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Stay Still - Still Stehen


Regia:Mishto Elisa

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Elisa Mishto; musiche: Sascha Ring; montaggio: Beatrice Babin, Cristiano Travaglioli; costumi: Gitti Fuchs; scenografia: Sylvester Koziolek; fotografia: Francesco Di Giacomo; suono: Tobias Rüther; interpreti: Natalia Beltiski (Julie), Luisa-Celine Gaffron (Agnes), Giuseppe Battiston (Rainer), Martin Wuttke (Dr. Herrmann), Katharina Schuettler (Katrin), Ole Lagerpusch (Jan), Jürgen Vogel (Herr Vogel), Kim Riedle (Caroline), Leslie Malton (Katrins Mutter); produzione: Andrea Srtucovitz; distribuzione: Istituto Luce Cinecittà; origine Germania-Italia, 2019; durata: 90’.

Trama:Julie è un'ereditiera testarda e sarcastica che celebra l'ozio e di tanto in tanto si reca volontariamente in una clinica psichiatrica per sfuggire al lavoro e alle responsabilità. Agnes, d'altra parte, è una giovane e ingenua infermiera, madre di una bimba di tre anni con un problema fondamentale: nonostante le ansie di soddisfare tutte le aspettative, ancora non ha capito cosa voglia dire essere madre. Quando le due donne si incontrano in clinica, nonostante le evidenti differenze, iniziano una ribellione che metterà a ferro e fuoco tutto e tutti quelli che gli stanno intorno.

Critica (1):(...) Stay Still riassume il principio attorno al quale la sua protagonista, Julie (Natalia Belitski), organizza la sua vita. La parola "organizzare" può sorprendere per una giovane donna che non ha lavoro, non ha famiglia, non ha obblighi concreti (la sua eredità è gestita da altri), vale a dire che non ha alcuna di quelle cose che sono generalmente concepite come elementi strutturanti nella vita degli individui, ma la sua esistenza ha una direzione molto chiara, persino diafana, che è un mezzo e un fine, e consiste nel "restare immobile".
Questo proposito crea l’estetica del film, come ci dice quando facciamo la sua conoscenza, sdraiata, vestita di bianco e con indosso dei guanti domestici di colore giallo acceso. Ma quando scopriamo, nell'istituto psichiatrico dove si è fatta volontariamente internare, che non si toglie quei guanti da dieci anni e che la sua infanzia è stata segnata da un trauma, riconosciamo la sua condotta come patologica. La causa medica ha anche il vantaggio di farci accettare la totale assenza di emozioni che mostra invariabilmente, anche davanti alle fiamme che provoca nei suoi momenti di piromania (ma anche se all'inizio sembrano imprevedibili, alla fine decifriamo un modello rassicurante). Nel caso dell'insondabile Julie, la demenza è una sorta di giustificazione per una logica troppo chiara e netta per essere umana, e troppo poco umana per essere praticabile... se vogliamo essere parte del mondo e della comunità. E la nostra fredda eroina non ne ha la minima intenzione.
L'immutabilità della vita di Julie viene scossa quando le viene assegnata un'infermiera responsabile, Agnes (Luisa Céline Gaffron), la cui vita quotidiana, che iniziamo a seguire in parallelo, sembra l'opposto della sua, ma non meno disfunzionale: come madre, come moglie e come membro del corpo curante, Agnes è sopraffatta, soprattutto perché è tormentata dalla sensazione di non essere all'altezza, tanto da voler quasi abbandonare tutto. L'incontro tra le due donne e le affinità che sentono, stranamente, faranno precipitare i loro due percorsi in una direzione ancora più radicale che dà un significato diverso a tutto ciò che abbiamo visto finora, e proietta il film in un genere diverso.
Mentre pensavamo di assistere all'anatomia di una folle, a un'estetica che escludesse ogni empatia nonostante l'esistenza di un trauma che legittima la sua freddezza, ci troviamo improvvisamente di fronte alla formulazione di un'etica della ribellione e del rifiuto assoluto di tutti gli obblighi che ci vengono imposti, come nel caso di Agnes, e che getta sul personaggio enigmatico di Julie un'altra luce: non una parte difettosa del sistema, ma una ruota autonoma che cerca ostinatamente di fermare i meccanismi in atto nella società, andare contro i codici, sfidare le banche, nuotare in una piscina vuota. (…)
Mishto, che ha studiato semiotica a Bologna e poi regia e sceneggiatura a Londra, ci regala con Stay Still un film ingannevole come il personaggio di Julie (alla fine non così folle come credevamo vedendo i suoi guanti gialli), che cambia in corso d’opera l’asse di riflessione e la sua natura, e sorprende nella misura in cui alla fine ci porta a identificarci di più con il personaggio che all’inizio sembrava inaccessibile.
(cineuropa.it)

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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