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Mitraglia e il Verme


Regia:Segre Daniele

Cast e credits:
Sceneggiatura: Daniele Segre, in collaborazione Stefano Corsi, Antonello Fassari, Antonio Manca; montaggio: Andrea Maguolo; scenografia: Ivana Gargiulo; fotografia: Marco Carosi; costumi: Caterina Nardi; interpreti: Antonello Fassari (Mitraglia), Stefano Corsi (il Verme); produzione: I Cammelli S.a.S; origine: Italia 2004; durata: 77'.

Trama:Il guardiano dei bagni pubblici ai Mercati Generali, detto "il Verme", non riesce a levarsi il vizio del gioco. Ogni giorno, non appena ha una piccola somma ottenuta con gli oboli dei suoi avventori, si precipita a puntarla alle corse dei cavalli. Dopodiché ritorna avvilito al suo posto, maledicendosi. Deve anche saldare un vecchio debito con Mitraglia, responsabile delle contrattazioni ortofrutticole ai Mercati. Mitraglia è il cliente per eccellenza del pisciatoio, per via dei calcoli renali che lo costringono ad orinare in continuazione e che sono, dopo i soldi, il suo chiodo fisso. Da Mitraglia dipendono le sorti del guardiano, che paventa un licenziamento da un giorno all'altro. Una volta sogna appunto di essere eliminato dal complesso produttivo dei Mercati, forse per essere sostituito con delle più pratiche porte a gettoni. E nel sogno organizza una ritorsione beffarda e doverosa su Mitraglia: quella di inscenare il proprio funerale, nel momento in cui l'altro avrebbe maggiormente bisogno di lui, per placare una colica.
In realtà nemmeno Mitraglia se la passa tanto bene: lui stesso deve un sacco di soldi a Bruto, il suo braccio destro nelle riscossioni dei crediti. Un giorno viene fuori che sono stati sottratti dei fondi dalla cassa dei Mercati e tutti, compreso il corrotto direttore, sospettano di lui. Mitraglia si accorge troppo tardi della macchinazione che Bruto ha ordito alle sue spalle portandogli via i clienti, l'amante, la casa...

Critica (1):La voglia di continuare a sperimentare linguaggi nuovi, di verificare nuovi modi di rappresentazione, di continuare a lavorare con gli attori mi ha permesso di approdare a Mitraglia e il Verme. Volevo che fosse forte, che non ammettesse alibi, che trasmettesse il disagio di vivere nel nostro tempo inquieto e privo di certezze. Il punto di vista fisso mi è servito per rafforzare le unità di tempo, luogo e azione su cui è scandita la drammaturgia del film. (Daniele Segre)

Critica (2):Nonostante abbia un regolare visto di censura (n. 98903), Mitraglia e il Verme, pronto dallo scorso anno per la Mostra di Venezia dove non ha trovato alcuno spazio, non ha ancora avuto una regolare uscita nelle sale. Autoprodotto senza contributi di sorta e con un budget quasi inesistente, girato in condizioni proibitive in sette giorni, o meglio notti (bisognava attendere il calare delle tenebre, visto che la ridottissima troupe non disponeva di un ambiente insonorizzato), il film è tuttora senza distribuzione. Con un po' di fortuna vi potrà capitare (o vi sarà capitato) di vederlo in un piccolo festival o in una rassegna specializzata. Se però cominciate a vederlo, non lo mollate più fino alla fine. Sapete perché? Mitraglia e il Verme non assomiglia a nessun film italiano che abbiate visto da molto tempo a questa parte. E la sua diversità, la fa valere. Una diversità che sta prima di tutto nella forma. Ciò merita alcune considerazioni, perché Segre, con la sua lunga attività di documentarista e con la sua idea di cinema della realtà (che non va intesa semplicisticamente), viene considerato soprattutto un regista di contenuti.
Mitraglia e il Verme esibisce la povertà dei mezzi con cui è fatto a scopo dimostrativo. Cosa deve dimostrare? Che si può fare cinema con tutto. E che con il cinema si può fare di tutto. (...) Il principio, ampiamente studiato per il cinema hollywoodiano classico, secondo il quale è il modo di produzione che determina lo stile può valere anche per la più povera delle produzioni: è questione di metodo e di rigore. Segre applica alla rovescia il principio delle equivalenze funzionali (la storia deve sempre e comunque andare avanti) e, con pochi elementi minimali, ottiene il massimo di effetti. Una volta impostata la storia che va avanti tranquillamente, secondo una drammaturgia che più lineare di così non potrebbe essere, ottiene una enorme quantità di soluzioni sempre funzionali e funzionanti. In particolare, variando la distanza degli attori dalla videocamera, riesce a variare in continuazione composizione e scala dei quadri. Mettendo a frutto le doti degli attori, riesce a evocare e a rendere presenti personaggi che restano rigorosamente fuori campo: Jole, Bruto, famiglie intere di creditori di Mitraglia, tutta la macchina organizzativa dei piani superiori. Con una minima variazione di scenografia, senza alcun ricorso a effetti ottici, imposta una sequenza onirica che difficilmente si dimentica. Insomma, un rigido principio di economia produce una forma cinematografica che si imprime nella mente dello spettatore per la sua novità e la sua forza, anche se le soluzioni adottate sono prima di tutto teatrali. Il motto di Segre potrebbero essere: riprendere al teatro tutto il suo bene, cioè cinema allo stato sorgivo, come lo era appunto la scena "teatrale" di Méliès. Quanto all'altra affermazione che con il cinema si può fare di tutto, va precisato che una rigorosa applicazione dell'economia dei mezzi ha consentito a Segre di mettere a punto una forma esemplarmente polifunzionale. Mitraglia e il Verme è uno di quei prodotti ideali per finire nelle sale specializzate in digitale. Ci vogliono film di questa forza, di questa durezza per far entrare nel circuito del digitale prodotti italiani. E ci vuole una capacità culturale, prima ancora che politica, di creare grandi movimenti di idee attorno a questi piccoli prodotti. (...)
Ma ecco, in sintesi, il plot. C'è un guardiano dei gabinetti di un mercato generale (il Verme) che ha il vizio del gioco, e, a causa delle perdite continue, è fortemente indebitato con Mitraglia, un addetto alle contrattazioni, che arrotonda le sue entrate praticando l'usura. Il Verme riceve spesso le visite di Mitraglia che è affetto da calcoli renali. I dialoghi che si svolgono durante queste visite, intercalati dai monologhi del Verme e dalle telefonate di Mitraglia, consentono ai personaggi/attori di rivelarsi. Mitraglia è una sorta di Shylock del mercato orto-frutticolo: quando non telefona al suo urologo o alla sua amante, si preoccupa di tenere sotto controllo i suoi creditori insolventi e, all'occorrenza, fa intervenire Bruto, il suo più stretto collaboratore. Il Verme è un depresso-malinconico che rimpiange il gruzzolo che potrebbe avere da parte se non avesse quotidianamente dilapidato in scommesse i suoi proventi e divide il suo tempo tra fermi propositi di smettere e astrusi calcoli su possibili vincite. Ossessionato dalla prospettiva di essere licenziato e sostituito da una porta a gettoni, sogna il proprio funerale, che prende la forma di una beffa nei confronti di Mitraglia. Costui, nonostante qualche parziale successo nella sua lotta contro i calcoli renali, va incontro a sicura rovina: tradito da Bruto, viene accusato di essere il responsabile di un colossale ammanco e pone fine ai suoi giorni suicidandosi.
(...) E questa storia di perdite al gioco, usura e calcoli renali viene inscenata con un rigore e con effetti di luce degni di un Kammerspielfilm; e con un intreccio di riferimenti shakespeariani che dà una dimensione cosmica al "viaggio allucinante" di un calcolo renale... Il rapporto sado-masochista tra i due personaggi si accende di coloriture liriche, quasi affettuose (a volte ti trovi a pensare a Vladimiro e Estragone) e i loro profili evocano tipologie clownesche: il Verme sarebbe stato senz'altro definito da Fellini un clown bianco. "Ma io perché ti voglio bene a te?", chiede Mitraglia. E il Verme: "Lo sai perché? Io c'ho una cosa che tu non c'avrai mai: lo stile. (...) Se io cammino, non si sente. Tu, invece, sei un carro-armato. Qualunque cosa fai, fai rumore". In effetti, il Verme ha un aspetto filiforme, si muove con leggerezza, parla con voce pacata sia che si autoflaggelli per il suo vizio ("sono un cretino, perché sono un imbecille che va a giocare"), sia che sogni a occhi aperti ("il mondo intero si è messo in fila, per venire a pisciare dal Verme, il migliore pisciatoio del mondo"). Mitraglia al contrario è eccessivo, debordante. Si agita, saltella, emette suoni di tutti i tipi: tossisce, vomita, scatarra, sospira. E soprattutto parla e parla...
(...) La videocamera viene costantemente tenuta a un grado zero di scrittura filmica. Il compito della cinepresa è di annullare qualsiasi pretesa di soggettività. Non c'è più nessuna realtà da prendere di sorpresa. Semmai è la cinepresa a farsi sorprendere da quello che le passa davanti. E quello che le passa è un complesso gioco d'attori, un ben congegnato dispositivo scenografico e illuminotecnico, un tessuto testuale portato dagli attori a un ritmo perfetto. Su un canovaccio impostato sul tema gabinetti/gioco d'azzardo/usura/urologia i personaggi/attori innestano di tutto: frammenti di dialoghi già recitati, tratti di caratteri già interpretati, reminiscenze varie (da Shakespeare a Beckett).(...)
Antonio Costa, Cinecritica n. 38-39, 4-9/2005

Critica (3):lnvisibile. Senza nessun diritto di "parola". Neanche col pubblico di un festival. E questa la sorte toccata a Mitraglia e il Verme, il nuovo toccante e sempre indipendentissimo film di Daniele Segre arrivato fin qui con la "bocciatura" importante di due festival come Venezia e Torino. Se in questa pagina parliamo del cinema indipendente che non riesce ad uscire nelle sale, qui siamo di fronte a qualcosa di più: l'esclusione "a monte" dal circuito mediatico di un "prodotto" di qualità - come del resta garantisce il "curriculum" di Daniele Segre che paga il prezzo della mancata omologazione ai «rassicuranti» modelli espressivi correlati per spingere, invece, sulla sgradevolezza e la «Crudeltà». Mitraglia e il Verme, infatti, e un impietoso affresco-metafora dei tempi che viviamo, raccontata attraverso le grandi prove d'attore di Stefano Corsi e Antonello Fassari. Unici due interpreti di questo dramma dall'impianto teatrale sulla linea del precedente e premiatissimo Vecchie - che sceglie come «scenario-totem» i cessi pubblici dei mercati generali. Qui, infatti, si consuma il dramma di due «piccole» esistenze. II Verme e il guardiano dei cessi, pronto a giocarsi - e perdere - ai cavalli ogni centesimo che racimola, per poi maledirsi della sua debolezza. Mitraglia e il responsabile delle contrattazioni ortofrutticole dei mercati, un energumeno con le mani in pasta nella strozzinaggio, ossessionato dai calcoli renali che 10 costringono costantemente ad urinare. Vittima dell'usura di, Mitraglia e la povera gente che non riesce ad arrivare alla fine del mese, riflesso di un oggi che vive sempre di più sui filo della povertà e dell'incertezza.
Tempi in cui uomini come Mitraglia, dal basso dei suoi intrallazzi, e capace di sposare le "leggi del mercato" che premiano il taglio "dei rami secchi", come il Verme, per esempio. Perchè dare lo stipendio a un guardiano dei cessi pubblici quando si potrebbe sostituire con "Una porta, automatica col gettone" E questa l'umanità, o meglio "l'inumanità" che ci affresca il nuovo film di Segre; dove in Mitraglia e il Verme ognuno può scavare per ritrovare, magari, quelle parti inconfessabili del proprio essere. Un mondo sempre più cupo, senza vie di fuga, dove l'incertezza domina completamente il presente.
E, il tutto, descritto senza alcuna indulgenza. Sudore, urina, dolore anche fisico - quello dei calcoli di Mitraglia - sono il décor della pellicola. Un film che, come spiega lo stesso Segre - «e nato d'istinto di fronte ad un profondo sentimento di indignazione per il tempo in cui viviamo. Stavolta,infatti, non mi bastava un documentario sulla realta, ma come per Vecchie il film e nato dall'urgenza di raccontare attraverso I'interpretazione di due grandi attori, due splendidi cinquantenni».
Attualmente Mitraglia e il Verme è in attesa del responso dei festival di Rotterdam e Berlino. «Come direttore del festival di Bellaria - conclude il regista - conosco le difficoltà della selezione dei film. Però trovo singolare che Mitraglia e il Verme abbia subito questa totale esclusione e me ne dispiaccio». E dispiace anche a noi, soprattutto se pensiamo al passato festival di Venezia dove, soprattutto nel concorso, non sono passati esattamente dei capolavori.
Gabriella Gallozzi, l'Unità, 09/11/2004

Critica (4):
Daniele Segre
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