglia raccontare il film che Michael Haneke scrive e gira "duplicando" quello già presentato a Cannes nel 1997. Come i dialoghi, anche il titolo è rimasto lo stesso, a parte un U. S. scomparso dalla versione italiana, e che indica la trasposizione dei fatti e dei personaggi dall'Austria agli Stati Uniti. Ora come allora la storia è ridotta all'essenziale. Giunti nella loro villa sul lago con il figlio Georgie (Devon Gearhart), Ann e George (Tim Roth) sono presi in ostaggio da due giovani dai modi strani, all'inizio untuosamente gentili e poi sempre più prepotenti e feroci. Poco prima, nella villa vicina, Paul e Peter hanno già portato a termine il loro gioco funereo, e ora ricominciano.
Non c'è rabbia manifesta, nelle loro parole e nei loro gesti, a parte improvvisi scatti di crudeltà. Non rubano, non violentano, non ricattano. Solo, annunciano ai tre che entro 12 ore saranno morti. Anzi, vorrebbero convincerli a scommettere che lo saranno. Anche se, aggiungono, l'esito è certo.
Chi sono i due persecutori? Haneke non si preoccupa di dar loro un carattere in senso pieno. Non sono davvero personaggi, Paul e Peter, né hanno tratti psicologici profondi. Tutto sui loro visi e nelle loro teste accade in superficie, come se non fossero che pedine di un gioco sadico giocato da Haneke. In sostanza, è il regista che tiene in ostaggio Ann, George e Georgie. Ed è ancora il regista che incrudelisce con le sue immagini su di noi e sui nostri occhi, inducendoci a prenderle per "vere".
Tutta la prima parte di Funny Games è percorsa da un'attesa angosciosa. Qualcosa di terribile sta per accadere. Lo suggeriscono piccole incongruenze nel comportamento degli amici che stanno nella villa accanto. E lo confermano sempre più le visite insistite e insensate di Paul e Peter. Intanto, in platea si fa quello che Haneke vuole che si faccia. Ci si identifica con le tre future vittime. Si soffre della loro sofferenza annunciata, e ancora più della loro inconsapevolezza. E però ci si affida alla speranza, alla forza cieca e grande che sempre ci aiuta a esse-re spettatori. Ci sarà una fine, nella storia di Funny Games, una fine in cui tutto tornerà ad avere senso, e in cui la nostra identificazione smetterà d'essere dolorosa. Questo – così speriamo, appunto – potrebbe ben essere il fine della regìa, lo scopo ultimo della narrazione. D'altra parte, un coltello scivola sul fondo della barca a vela di George proprio quando la tragedia sta per cominciare. Che cosa può significare nel linguaggio del cinema questo piccolo fatto, e anzi questa piccola immagine, se non che ritroveremo quel coltello al momento giusto, quando servirà al trionfo del bene sul male?
Tuttavia, crudeltà dopo crudeltà, la speranza è sempre più contraddetta. Paul e Peter non si fermano. Haneke non li ferma. Come gatti che incrudeliscano giocando, tengono le loro prede inermi nell'ombra delle proprie unghie. Quando sembra che concedano loro un po' di tempo, e un po' di vita, subito le riprendono e le minacciano. Poi, quando si stancano del gioco, fulminei uccidono. Per primo tocca al piccolo Georgie. Un colpo di fucile fuori campo, spruzzi di sangue su un televisore, un corpo intravisto sul pavimento: queste, indirette e quasi pudiche, sono le "immagini" della morte che inizia a trionfare.
Subito però ricomincia il gioco del gatto. I due persecutori lasciano la casa. George e Ann iniziano a sperare (loro come noi). Senza nemmeno guardare il corpo del figlio – che si tratti di una crudeltà ulteriore voluta da Haneke, o che si tratti di una imperdonabile incongruenza di sceneggiatura –, cercano aiuto al telefono e nelle strade deserte intorno alla villa. Ma tutto è inutile. E inutile sarà il coltello sul fondo della barca, immagine dell'ultima speranza. Alla fine, ma senza nessuna vera fine, Paul e Peter busseranno a un'altra villa. Lo faranno senza un fine, senza uno scopo che non sia quello d'un gioco sadico della regia. Quanto a noi, vorremmo poterci affidare alla magia del rewind, e "annullare" 111 minuti di realissima sofferenza.
Roberto Escobar,
Il Sole 24 Ore, 20/7/2007

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