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Ihsane e il paese di papà


Regia:Manzini Nicoletta

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Nicoletta Manzini; produzione: Fondazione Mondinsieme; origine: Italia-Marocco, 2015; durata: 57'.

Trama: Il film è un viaggio alla ricerca della propria origine, una domanda sempre aperta e sempre diversa: che cosa vuol dire essere straniero?
Perché Ihsane è una ragazza di 22 anni nata in Marocco e cresciuta in Italia, che interpella sé stessa e il suo essere ponte tra due culture.
Nicoletta, documentarista e responsabile progettazione per la Fondazione Mondinsieme, l’ha seguita nel suo Paese d’origine – il Paese di papà – scrutando in silenzio il modo di Ihsane di rapportarsi ad un mondo famigliare e sconosciuto allo stesso tempo.
“Ihsane e il paese di papà” è il secondo documentario del ciclo “Il paese di papà” . L’impianto narrativo è lo stesso: in entrambi i casi abbiamo seguito un giovane di seconda generazione, a partire dalla sua quotidianità in Italia per arrivare nel paese di origine attraverso l’espediente del viaggio.

Critica (1):«Il mio progetto globale da attuare
Non è giustificare chi non sa governare
Chi la mattina si sveglia per derubare
Costringendo
Una società mono visiva ad accettare
Ciò che rende rossa, sta bandiera,
È una mera realtà che tutt’ora fa carriere.
Un lutto generale,
Senza una clausola “Amorale”
Che abroghi questo motivetto
Diventato ormai ciclico
Ed io asciugo una lacrima che crea
Un diluvio unico.
Bruciano disperati in mare aperto
“è CLANDESTINO” dicono che non va coperto
come si può rendere tutto ciò Legale?»

Queste parole, rappate con garbo e risolutezza da Ihsane Ait Yahia, sigillano il bel documentario di Nicoletta Manzini “Ihsane nel paese di papà”. Il film è un viaggio alla ricerca della propria origine, una domanda sempre aperta e sempre diversa: che cosa vuol dire essere straniero? Perché Ishane è una ragazza di 22 anni nata in Marocco e cresciuta in Italia, che interpella sé stessa e il suo essere ponte tra due culture. Nicoletta, documentarista e responsabile progettazione per la Fondazione Mondinsieme, l’ha seguita nel suo Paese d’origine – il Paese di papà – scrutando in silenzio il modo di Ihsane di rapportarsi ad un mondo famigliare e sconosciuto allo stesso tempo.

Nicoletta, da dove nasce questo progetto?
Il progetto si inserisce nel lavoro quotidiano portato avanti dalla Fondazione Mondinsieme del Comune di Reggio Emilia, per la quale lavoro. Si tratta di un centro interculturale che opera sui processi culturali dell’integrazione, lavorando, nell’ottica di un’integrazione bidirezionale, sia con gli italiani che con gli stranieri, per favorire la coesione e la partecipazione sociale. Ciò che maggiormente caratterizza il nostro lavoro è il valore dato alla singola persona che frequenta il nostro centro. Questo ci permette di entrare in contatto con molte storie, con esperienze di vita uniche, che risulta difficile incasellare all’interno di categorie come “seconde generazioni”, etc.
Crediamo che le storie delle persone, se raccontate e condivise, possono creare un patrimonio comune e diventare così lo strumento più efficace per combattere stereotipi e pregiudizi, più di qualsiasi argomentazione concettuale. I giovani di seconda generazione costituiscono la parte più importante del nostro lavoro, essi sono un’importante risorsa e capitale sociale per il futuro della nostra città e dell’Italia (basti pensare alle competenze linguistiche e culturali che la loro doppia appartenenza genera), ma tale valore non è ancora pienamente riconosciuto. Negli anni abbiamo raccolto tante storie di giovani di seconda generazione: ogni giovane ha alle spalle una storia di vita diversa, ma tutte le storie hanno qualcosa in comune, ossia il fatto di vivere la stessa condizione. Essere di seconda generazione genera automaticamente una serie di condizionamenti, per esempio non avere il diritto naturale di cittadinanza italiana alla nascita, non poter muoversi liberamente nell’area extra Schengen come è libero di muoversi un cittadino italiano, ma ciò che è peggio il sentirsi quasi sempre e ovunque straniero…. Come contribuire al cambiamento di questa percezione? Avremmo potuto fare un documentario di inchiesta e di denuncia sociale, chiedendo ad un gruppo di giovani di denunciare la condizione in cui si trovano, ma li avremmo esposti a quello che già vivono quotidianamente, ossia il continuo raccontarsi e giustificarsi, quando nei fatti sono italiani, basta semplicemente prendersi il tempo di osservarli. Da qui l’idea di un documentario osservativo, volto a mettere in luce non solo problematicità, ma anche la bellezza e la ricchezza delle proprie origini. L’intento di andare oltre la quotidianità in Italia, per compiere un viaggio insieme alla protagonista nel suo paese d’origine, risponde ad un interrogativo che ci siamo posti: se in Italia una giovane come Ihsane è considerata al 100% come straniera, ciò significa che in Marocco la considerano al 100% marocchina? Come è vista e trattata in Marocco? In altri termini quale è davvero il paese in cui la giovane è straniera: l’Italia, il paese in cui é cresciuta, o il Marocco, il paese di papà? Le persone che finora hanno avuto occasione di vedere il documentario mi hanno confermato di avervi trovato tutte le risposte. (…)In generale una famiglia che emigra in un altro Paese arriva quasi a non ritrovarsi più in diversi abitudini e forme di pensiero del Paese di origine, per cui quando vi si reca vive una forma di spaesamento (in loro assenza molte cose cambiano, loro stessi cambiano). Molte cose vengono dunque processate e rielaborate nel confronto intimo tra i membri della famiglia che sono emigrati e che sono in quel momento in visita nel Paese di origine. Ho raccolto dei dialoghi bellissimi e ricchissimi mentre eravamo in auto solo noi quattro (io, Ihsane e i genitori). Il resto del tempo eravamo sempre in mezzo a persone del posto, per cui l’auto o il tetto dove Ihsane scrive le sue canzoni, si sono simbolicamente e di fatto trasformati in spazi di confronto libero, di “pettegolezzo” e di ironico battibecco(l’ironia di Ihsane, del padre e della madre è tale che i genitori stessi si paragonavano ai coniugi Vianello). In quei momenti i nostri occhi e il nostro modo di guardare la cultura e le abitudini del posto era lo stesso, ossia lo sguardo di chi viene da fuori.
La vicenda del promesso sposo di Ihsane, raccontata a metà del documentario ne è l’esempio. La scena inizia in macchina, diretti ad acquistare un microonde, come regalo di nozze per il ragazzo che pochi mesi prima aveva chiesto la mano a Ihsane (e che rifiutato, aveva presto trovato una sostituta). La madre è stata la prima a essere contraria a questa proposta, in quanto sostiene che lo studio della figlia venga prima di tutto, e nelle scene non nasconde le sue perplessità in merito al matrimonio che si è tenuto (definito a tavolino in pochi mesi, la sposa ha lasciato il suo lavoro per stare a casa). Ad un confronto diretto con lo sposo (rappresentante la cultura e la tradizione marocchina), Ihsane si trova esattamente come davanti ad un confronto con gli italiani che non la riconoscono come tale, per cui deve giustificare quello che fa, che pensa, e che vuole, in altri termini la propria condizione particolare di giovane tra due mondi… Le stesse difficoltà che incontra nella sua quotidianità in Italia, le incontra anche in Marocco, da qui l’esigenza di ritagliarsi i suoi spazi e di raccogliere i suoi pensieri negli scritti delle sue canzoni.
Germana Lavagna, La città nuova-Milano-Corriere della sera, corriere.it

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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