RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
; Archivio film Rosebud; ; Archivio film Rosebud
Torna alla Home
Mappa del sito Cerca in Navig@RE 

 > Aree tematiche > Cultura e spettacolo > Archivio film Rosebud > Elenco per titolo > 

Rabbit Hole - Rabbit Hole


Regia:Mitchell John Cameron

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: dall’omonima pièce teatrale David Lindsay-Abaire; fotografia: Frank G. DeMarco; musiche: Anton Sanko; montaggio: Joe Klotz; scenografia: Kalina Ivanov; arredamento: Diana Salzburg; interpreti: Nicole Kidman (Becca Corbett), Aaron Eckhart (Howie Corbett), Dianne Wiest (Nat), Jon Tenney (Rick), Giancarlo Esposito (Auggie), Patricia Kalember (Peg), Tammy Blanchard (Izzy), Mike Doyle (Craig), Julie Lauren (Debbie), Phoenix List (Danny Corbett), Miles Teller (Jason), Sandi Carroll (Abby), Jay Wilkison (Gary), Ursula Parker (Lilly); produzione: Nicole Kidman, Geoff Linville, Gigi Pritzker per Saari-Leslie Urdang r Dean Vanech per Blossom Films-Odd Lot Entertainment-Olympus Pictures; distribuzione: Videa-Cde; origine: Usa, 2010; durata: 90’.

Trama:Becca e Howie erano felicemente sposati e avevano un bimbo di quattro anni, Danny, morto a causa di un incidente stradale, provocato dal giovane fumettista Jason. I due coniugi hanno cercato di venire a patti con il dolore immergendosi in realtà differenti, ma il tempo e le vicende personali stanno portando entrambi verso un inevitabile allontanamento. Alcune scelte determinanti e la forza del loro amore riusciranno a dare loro il coraggio per elaborare il lutto e trovare la voglia di ricominciare ad affrontare la vita insieme.

Critica (1):Perché un’attrice del valore mediatico di Nicole Kidman (auto-punitasi con un insensato intervento di plastica) scelga di produrre e interpretare un dramma come Rabbit Hole è intuitivo: una sceneggiatura rodata da anni di successo a teatro (il testo di David Lindsay-Abaire ha vinto anche il Pulitzer), un tema forte e non usurato come la morte traumatica del figlioletto, una discesa nel dolore che non esclude però l’ipotesi di una «salvezza» finale. È l’esempio perfetto del cinema considerato oggi «vincente», quello che porta lo spettatore a confrontarsi con la sofferenza e il male ma che poi non lo abbandona ai suoi sensi di colpa (sono anch’io così?), perché gli indica la possibilità di una via d’uscita. Qualcosa di più raffinato di un semplice happy ending, piuttosto una specie di «terapia d’appoggio», capace di emozionare (gli attori non sbagliano un’intonazione o uno sguardo, dalla Kidman al marito interpretato da Aaron Eckhart alla madre col volto di Dianne Wiest) e insieme dare l’illusione che anche chi sta in sala può soffrire così tanto e poi trovare la forza per uscirne vincitore. Un bell’esempio di cinema «consolatorio», ben scritto e recitato (cioè in maniera credibile e realistica), nella miglior tradizione hollywoodiana.
Paolo Mereghetti, Il Corriere della Sera

Critica (2):La vita di una giovane coppia si è infranta dopo la morte del loro unico bambino, travolto davanti alla bella casa da una macchina guidata da un ragazzo. La disperazione ha allontanato i due genitori che non sono più tali, e ognuno cerca di sopravvivere a modo suo: non c' è reciproco conforto, aiuto, tra loro, come se l' amore che ancora li unisce li rendesse, in quel crudele vuoto, estranei. Sono passati 8 mesi da quella tragedia, ma il tempo si è fermato nel dolore, che è sempre lì, inesorabile e muto, mentre lei pianta fiori nel giardino o prepara torte in cucina, mentre lui va in palestra con un amico o la porta fuori a cena: educati, sorridenti, senza lacrime, il saluto di sempre ogni mattina quando lui va a lavoraree lei si sfianca sul tapis roulant, come se tutto fosse a posto, pur in un lutto così grande che impedisce loro di parlarne, evocare, toccarsi, lasciarsi andare insieme nella sofferenza. Sullo schermo una storia come questa può venire malissimo, diventare patetica, esagerare nei singhiozzi, nel brutale sentimentalismo, oppure lasciar di gelo gli spettatori pur davanti a quello che è forse il dolore più grande, appunto la perdita di un figlio bambino, in questo caso del biondino Danny, di 4 anni, che irradiava felicità. E la critica americana non è stata benevola con Rabbit Hole, accusando il film di essere troppo o troppo poco rispetto a una tale irrimediabile mutilazione. Anche al Festival di Roma è stato liquidato dalla giuria come ininfluente, e neppure per un momento si è presa in considerazione l' interpretazione di Nicole Kidman, che però adesso è candidata all' Oscar come miglior attrice e, dopo gli ultimi ruoli insignificanti, funestati da una colpevole (probabilmente chirurgica) pietrificazione del suo bellissimo viso, questa volta meriterebbe di vincerlo. Rabbit Hole è la tana del coniglio bianco in cui Alice (nel paese delle meraviglie) cade nel primo capitolo del romanzo di Carroll, un misterioso buco senza fondo simile a quello in cui sta precipitando il cuore di Rebecca, (Nicole Kidman); ma è anche il titolo del fumetto che Jason (Miles Teller) il ragazzo che ha travolto il piccolo Danny, sta disegnando, ispirandosi alla teoria dei consolatori «universi paralleli» per attenuare il suo rimorso. Testo teatrale di David LindsayAbaire, vincitore del premio Pulitzer 2007, Rabbit hole è diventato un film sceneggiato dallo stesso autore, prodotto tra gli altri dalla Kidman, diretto da John Cameron Mitchell: scelta quanto mai curiosa essendo il regista, gay dichiarato, autore del semipornografico Shortbus e di un musical, Hedwigh-La diva con qualcosa in più, sulle avventure hard di un transessuale. Eppure è proprio questa sua allegra e ardita diversità, e la sua cultura del corpo, a facilitargli il racconto di corpi che l' infelicità separa, che non sanno più fondersi nell' amore, e del disagio sociale che circonda chi non corrisponde alla norma del gruppo; nel caso di Rebecca e Howie a renderli diversi dagli altri, è l'essere una coppia monca, portatrice della massima esclusione contemporanea, il dolore. Rebecca crede di attenuarlo cancellando i segni del bambino, togliendo i suoi disegni dalla cucina, eliminando giocattoli e magliette, vendendo la casa. Howie invece riguarda continuamente le immagini che tiene nel cellulare, di quella miracolosa vita finita, rivuole il cane che, inseguito per gioco in strada dal bambino, ha provocato l'incidente mortale, immagina un nuovo flirt. Soprattutto pensa che un altro figlio attenuerebbe il vuoto, ma Rebecca si ribella, non sarà un nuovo bambino a restituirle Danny. Insieme vanno a quegli incontri funerei tra persone che condividono una inconsolabile perdita, appunto quella di un figlio, ma quando un padre affranto per trovare una ragione, dice che forse Dio ha voluto vicino a sé un altro angelo, Rebecca gli risponde, ma se è Dio, perché non se ne è fatto uno tutto suo? Attorno c' è l'assedio distratto e volonteroso degli altri, i vicini che vorrebbero distrarli, la sorella di lei che resta incinta, la mamma (Dianne Wiest) che per consolare la figlia le ricorda che anche lei un figlio lo ha perso: paragone che fa infuriare Rebecca, perché Danny aveva 4 anni ed è stato ucciso da un'auto, tuo figlio ne aveva 30 ed è morto di overdose. Per caso, Rebecca rivede il giovane Jason che l'ha involontariamente spezzata, e sente il bisogno assurdo di seguirlo, di sapere della sua vita di giovane con un futuro. Seduti insieme su una panchina, si scambiano le radici di un male che in qualche modo li unisce: una perdita inestinguibile, un rimorso inestinguibile. Non si capisce perché i produttori ci tengano molto a far sapere che Rabbit Hole ha momenti molto divertenti, pieni d' ironia, insomma volendo, ci si possono fare anche delle risate. Non è così, o almeno io non l'ho notato, e dispiace che per attirare un pubblico ritenuto succube dello sghignazzo, gli si neghi un pregio sempre più raro in un film: la capacità di commuovere nel profondo, con discrezione ed eleganza. Un tempo si correva in massa a vedere film come Voglia di tenerezza che faceva consumare decine di fazzoletti. Adesso le lacrime evidentemente fanno paura, ma non sono le risate al cinema che renderanno più allegra la nostra vita.
Natalia Aspesi, La Repubblica, 8/2/2011

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
Valid HTML 4.01! Valid CSS! Level A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0 data ultima modifica: 03/23/2012
Il simbolo Sito esterno al web comunale indica che il link è esterno al web comunale