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Venere nera - Vénus noire


Regia:Kechiche Abdellatif

Cast e credits:
Soggetto: Abdellatif Kechiche; sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalya Laroix; fotografia: Lubomir Bakchev, Sofian El Fani; musiche: Slaheddine Kechiche; montaggio: Camille Toubkis, Ghalya Lacroix, Laurent Rouan, Albertine Lestera; scenografia: Florian Sanson, Mathieu Menut ;
costumi: Fabio Perrone; interpreti: Yahima Torrès (Saartjie Baartman), André Jacobs (Hendrick Caezar), Olivier Gourmet (Réaux), Elina Löwensohn (Jeanne), François Marthouret (Georges Cuvier), Michel Gionti (Jean-Baptiste Berré), Jean-Christophe Bouvet (Charles Mercailler), Jonathan Pienaar (Alexander Dunlop), Gilles Matheron (Théobald de Méry), Violaine Gillibert (Géraldine Rivière), Violaine de Carne (Diane de Méry), Philip Schurer (Peter Van Wageninge); produzione: Mk2 Productions-France 2 Cinema; distribuzione : Lucky Red (2011); origine: Francia, 2010; durata: 159’. Vietato 14

Trama:Europa, XIX secolo. La vita e le disavventure della giovane Saartjie Baartman, meglio nota come la 'Venere Ottentotta' a causa delle sue particolari caratteristiche fisiche. Appartente al popolo dei Khosan, i più antichi umani stabilitisi nell'Africa australe, venne portata in Europa con l'inganno e in seguito fu esposta come fenomeno da baraccone in Inghilterra, Olanda e Francia. Oggetto di studi per scienziati e pittori, la 'Venere ottentotta' fu utilizzata anche come oggetto sessuale e morì drammaticamente a Parigi nel 1815.

Critica (1):Dopo il premiato Cous cous del 2007, Abdel Kechiche racconta la storia vera della Venere ottentotta Saartjie Baartman (Yahima Torrès, straordinaria), che all'inizio del XIX secolo per mano bianca e guinzaglio dello showbiz divenne fenomeno da baraccone tra Londra e Parigi. Magnifico e terribile, è Venere nera: quasi 3 ore di film, una discesa agli inferi dello sfruttamento voyeuristico e dell'esotismo razzista, una potente (meta)riflessione sullo sguardo e la sua deresponsabilizzazione collettiva. Un 'must see' per amore di cinema e pietas di Venere, condannata alla prostituzione e fatta a pezzi dalla scienza: morta il 29 dicembre 1815, il calco in gesso, lo scheletro e i barattoli con il cervello e i genitali in formaldeide rimarranno per quasi due secoli al Musée de l'Homme e restituiti al Sudafrica solo nel 2002. Kechiche lo racconta tra Salò e blaxploitation, entomologia e antropologia, dando nuova definizione a denuncia e impegno civile: fa male, ma perché fa bene. Un dannato capolavoro.
Federico Pontiggia, Il Fatto Quotidiano, 16 giugno 2011

Critica (2):Il nuovo film di Abdellatif Kechiche (vedi Cous cous) è una storia vera ma che sembra fatta della pasta di cui son fatti i sogni del cinema. (...) Roba da circo nazista, da baraccone, ma la poverina voleva essere artista. Il regista non fa sconti: tutti colpevoli. Ma il maggior imputato è Caezar, volgare imbonitore imbroglione che tiene la preda al guinzaglio e vince pure un processo. (...) Kechiche non vuole prendere la scorciatoia dell'emozione, mantiene il suo cine ossimoro: mostra i corpi ma con la distanza dello scienziato e del polemista, facendone una questione sempre molto sgradevole di primi piani ossessivi di carne, seni sgualciti, mani e bocche protese per toccare, sguardi voraci che si duplicano e s'intendono tra schermo e platea. Qui davvero è il film che guarda lo spettatore. Passando dai bassifondi alla Dickens alla mondanità libertina alla De Laclos fino alla prostituzione che regala alla Traviata nera una mortale sifilide, il film procede per larghi blocchi narrativi, di cui almeno uno ripetuto, capitoli di un racconto dominato dagli occhi umili e infelici di una migrante costretta ad aprir le gambe davanti a uomini illustri dell'accademia. Uno stupro visivo che ora chiede postumo risarcimento. Animato dall'interno dalla straordinaria non professionista Yahima Torrès, il film porta sul banco degli imputati la civiltà occidentale e la cultura del pregiudizio senza far morale né pronunciar sentenze ma indagando come una gastroscopia collettiva, partendo dalla carne, uno spirito ancora più malato.
Maurizio Porro, Il Corriere della Sera, 17/5/2011

Critica (3):

Critica (4):
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