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Segni particolari: nessuno - Rysopis


Regia:Skolimowski Jerzy

Cast e credits:
Sceneggiatura: Jerzy Skolimowski; fotografia: Witold Mickiewicz; musiche: Krzysztof Sadowski; montaggio: Jerzy Skolimowski, Halina Gronek; interpreti: Andrzej Zarnecki (Raymond), Jerzy Skolimowski (Andrzej Leszczyc), Tadeusz Mins (Mundzek), Elzbieta Czyzewska (la Donna/Studentessa), Jacek Szczek; produzione: Pwsrif (Scuola Superiore di Cinema Televisione e Teatro di Lodz); distribuzione: Movies Inspired; origine: Polonia, 1964; durata: 76’.

Trama:Il ventiquattrenne Andrzej Leszczyc si sveglia troppo presto per andare all'ufficio militare dove deve passare la visita di leva. Finora ha avuto il rinvio perché studente di ittiologia, ma ora che la sua tesi non procede (ed è stato espulso dall'Università), decide di arruolarsi immediatamente.
È ancora buio. Esce di casa ugualmente e vaga per la città. All'ufficio leva è interrogato e quindi sottoposto a visita medica: «Segni particolari? Nessuno». Quella sera stessa dovrà partire per il campo. Gli rimangono soltanto poche ore di libertà prima di passare due anni nell'esercito. Allora decide di ritornare a casa. Qui non dice niente a Teresa, la sua ragazza che talvolta presenta come moglie.
Quando lei esce per andare al lavoro, Andrzej si accorge che il cane sta male. Lo porta dal veterinario che decide di fargli un'iniezione letale, perché l'animale ha la rabbia. Poi va in un caffè dove Mundzek, un amico ritrattista, si abbandona a confidenze sulle sue avventure sessuali con casalinghe sole. Successivamente si reca alla segreteria dell'università per un documento. Qui incontra Barbara, una giovane matricola. I due riescono a parlarsi solo a distanza. Andrzej sembra molto disponibile, ma poco dopo la lascia per cercare una delle donne di cui parlava Mundzek. La casalinga si dimostra, però, elusiva.
Allora Andrzej decide di cercare Teresa nel negozio dove lavora. Qui, però, nessuno la conosce. Va a casa, e quando la donna ritorna la rimprovera e fa allusioni sulla vera natura della sua attività.
È ormai ora di partire. Andrzej si precipita alla stazione dove riesce a saltare sul treno pieno di giovani reclute. A salutarlo è andata anche Barbara, ma lui non ha più tempo...

Critica (1):Realizzato come saggio di fine corso della Scuola di Cinema, Segni particolari: nessuno (1964) è anche l'esordio ufficiale di Skolimowski. Frutto di un progetto preorganizzato (dal secondo anno di studi sta utilizzando la pellicola che annualmente la scuola gli mette a disposizione per girare delle "parti" a un tempo autnome e incastrabili nel futuro film), Segni particolari nega l'affermazione del titolo e propone invece con quel «nessuno» (aggiunto nell'edizione italiana, ma pronunciato nel film), alcune coordinate precise sul regista e sul suo personaggio alter ego, Andrzej Leszczyc. Contiene inoltre anticipazioni – come il tema dell'itinerario – di quel cinema della sfida che caratterizzerà l'evoluzione della intera attività cinematografica dell'autore polacco.
Andrzej è l'immagine speculare di Skolimowski, ma solo perché il regista ne è anche l'interprete (e lo è non per esigenze artistiche, ma perché non poteva permettersi di pagare attori), e in quanto suo coetaneo e portatore delle contraddizioni della generazione degli «ingenui perversi». Per il resto, la riduttiva assimilazione autobiografica – come si vedrà nei successivi film – non consentirebbe di cogliere i molti segnali che il giovane lancia in maniera contraddittoria, anzi dissonante, come avviene per il jazz (atmosfera che indirettamente l'adolescente regista respira quando lavora come responsabile delle luci al seguito del complesso musicale di Krzysztof Komeda, con il quale poi collaborerà intensamente).
Segnali che non sono messaggi culturali o teorie sulla nuova borghesia rossa, che secondo Skolimowski convive con lo stalinismo ancora vivo degli anni '60. Meno ancora sono saggi di psicologia del comportamento, o analisi critiche sulla struttura e la costruzione della società socialista. Si tratta invece "soltanto" della manifestazione istintiva di una soggettività delusa (dal passato) inquieta (perché troppo compressa), cinica e ribelle perché troppo consapevole del presente e soffocata dal futuro. I film di Skolimowski sono contrassegnati da metaforiche e oppressive immagini di sacchetti di plastica o di carta, di teloni, veli, lenzuola e bende che avvolgono, cappelli che coprono, impedimenti e pesi da portare, barriere architettoniche, corde e ring di pugilato, vagoni sigillati, corridoi, appartamenti e navi claustrofobiche che tolgono aria vitale ai personaggi.
Andrzej Leszczyc è un solitario, un isolato, un outsider, a metà tra l'eroe letterario di J.D. Salinger, Holden Caulfield (Il giovane Holden, 1951), e uno dei «rivoltosi conformisti» del saggio di Jan Blonski (Les révoltés conformistes, «Les Temps Modernes», 175-176, ottobre-novembre 1960). Benché in un contesto assai diverso da quello americano del romanzo, Andrzej possiede del primo un potenziale di caustica ironia che sarà più evidente in Barriera (dove lo studente protagonista non ha nome, ma è Leszczyc). Esprime l'incomprensione che il mondo esterno e quello dei suoi pensieri manifestano nei suoi confronti; possiede la velocità del racconto, la polverizzazione della logica nella rappresentazione sequenziale di una situazione o di un personaggio: in Holden, ad esempio, i genitori e la sorella, oppure la scuola; e in Andrzej il ritmo del suo irregolare movimento, la «sofferenza» quasi surreale nel bruciare le poche ore prima della partenza (come Holden prima di tornare a casa dopo l'espulsione dalla scuola). (...)
Segni particolari è una sorta di monologo interiore che si esprime con azioni e momenti rappresentati, come se non ci fosse soluzione di continuità temporale tra il modo di pensare e di vivere di Andrzej e il linguaggio della cinepresa. Nessuno dei due spiega il proprio comportamento, ma la mdp sembra aver assorbito l'energia del personaggio; questi, a sua volta, le fornisce una originalità stilistica dovuta anche alle particolari condizioni della realizzazione del film (in economia), nonché alla giovane età del regista che con quest'opera farà uscire il nome di Skolimowski dai confini del suo paese. (...)
«Durante quelle ore cruciali in cui il protagonista fa, senza veramente volerlo, il bilancio della sua vita, la cinepresa non lo abbandona più», rileva Michel Ciment («Positif», 77-78, luglio 1966) che coglie il nocciolo del film sottolineandone il carattere di confessione involontaria, di itinerario personale tutto proteso al passato, dal momento che il futuro di militare di Andrzej già sta per cominciare. Lo iato dei percorsi di quest'opera – in cui, secondo Raymond Lefèvre (cfr. «Cinéma 73», 180, settembre-ottobre 1973), Skolimowski tende a cancellare la separazione tra cinema oggettivo (che spia il personaggio) e cinema soggettivo (che si identifica con lo sguardo) – è un contrasto vissuto da Andrzej come in soggettiva, attraverso una serie di punti di riferimento indiziari sulla sua esistenza (un po' come saranno le metaforiche "stazioni" di Barriera). Come se egli già sapesse che negli altri e in se stesso non troverà motivi validi né per rimanere, né per partire.
L'amore è una finzione: lui e Teresa non sanno nulla l'uno dell'altra. L'amicizia è solo quella di Mundzek, la proiezione di come egli potrebbe diventare (uno che da direttore dell'Associazione della gioventù polacca è significativamente diventato un pittore di ritratti da marciapiede). L'incontro con Barbara è inutile (lei alla stazione lo cerca invano) e sfortunato perché la donna si ammazzerà, lui presente, alcuni anni dopo. L'impatto con le istituzioni è scontato ma negativo (la visita di leva giocata su rapide interruzioni della continuità visiva mediante inserti in nero, e dopo, la bara che incrocia sulle scale, ma soprattutto la sequenza dal veterinario, dove Andrzej si sente responsabile della morte del cane); quello con la Storia è sempre deludente e amaro (il ferito di guerra che bara sulla sua infermità. Egli è avvolto da un quotidiano fatto di una mansarda-vetrina dove un muro di mattoni separa la cucina e dove la gente sfila nell'anonimato (sottolineato dalle due sconosciute che fanno i bagni di sole in terrazza).
Ma è un quotidiano fatto anche dei suoi studi di ittiologia. «Alcuni pesci vanno dal mare ai laghi, controcorrente»: questa affermazione è forse un momento di reazione, un indefinito lampo nel cervello di Andrzej che capisce come osservare il mondo non sia più sufficiente, occorre muoversi e in fretta («Una volta lanciati, poter scegliere il proprio itinerario», è quanto dice durante 1'intervi-
sta). E dunque, concitazione alla stazione, il salto sul treno già in moto. Ma in lui non c'è ancora – come avverrà in Walk over – l'idea della lotta come molla per ostinarsi ad andare contro una corrente già programmata, per lui, da altri. Per ora il segno particolare più importante per Andrzej/Skolimowski è il treno, il mezzo che permette un cambiamento se non di stato, almeno di posizione. (...)
Fabrizio Borin, Jerzy Skolimowski, Il Castoro cinema, 1-2/1987

Critica (2):Lei è stato il primo allievo a girare un lungometraggio frequentando la scuola. Magari non tutto in una volta, ma spezzone dopo spezzone, assemblando vari saggi scolastici, comunque Rysopis nacque durante i suoi studi.
Sì. Iniziai già al secondo anno. Sfruttavo ogni occasione buona per girare un pezzo di film. Ricordo un'esercitazione per operatori sull'uso del trasfocatore. I colleghi facevano rapidi zoom su un'automobile in avvicinamento frontale. Una ripresa tipica, a effetto. Io, invece, se ben ricordo, girai l'inquadratura di Rysopis che inizia da un ammasso di ferraglia, dalla cisterna percossa col bastone dal ragazzino. A quel punto io entro in campo, mentre con lo zoom l'inquadratura si allarga sempre di più. Presa da sola, quell'inquadratura poteva valere come esemplificazione dell'uso dell'obiettivo a fuoco variabile. Nella mia percezione del cinema, invece, costituiva un tassello da riutilizzare in seguito. Non ricordo se, girandola, sapevo già dove avrei impiegato quel pezzo...
In effetti è un buon esempio del metodo che ho applicato o piuttosto... dell'assenza di metodo. In sostanza la figura di Leszczyc, il protagonista che avrei impersonato, era già apparsa in diverse situazioni. Fu poi possibile riunire tutti quei pezzi nel montaggio.
Anche la scenografia, con quegli ammassi di rottami, faceva un certo effetto. Queste cose allora nel cinema non si vedevano. Per quel periodo era piuttosto innovativo. Io, perlomeno, non ricordo di aver visto qualcosa del genere.

Seguì una strategia precisa nella realizzazione del film o tutto veniva fatto durante le riprese?
Durante le riprese. Poi cominciai a mettere insieme i pezzi... Il primo frammento con attori e dialoghi fu la scena del caffè, quando Leszczyc incontra Mundek e il suo amico. Si parla della professione di Mundek, del fatto che fotografa belle donne e, nello stesso tempo, le adesca per potenziali clienti. Fa grossi ingrandimenti delle fotografie. Mostra il ritratto di una certa Janczewska. Questo era uno spunto che sapevo di poter sviluppare anche se, mentre giravo quella precisa scena, non sapevo ancora che cosa ne avrei fatto.
Avevo, insomma, gettato la rete, sperando in una buona pesca futura. Avevo una discreta scelta: continuare il motivo di Mundek, far andare da qualche parte il suo compare, potevo dedicarmi a Leszczyc. Insomma, si poteva sviluppare in una direzione o in quella opposta.

Rysopis colpì allora per il suo realismo, per la verità sprigionata dallo schermo. Fu tra i primi a richiamarsi alla quotidianità incolore, la quotidianità orfana dei meriti bellici. Ho l'impressione che, a generare questa visione della realtà, abbia contribuito notevolmente proprio quel suo metodo o... non-metodo.
La scena al caffè di cui dicevo era un novum rispetto ai metodi scolastici. Doveva essere un'esercitazione sull'uso delle scenografie. Per prima cosa si dovevano ideare e montare da soli, con l'ausilio di due tecnici; l'operatore doveva illuminarle ecc. Decisi che non avrei montato degli scenari in studio. Li piazzai all'aperto, a ridosso della scuola, all'angolo di Targowa e Glówna. Le finestre di quel mio caffè si aprivano sull'apoteosi del traffico automobilistico e tranviario. Chiaramente volevo nascondere che si trattava di uno scenario. Il mio ragionamento fu: più vetri ci sono, più verità ricavo attraverso la finestra, meno si vedrà la rudimentale scenografia. Tanto vetro, poco intonaco. E andò in porto. Presentai la prova al terzo anno ed ebbi un voto alto.

Il soggetto del film – lo stesso titolo lo suggerisce – consiste nel ritratto di una generazione. Di individui ventenni o poco più all'inizio degli anni '60.
Mi infastidiva che il nostro cinema voltasse le spalle al quotidiano. Allora c'erano soprattutto film di guerra, una serie interminabile sulla lotta partigiana. Poi film in costume e commedie. Non esisteva, invece, il cinema di attualità, come se la vita di allora non proponesse argomenti degni di essere filmati. Ricordo film di pseudoattualità, come Uczta Baltazara [La festa di Baltazar] o Cieri [L'ombra], ambientati magari qualche anno prima, mentre a nessuno era venuto in mente di girare quello che c'era allora, nel 1964.

Eccetto, magari, Il coltello nell'acqua.
Il coltello nell'acqua era effettivamente un film di attualità. Così come Ingenui perversi. Entrambi fanno parte in un certo senso della mia opera. Forse era profondamente connaturato in me l'interesse per la contemporaneità, per ciò che succedeva in quel momento intorno a me. (...)
"Segni particolari", intervista a Jerzy Skolimowski di Jerzy Uszynski, in Jerzy Skolimowski, a cura di Malgorzata Furdal e Roberto Turigliatto, Lindau, 1996.

Critica (3):Rysopis comincia nel momento in cui Andrzej Leszczyc si presenta alla commissione di leva dove viene sancita la necessità che egli presti il servizio militare, mettendo quindi fine a un capitolo della sua esistenza. Ha studiato ittiologia all'università, ma gli è mancata la pazienza per scrivere la tesi di laurea. Ha ottenuto molti rinvii, ma ora non cerca più scuse per scantonare. Si rende conto che la sua vita, finora, è stata un rosario di opportunità perdute, di occasioni mancate e che il risultato di quegli anni è infimo. Sono scivolati via come sabbia in mezzo alle dita. Il colloquio tra Leszczyc e il maggiore, il capo della commissione di leva, riflette perfettamente lo stato di cose. (...)
Per Leszczyc, la partenza per il servizio militare segna la fine del gioco. È un fatto ineluttabile e reale al cento per cento. Tutto quanto era stato prima aveva fatto parte del mondo dell'infanzia, una dimensione protrattasi oltre misura, un'immaturità coltivata. I sotterfugi, i rinvii, le scuse, le finte erano serviti tutti a un'unica causa: preservare un frammento almeno di indipendenza e di libertà. Indipendenza e libertà non basate, tuttavia, sulla consapevolezza dell'inevitabile, ma anzi sulla possibilità di procrastinare il più possibile questa presa di coscienza.
Un motivo che, nell'opera dell'autore di Rysopis, ricorre altre volte. Jerzy Skolimowski è, oltre che regista, poeta, coautore di sceneggiature, attore. Nel suo ancor breve curriculum artistico i film suoi seguono alla poesia, alle sceneggiature e anche a una piccola parte. Tralasciamo la prima, che esula dall'ambito delle nostre riflessioni. Ma se riprendiamo le due sceneggiature scritte a quattro mani con Jerzy Andrzejewski, – Niewinni czarodzieje (Ingenui perversi) – e con Roman Polanski – Il coltello nell'acqua (Nóz w wodzie) – ci accorgiamo che la loro tematica è simile. In entrambe lo scontro tra un giovane protagonista e la vita, la contemporaneità. Entrambi i protagonisti mettono a punto un proprio credo esistenziale. Non appartengono allo stesso insieme generazionale. Bazyli di Ingenui perversi è laureato in medicina, fa tirocinio come medico sportivo. Il Ragazzo, protagonista di Il coltello nell'acqua, è di qualche anno più giovane, non ha ancora iniziato una vita indipendente. Il suo antagonista, nel film di Polanski, è un abbiente giornalista sportivo che, nella vita, è in qualche modo arrivato: un'automobile, una barca, una moglie intellettuale. Il Ragazzo non ha ancora niente e decide di atteggiarsi a «ribelle», uno che non tiene alle piccolezze materiali. Ma è un atteggiamento sincero? (...)
Leszczyc, il protagonista di Rysopis non si piega facilmente al nostro criterio di giudizio morale, sociale o «generazionale». In fondo che cosa sappiamo di lui? L'università interrotta, il servizio militare rinviato, lavoretti saltuari, un matrimonio poco riuscito, «non andato per il verso giu-
sto». «Dovevo rimettere ordine nelle mie cose» dice Andrzej Leszczyc al capo della commissione di leva. Una battuta che potrebbe essere il suo motto. Avrebbe dovuto riordinare le sue cose, ma così non è stato. Fino alla sua partenza per il militare, nella sua vita è stato tutto provvisorio, aleatorio, effimero.
Corrisponde proprio alla «linea del destino» capricciosa, spezzettata del protagonista l'impianto drammaturgico del film, molto disunito ed eterogeneo. Il film inizia di primo mattino – Leszczyc si appresta a partire per la commissione di leva – e si conclude il pomeriggio dello stesso giorno alla stazione. Il protagonista salta all'ultimo momento sul treno che lo porterà al distretto militare. Fra questi due punti di demarcazione, Skolimowski ha collocato a piacere una serie di situazioni, una quantità di fatti che non necessariamente sarebbero dovuti accadere e nessuno dei quali, eccetto il responso della commissione e la partenza, muta in modo ineluttabile il destino del protagonista.
Come trascorre Andrzej Leszczyc il suo ultimo giorno di libertà da «borghese»? Sbrigando – si potrebbe pensare – cose importanti in vista dei due anni di assenza. Ma le sue «cose importanti» formano una sequenza piuttosto singolare. Prima porta dal veterinario il cagnolino con sospetta idrofobia e si scopre che la bestiola va soppressa. Poi lo vediamo chiacchierare con degli amici in un caffè. Uno di questi gli passa l'indirizzo di una certa Janczewska, «preda» facile a detta sua, una a cui «piacciono i giovani». Nella presidenza di facoltà, dove Leszczyc va a ritirare il libretto universitario, incontra una Ragazza che è la copia perfetta di sua moglie (e, del resto, la interpreta la stessa attrice, Elzbieta Czyzewska). Poi passeggia fino alla vicina segheria, dove ha lavorato ai tempi dell'università.
Il colloquio con la Ragazza, la sosia della moglie, ci dimostra che i fatti di quest'ultima giornata hanno, in realtà, una valenza doppia. Da una parte, come in ogni opera cinematografica, servono alla progressione drammatica, spingono avanti l'azione, ma nello stesso tempo scandiscono le fasi del processo interiore del protagonista alla ricerca di se stesso o, più precisamente, della conoscenza del proprio io. (...)
Konrad Eberhardt, “L’uomo con la valigia”, in Jerzy Skolimowski, a cura di Malgorzata Furdal e Roberto Turigliatto, Lindau, 1996.

Critica (4):
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