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Diamante nero - Bande de filles


Regia:Sciamma Céline

Cast e credits:
Sceneggiatura: Céline Sciamma; fotografia: Crystel Fournier; musiche: Para One; montaggio: Julien Lacheray; scenografia: Thomas Grézaud; interpreti: Karidja Touré (Marieme/Vic), Assa Sylla (Lady), Lindsay Karamoh (Adiatou), Marietou Touré (Fily), Idrissa Diabate (Ismaël), Simina Soumare (Bébé), Cyril Mendy (Djibril), Djibril Gueye (Abou); produzione: Hold-Up Films & Productions-Lilies Films in associazione con Arte France Cinéma; distribuzione: Teodora Films; origine: Francia, 2014; durata: 112’.

Trama:La 16enne Marieme è oppressa dall'ambiente familiare e sociale in cui vive. L'incontro con altre tre ragazze dallo spirito libero, però, cambierà tutto: Marieme diventa Vic, cambia look, lascia la scuola e insieme alle ragazze della banda inizia a vivere la sua nuova, spensierata giovinezza...

Critica (1):Aveva ragione Jacques Rancière a dire che il problema fondamentale della rappresentazione dei subalterni è il fatto che vengano inevitabilmente costretti al ruolo delle vittime e a interpretare il sintomo di un disagio sociale.
Normalmente a un subalterno non viene chiesto di parlare d’amore, d’arte o di bellezza, o di parlare di cose genericamente umane: gli viene chiesto di raccontarci soltanto della sua sofferenza e della sua esperienza di vittima. Gli adolescenti di colore delle banlieue parigine poi – che sono delle vittime per eccellenza – quando si volge lo sguardo su di loro, li si interpella solo per raccontarci un problema sociale (sia nel registro della comprensione sia in quello del razzismo).
Giunge così come una vera e propria boccata d’aria fresca Diamante nero (Bande de filles) di Céline Sciamma, la storia di una gang di ragazze adolescenti di Bobigny, una delle banlieue a est di Parigi.
La vita della protagonista, la sedicenne Mariame (interpretata splendidamente da Karidja Touré) che va male a scuola e vive in un squallido palazzone di periferia insieme al fratello violento e a due sorelle più piccole, subisce uno scossone irreparabile quando una gang supercool di coetanee le chiede inaspettatamente di diventare una di loro. Vestiti firmati rubati, capelli lunghi e stirati come delle popstar e attitudine minacciosa e assolutamente impertinente, sono gli ingredienti che le permettono di costruire un’identità (il tema ricorrente di tutti i film della Sciamma). E in un mondo dove tutto riparte da zero e dove gli adulti sono scomparsi, i nomi propri ce li si sceglie e non li si eredita da nessuno: Mariame diventa Vic, come vittoria, quello che lei vorrebbe dalla vita.
In questo accattivante e coinvolgente romanzo di formazione in cui veniamo catapultati, il nostro sguardo diventa quello delle ragazze. Gli atti di bullismo, le risse con i coetanei riprese dai cellulari e l’ossessione per la cura del proprio corpo che normalmente verrebbero visti come segni inequivocabili di un degrado sociale (l’ormai ubiqua “mutazione antropologica”, vera e propria espressione-prezzemolo dell’opinione qualunque), sono semplicemente l’alfabeto di cui sono fatte queste vite.
E così succede anche che quando si vedono queste ragazze ballare sulle note di Diamond di Rihanna in una sorta di re-enactment fai da te di un videoclip in una camera d’albergo (la scena che meglio sintetizza il film), non si possa che pensare che queste forme di vita quando non ci si precipiti a giudicarle, possano nascondere momenti di inaspettata bellezza.
Tuttavia in questa costruzione costante di se stessi, quello che continua a fare problema è il corpo. Perché la Sciamma non ci fa solo un cantico de-responsabilizzato della costruzione artificiale della propria immagine. Qualcosa a volta si mette di traverso. Il corpo non è manipolabile come i capelli, e non lo si può nemmeno nascondere sotto i vestiti (come fa la sorella più piccola di Vic quando le inizia a crescere il seno).
Diventare adulti, come le ragazze della banlieue sono costrette a fare persino troppo in fretta, vuol dire anche riconoscere che c’è un limite. E che questo non appartiene solo alla società, ma anche alla dialettica a volte un po’ imperscrutabile del nostro desiderio. Delle eredità insomma possiamo fare a meno, così come dei padri (e persino degli uomini ci dice la Sciamma). Quello di cui non possiamo fare a meno è riconoscere che “diventare sé stessi” non è mai una soluzione, come vorrebbe farci credere l’ideologia narcisista oggi dominante, ma un enigma al quale non è sempre possibile dare una risposta.
Pietro Bianchi, cineforum.it

Critica (2):Nel 2011 uscì un film scritto e diretto da Céline Sciamma, Tomboy, pluripremiata storia di una bambina di dieci anni che si spaccia per maschietto. Con Diamante nero (in originale "Banda di ragazze") la giovane regista francese si offre una variante dello stesso argomento, in modo meno esplicito ma con risultati altrettanto interessanti e con implicazioni, forse, ancor più complesse. Marieme, sedicenne nera della banlieue parigina, va male a scuola, deve far da madre alle sorelle minori e subisce le prepotenze del fratello, per il quale ogni desiderio fa di lei una puttana. Timida e schiva, la ragazza comincia a trovare una propria identità entrando nella banda di coetanee composta dalla carismatica Lady, da Adiatou e da Fily, angeli in "chiodo" travestiti da teppistelle, bulle sexy debordanti di energia e di vitalità. Parlano ad alta voce, ridono a gola spiegata, ballano, fanno a botte; e se, in fondo, la loro esistenza quotidiana non differisce molto dalla sua, dal girl group ricavano forza e coraggio. Grazie alle tre sfrontate moschettiere di quartiere, Marieme capisce che il mondo non è solo roba per i maschi.
Cambia pelle (indossa un giubbotto di cuoio, si stira i capelli, da goffa diventa sexy) e nome: si farà chiamare Vic. Respingendo il ruolo che la società maschile, la scuola, le madri e i fratelli maggiori (repressivi quanto lo sarebbero i padri assenti) assegna loro, le ragazze trovano nella complicità reciproca momenti di pura gioia: come nella scena in cui tutte assieme cantano Diamonds di Rihanna, magnifiche regine di periferia libere, forti, emancipate. Però si tratta di momenti fugaci, effimeri prima di tornare alla realtà quotidiana; intorno, pronta a inghiottirle, c'è una palude di spaccio, prostituzione, prevaricazione. Ed ecco le analogie col precedente film di Sciamma, Tomboy. La ricerca del suo posto nel mondo passa, per Vic, anche attraverso un femminismo - come dire? - "travestito" in abiti maschili: Vic esaspera tutti i codici della virilità, si batte con un'altra ragazza, strappandole il reggiseno in segno di umiliazione, porta i capelli corti e si fascia il petto; "femminilizza" il suo ragazzo, Ismael, assumendo un ruolo dominante nel rapporto sessuale.
Più di tanti scritti di sociologia da salotto, il film ci insegna qualcosa sul bullismo femminile: non solo, come è ovvio, mezzo per radicare la propria identità in un gruppo, ma anche per farsi rispettare in una società dove i maschi dettano le regole mostrandosi alla loro altezza (dopo la vittoria di Vic il suo prepotente fratello, che ha visto il video postato della lotta, la tratta quasi alla pari). Però un film deve essere un film, non un trattato di sociologia; e questo, per fortuna, Sciamma lo sa bene. Ciò le permette di inscrivere i personaggi in una banlieue emancipata dai criteri del realismo, una città priva di poliziotti, quasi senza adulti o gente dalla pelle
bianca. Sempre lontana dall'estenuante sociologismo delle periferie, la regista prima ci regala una storia trepidante di vigore e anche di rabbia; poi, però, ha cura di mostrarci come la vita di Vic nella banda di ragazze sia solo una tappa del suo itinerario iniziatico, che il film manda avanti ancora a lungo prima di giungere a un finale "aperto". Marieme/Vic non sfuggirà così facilmente ai lupi che infestano la città; e nemmeno potrà farlo Lady, l'amica ultra-cool che le ha offerto un primo riparo dalle brutali prepotenze del mondo. In questo, e in altro ancora, Diamante nero è (così come lo era Tomboy) un film profondamente politico, oltre a al di sopra di ogni programmatico "messaggio".
Roberto Nepoti, repubblica.it.

Critica (3):

Critica (4):
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