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Yellow 33 - Drive he Said


Regia:Nicholson Jack

Cast e credits:
Soggetto: da un romanzo di Jeremy Larner; sceneggiatura: Jeremy Larner, Jack Nicholson; fotografia: Bill Butler; musiche: David Shire; montaggio: Donn Cambern, S. Holmes, Pat Somerset, Robert L. Wolfe; interpreti: Karen Black (Olive), Bruce Dern (Coach Bullion), William Tepper (Hector), Henry Jaglom (Conrad), Michael Margotta (Gabriel), June Fairchild (Sylivie), Michael Warren, , Henry Jaglom, Robert Towne (Richard); produzione: Steve Balunen, Jack Nicholson; distribuzione: Cineteca Lucana; origine: Usa, 1971; durata: 90'.

Trama:Hector Blomrn è il "playmaker" della squadra di pallacanestro dei Leopards di un college universitario americano. Nonostante la sua enorme popolarità e la facile prospettiva di passare al professionismo, il ragazzo dimostra paurosi alti e bassi che inducono il professore allenatore della squadra a considerare seriamente la opportunità di una sua esclusione. Le ragioni di tale comportamento sono diverse: Hector è amante di Olive, nonostante l'amicizia con Richard, il marito della stessa; inoltre, Blomm è molto amico di Gabriel, il compagno di camera disperato per la ricevuta convocazione alla leva militare e, per conseguenza, alla guerra nel Vietnam. Mentre Gabriel con i suoi autolesionismi per venire riformato si incamminerà verso la pazzia, Hector, fagocitato dal successo, finirà con l'integrarsi.

Critica (1):Yellow 33 è la storia di un giovane giocatore di pallacanestro, Hector Bloom, campione della squadra universitaria "The Leopards". Il gioco gli piace, ma non poi al punto da farne una ragione di vita. Da solo, non dà significato alla sua esistenza nonostante il parere contrario del suo allenatore. Lo studio, tanto per fare un giro d'orizzonte dei "valori" sottomano, non esiste proprio. L'amore? Il nostro non manca di amicizie femminili, ma la donna che gli piace di più, moglie del suo professore di greco e amico, lo lusinga ma poi non lo vuole. L'eros è un momento breve, seguito dall'insoddisfazione. L'amicizia? II suo compagno di stanza, a cui è affezionato, è schifato dello "standard" universitario, terrorizzato di finire nel Vietnam, contrario ad ogni forma di disciplina. Contesta tutto e tutti, violentemente, con metodi che lo faranno rinchiudere come pazzo; ma Hector non lo capisce fino in fondo pur essendo lui stesso un incerto e, in certo senso, un ribelle. Resterà solo, rifiuterà un ingaggio come professionista, resterà in sospeso, un po' integrato nella squadra un po' al di fuori a sfottere l'allenatore, i cui orizzonti sono chiari, semplici e a portata di mano, basta crederci nelle cose, basta darsi da fare, darci dentro ("Drive", che è il suo tipico incitamento, il suo slogan, significa appunto "darci dentro". A questo si riferisce il titolo originale).
Dunque l'America del malessere, il Vietnam come complesso di colpa, la protesta studentesca. La mentalità tipicamente americana del successo che non riesce a giustificare l'esistenza, la "provocazione" di quei ragazzi che non accettano la situazione (l'amico di Hector) o che stanno incerti, a cavallo sulla linea di demarcazione fra integralismo e apocalisse. Temi che, negli anni fra gli ultimi Sessanta e i primi Settanta, sono stati toccati spesso dal cinema americano, anche se in modo più o meno soddisfacente: pensiamo, per quanto riguarda la "rabbia" studentesca, a Fragole e sangue ('70) di Stuart Hagman e a L'impossibilità di essere normale ('70) di Richard Rush; ma anche, per altri settori della vita americana, America America dove vai? ('69) di Huskell Wexler, Mr. Freedom ('69) di William Klein, Chi è Harry Kellerman ('71) di Ubu Grosbard, Cane di paglia ('71) di Sam Peckinpah, Piccoli omicidi ('71) di Alan Arkin, oltre, naturalmente ai citati Easy Rider e Cinque pezzi facili.
Visto adesso, Yellow 33 appare datato. Ma si tratta sempre di un film interessante, che testimonia di una notevolissima capacità narrativa e visualizzatrice di Nicholson, oltre che dei suoi travagli ideologici, dei disinganni e delle incertezze della generazione cui appartiene. Manca a volte di misura ed appare certe volte intellettualistico, governato dalla volontà di dimostrare qualcosa, di imporre una tesi; ma la sua maniera di raccontare, nonostante il ricorso ad una "modernità" voluta, è efficace, "giovane", specialmente nel montaggio, che è sempre nervoso, dinamico. E poi oltre la contrapposizione dei due personaggi principali, che emblematizzano due diverse e diffuse modalità di "rivolta", Nicholson insinua il dubbio che in fondo la guerra e lo sport, per l'America, sono due surrogati ad una inestinguibile volontà di sopraffazione e di violenza latente nel cittadino medio, di cui l'allenatore fanatico e sicuro delle sue certezze è un rappresentante completo.
Cineforum n. 155, 6/1976

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Jack Nicholson
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