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Giungla d'asfalto - Asphalt Jungle (The)


Regia:Huston John

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Ben Maddow, John Huston (dal romanzo di W. R. Burnett); fotografia: Harold Rosson; scenografia: Cedric Gibbons, Randal Duell; musica: Miklos Rosza; montaggio: George Boemler; interpreti: Sterling Hayden (Dix Handley), Louis Calhern (Alonzo D. Emmerich), Jean Hagen (Doll Conovan), Sam Jaffe (“Doc” Erwin Riedenschnider), James Withmore (Gus Minissi), John McIntire (commissario Hardy), Marc Lawrence (Cobby), Barry Kelley (Dietrich), Anthony Caruso (Louis Ciavelli), Teresa Celli (Maria Ciavelli), Marilyn Monroe (Angela Phinlay), William Davis, Dorothy Tree, Brad Dexter, John Maxwell, Gene Evans; produzione: Arthur Hornblow jr., per la Metro-Goldwin-Mayer; distribuzione: MGM; origine: USA, 1950; durata: 112’.

Trama:Doc, un ladro di professione, appena uscito dal carcere si unisce ad un gruppo di gangster che, su commissione di un avvocato in cattive acque, compie una rapina in una gioielleria. Quando ormai la rapina sembra essere andata a buon fine, l'allarme li tradisce e si trovano ad affrontare un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine. Malgrado uno dei suoi componenti della banda resti gravemente ferito, riescono a portare a termine il colpo. Ma uno degli organizzatori, messo sotto torchio dalla polizia, finisce col confessare...

Critica (1):(…) Per la prima volta in Giungla d’asfalto, come vent’anni dopo farà in Fat City, Huston riesce ad avvicinare, senza residui né scorie, il suo stile – quello stile il cui ritmo, secondo Agee, è potente ma irregolare come il ritmo della buona prosa piuttosto che quello dei buoni versi – a quello del codice civile, così caro a Stendhal. Giungla d’asfalto è diventato il modello, se non il prototipo, di una lunga serie di film, non soltanto americani, che descrivono una robbery, un hold-up, un colpo grosso. Dice Huston che i registi fanno quasi sempre uno sbaglio: danno troppa importanza al colpo, e dimenticano i personaggi. In questo film senza stars la struttura drammatica non privilegia alcun personaggio in particolare e sfugge alle convenzioni del genere: non c’è un traditore, non una divisione manichea tra buoni e cattivi. È una galleria di personaggi che, pur dislocati in una gerarchia di varia importanza narrativa, sono tutti definiti con la medesima forza nella prima parte del film, attraverso una catena di scene brevi e incisive che si susseguono a ritmo rapido, ricche di particolari significativi (gesti, frasi, comportamenti) cossiché lo spettatore ha imparato a conoscerli quando comincia la lunga sequenza del colpo alla gioielleria. Allora, d’improvviso, il film cambia marcia: il ritmo spedito e teso s’allenta, e s’entra in un altro universo, dominato dalla realtà dinamica degli oggetti inanimati. Sia pure in una situazione e in un ambiente diversi, soltanto un altro regista ha saputo mettere in immagini altrettanto suggestive e drammatiche un confronto fisico fra l’uomo e gli oggetti, il Becker di Il buco (1959). Sulla loro scia si è messo il Siegel di Fuga da Alcatraz (1979). Pochi film del genere gangsteristico possono vantare una galleria così ricca di personaggi come Giungla d’asfalto: Doc Riedenschneider (Sam Jaffe) che ha preparato il piano del colpo in sette anni di carcere: astuto, sensuale, fatalista, ha una concezione del lavoro da tedesco perfezionista e metodico e sa valutare un uomo alla prima occhiata; Cobby (Marc Lawrence), l’allibratore che, volendo salire di categoria nel mondo della malavita, anticipa una parte dei fondi e suda alla vista del denaro; Gus Minissi (James Withmore), barista gobbo che ama i gatti e crede nell’amicizia; Ciavelli (Anthony Caruso), specialista in casseforti che, terminato il lavoro, ritorna nell’intimità della sua famiglia numerosa di italo-americano; Dix Handley (Sterling Hayden), uomo di mano e di pistola, rozzo gigante dall’abito losco e dallo sguardo di sradicato, un po’ spregiato dai compagni professionisti che lo considerano un male necessario: pensa alle praterie e ai cavalli del Kentucky come in un sogno di innocenza prenatale; Alonzo D. Emmerich (Louis Calhern), avvocato equivoco sull’orlo della bancarotta, i cui occhi astuti e la bocca molle smentiscono l’appiombo signorile delle belle maniere: è il personaggio che fa da cerniera tra i due mondi, quello della malavita e quello della legalità. Le due donne, infine: Doll Conovan (Jean Hagen), ballerinetta umiliata di tenera volgarità che cerca a tastoni una sigaretta stropicciata, ridacchia nervosamente mentre si toglie le sopracciglia finte e s’aggrappa, con devozione appiccicosa, al primitivo Dix in cui riconosce, d’istinto, un perdente come lei; Angela (Marilyn Monroe, di cui Huston fu il Pigmalione; nei cinque film precedenti aveva fatto trascurabili comparsate), gattina di lusso, Lolita cresciuta, piccola nazista del sesso, inguainata in pantaloni eccitanti.
Al finale – Dix Handley ferito che, sorretto da Dolly, va a morire in un prato del natio Kentucky, tra un gruppo di stalloni liberi che, come si legge nella sceneggiatura, “l’osservano con infinita pazienza” – s’è rimproverato di essere un espediente troppo poetico, in contraddizione con l’asciutto cronachismo del film, e di indulgere a una romantica idealizzazione dell’eroe criminale. Della stessa natura sono le rampogne rivolte a Burnett, accusato di essere un po’ troppo sentimentale verso i suoi personaggi fuorilegge. “Non è vero – replica Huston –. Conosce questo genere di personaggi così bene che prova amicizia per loro. Burnett è insuperabile sull’ambiente della malavita. Il genio di Burnett, quello che mi colpisce ogni volta che leggo uno dei suoi libri, quelli buoni, è il modo prodigioso con cui sa rendere la realtà dei personaggi e degli oggetti. Pochi scrittori sanno far passare nelle loro opere un tal grado di realtà, con l’eccezione saltuaria di Hemingway. Non è un sentimentale; ama i suoi personaggi in segreto”.
Morando Morandini, John Huston, Il Castoro cinema

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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