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Anime nere


Regia:Munzi Francesco

Cast e credits:
Soggetto: liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Gioacchino Criaco ; sceneggiatura: Francesco Munzi, Fabrizio Ruggirello, Maurizio Braucci; fotografia: Vladan Radovic; musiche: Giuliano Taviani; montaggio: Cristiano Travaglioli; scenografia: Luca Servino; costumi: Marina Roberti; suono: Stefano Campus; interpreti: Marco Leonardi (Luigi), Peppino Mazzotta (Rocco), Fabrizio Ferracane (Luciano), Barbora Bobulova (Valeria), Anna Ferruzzo (Antonia), Giuseppe Fumo (Leo), Pasquale Romeo (Ercole), Stefano Priolo (Nicola), Vito Facciolla (Pasquale), Cosimo Spagnolo (Cosimo), Aurora Quattrocchi (Rosa), Manuela Ventura (Giorgia), Domenico Centamore (Rosario), Sebastiano Filocamo (Antonio Tallura); produzione: Luigi Musini, Olivia Musini, Fabio Conversi per Cinemaundici e Babe Films con Rai Cinema, in collaborazione con On My Own; distribuzione: Good Films; origine: Italia-Francia, 2014; durata: 103’.

Trama:La storia di tre fratelli calabresi, Luciano, Rocco e Luigi. Quest'ultimo, il più piccolo dei tre, è un trafficante internazionale di droga, mentre Rocco, milanese d'adozione, è un imprenditore grazie ai soldi sporchi di Luigi. C'è poi Luciano, il maggiore, che si culla ancora nell'idea di una Calabria preindustriale e dialoga con i morti. Leo è il figlio ventenne di Luciano, un giovane senza identità, che per una lite banale compie un atto intimidatorio nei confronti del bar del clan rivale. Altrove sarebbe stata una cosa di poco conto, ma qui siamo in Aspromonte. Luciano è costretto di nuovo a rivivere il dramma per la morte del padre e gli altri due fratelli tornano al paese d'infanzia per affrontare nodi irrisolti del passato.

Critica (1):Meglio l'Italia non poteva esordire a questa Mostra. Anime nere di Francesco Munzi è un film straordinario per forza emotiva e coerenza narrativa, specie di tragedia elisabettiana ambientata nella parte più cupa della Calabria, dove il destino che incombe su una famiglia finisce per chiedere il suo inevitabile tributo di sangue. Ma è insieme un ritratto finissimo e preciso di un modo di vivere che sembra sfidare i secoli e le leggi, ancorato a vecchie tradizioni e usanze immodificabili che aggiunge al dramma un altro e più concreto livello di lettura, quasi da antropologia dei costumi. Un incontro raro, tra storia e contesto, tra forza della finzione e concretezza del reale, che fa del film una splendida riuscita (...). Munzi, che ha firmato la sceneggiatura con Fabrizio Ruggirello (scomparso recentemente: a lui è dedicato il film) e Maurizio Braucci, mette in scena la storia con una linearità «classica», attento alle psicologie così come ai colpi di scena, per delineare coi caratteri dei fratelli tre modi diversi di vivere l'inevitabile modernizzazione della Calabria (...). Ecco allora che al centro del film non c'è più una «storia di 'ndrangheta» ma piuttosto una riflessione più ampia e complessa sui rapporti tra cultura arcaica e le «tentazioni» della modernizzazione (tentazioni che vogliono dire soprattutto soldi e droga) e che nessuna mediazione culturale o politica sembra in grado di controllare. Non lo Stato né la Legge, disprezzati nei loro rappresentanti (...), ma neppure il senso della comunità, che si frantuma di fronte al risuonare di un destino che sente solo le ragioni del sangue e della vendetta. Munzi, che ha ambientato il suo film nel triangolo più ostile della Locride (Africo, Platì e San Luca) e che ha fatto parlare i suoi personaggi nel dialetto locale (naturalmente sottotitolato), sfrutta le sue origini documentaristiche per rimarcare legami sotterranei tra le persone e i loro comportamenti (...), sfrutta al meglio un cast eccezionale per forza espressiva e verosimiglianza (dove accanto ad attori professionisti recitano abitanti di Africo e dintorni) e tesse così la rete di un racconto dove il realismo dell'ambientazione e la giustezza dei comportamenti finiscono per esaltare ancora di più l'esplosione della tragedia finale, vero pugno nello stomaco che lascia ammutoliti e ammirati.
Paolo Mereghetti, Corriere della Sera, 30/8/2014

Anime nere di Francesco Munzi parte da Amsterdam per portarci in poche vorticose scene ad Africo, passando per Milano. Dal narcotraffico globale alla lingua pietrosa dell'Aspromonte, dunque. Dagli intrecci tra economia criminale e economia reale, alla voce del sangue. Il sangue di due pecore rubate in un ovile a Lecco e scannate così, su due piedi, per festeggiare l'incontro di due fratelli. Ma anche il sangue versato decenni prima nella loro Calabria, che torna a farsi sentire. (...) Girato nei luoghi che racconta, parlato quasi sempre in dialetto con sottotitoli, sorretto da un cast che fonde a meraviglia ottimi attori e non professionisti, il primo grande film sulla criminalità calabrese (che non è solo 'ndrangheta) nasce dall'incrocio tra due sguardi e due passioni. Gioacchino Criaco, scrittore e giornalista calabrese, una vita passata a interrogarsi sulla sua terra e un fratello chiuso in un carcere di massima sicurezza, ci ha messo la conoscenza di prima mano dell'Aspromonte, storia, mentalità, tradizioni, leggi non scritte, travasata nel romanzo Anime nere. (…) Per leggere nel buio di quelle anime qualcosa che forse non riguarda solo loro ma tutto il nostro paese corrotto e ostinatamente premoderno. Si sente la grande lezione antropologica di certo nostro cinema, da Visconti a Rosi e De Seta, da cui Munzi prende il gusto del dettaglio e la limpidezza con cui descrive i rapporti: di forza, di parentela, di sangue, di affari. Con un impeto che fa quasi rimpiangere lo schema così classico (così coerente) della tragedia, e lascia pensare cosa avrebbe potuto fare lasciando una porticina aperta ai capricci del caso.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero, 30/8/ 2014

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