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Tempo rimasto (Il)


Regia:Gaglianone Daniele

Cast e credits:
Sceneggiatura: Daniele Gaglianone, Stefano Collizzolli; fotografia: Matteo Calore, Mauro Nigro, Andrea Parena, Paolo Rapalino; montaggio: Enrico Giovannone; musiche:
Sergio Marchesini; produzione: ZaLab Film; distribuzione: ZaLab Film; origine: Italia, 2021; durata: 85'.

Trama:Una riflessione sulla vecchiaia e su cosa si può scoprire guardandosi in questo specchio, che nasce da un lungo percorso di ascolto e decine di lunghi incontri in cinque regioni italiane.
Il Tempo Rimasto, il film documentario diretto da Daniele Gaglianone, vede al centro della storia il tempo, raccontando la vita trascorsa, la vecchiaia e il tempo che rimane da vivere.
I protagonisti della storia sono dei bambini e dei giovani che ora, con il viso segnato dal tempo, tornano indietro e hanno l'impressione di trovarsi di nuovo là dove un tempo sono stati. Attraverso un viaggio in diverse regioni Italiane, fatto d'incontri e di ascolto, il film fa una riflessione sulla vecchiaia e su cosa può emergere guardandosi indietro, un confronto tra il tempo che resta e quello che resterà, tra la vita che se ne va e quella che rimane nascosta da qualche parte, in attesa di essere ancora raccontata.

Critica (1):Da un'idea del regista Andrea Segre (ZaLab) in collaborazione con Istituto Luce Cinecittà, ha preso il via nel 2019 "Archivio '900", progetto di conservazione digitale delle memorie vive del secolo scorso, di prossima pubblicazione sul portale dell'Istituto. Da questa collezione di testimonianze video raccolte in cinque regioni (Piemonte, Veneto, Lazio, Sicilia e Calabria) è scaturito Il tempo rimasto, un film "dedicato alle memorie delle ultime persone che hanno vissuto il mondo e la vita prima delle grandi trasformazioni tecnologiche del '900. Com'era la vita prima dell'elettricità, prima della macchina, prima del riscaldamento, prima del telefono, prima della televisione?", nelle parole di Segre, anche produttore insieme a Stefano Colizzolli, anche cosceneggiatore con il regista Daniele Gaglianone.
Più che video interviste, quelle di Il tempo rimasto sono veri e propri "ascolti" di persone anziane che ricordano (anche se il regista preferisce la parola "vecchi"). Ascolti perché viene dato loro il tempo non solo di rievocare e riferire i piccoli e grandi fatti delle proprie vite, ma anche di ripetersi, esplicitare, concedersi le pause scaturite da un'emozione.

Nel farlo si appoggiano spesso alla suggestione di ritorni in luoghi a loro cari o foto in bianco e nero. La loro esperienza è quella di un tempo e di un mondo in cui ogni cosa ha richiesto pazienza, spostamento, fatica. Un passato che sembra lontano anni luce. A tratti appaiono come gli ultimi abitanti di un pianeta rimasto isolato e appena scoperto da nuove civiltà.
Il documentario di Gaglianone compie un doppio lavoro sul tempo: il recupero di memorie "minori", non al centro della Storia, e il prodigio di rappresentare una circolarità tra prima e ultima età della vita umana. Guardando l'obiettivo della macchina da presa questi seniores infatti si mostrano per ciò che sono (tornati ad essere): dei bambini. Privi del supporto di memorie vicarie ed estranei all'infosfera totalizzante, come piccoli, giocano, vicini all'uscita di scena, a rivivere lo stupore e il pudore delle prime volte: la prima volta che si è visto il mare, o si incontrato lo sguardo della persona della vita, che si è ballato con un coetaneo, sentito parlare di sesso, tagliato i capelli dopo aver ottenuto il permesso.
Di quel mondo non interconnesso, in cui la lentezza era un valore e un indice di autorevolezza, non si parla solo con rimpianto, come se si trattasse di un'età dell'oro. Anzi, è ancora aperta la ferita di diritti fondamentali negati, povertà e durezze difficili da verbalizzare, ingiustizie non sanate, oppressioni non combattute fino in fondo. Alcune delle quali sono tristemente tornate attuali, in un'ulteriore ciclicità evocata dal film.
Ma anche la memoria di felicità semplici: la solidarietà tra più e meno abbienti, il rispetto per l'istruzione come vettore di emancipazione sociale ed economica, la cui unica alternativa, specie per le donne, è sempre stato il matrimonio; l'assenza di ossessione per la bellezza (quanta saggezza in quel "piacente", aggettivo ingiustamente desueto). A volte nella consapevolezza di essere gli estremi messaggeri di un mondo manuale (quante mani, in campo), fragile, rimosso dall'immaterialità del contemporaneo. Un mondo di azioni e sentimenti che questo film sa scovare e far brillare.
Raffaella Giancristoforo, mymovies.it, 4/12/2021

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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