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Fantasma e la signora Muir (Il) - Ghost and Mrs. Muir (The)


Regia:Mankiewicz Joseph L.

Cast e credits:
Soggetto: dal romanzo "The Ghost and Mrs. Muir" di R.A. Dick; sceneggiatura: Philip Dunne; fotografia: Charles Lang Jr.; musiche: Bernard Herrmann; montaggio: Dorothy Spencer; arredamento: Stewart Reiss, Thomas Little; costumi: Eleanor Behm, Oleg Cassini; effetti: Fred Sersen; interpreti: Gene Tierney (Lucy Muir), Rex Harrison (Fantasma del capitano Daniel Gregg), George Sanders (Miles Fairley), Edna Best (Martha Huggins), Vanessa Brown (Anna Muir adulta), Anna Lee (Sig.ra Miles Fairley), Robert Coote (Sig. Coombe), Natalie Wood (Anna Muir bambina), Isobel Elsom (Angelica Muir), Victoria Horne (Eva Muir), William Stelling (Bill); produzione: Fred Kohlmar per La Fox; distribuzione: Lab 80 Film; origine: Usa, 1947; durata: 104'
Riedizione 2016

Trama:La giovane vedova Lucy Muir si trasferisce in una deliziosa villetta in riva al mare e una notte, davanti ai suoi occhi increduli, si manifesta il fantasma del Capitano Gregg. All'inizio la donna è presa dalla paura, ma ben presto tra i due nasce un'affettuosa amicizia...

Critica (1):Come se il cinema fantastico di fine anni Quaranta costituisse una piattaforma ideale per una Keats-renaissance, ecco il poeta inglese fare capolino […] in Il fantasma e la signora Muir di Joseph L. Mankiewicz. «Incantate finestre spalancate sulla schiuma / di mari perigliosi in magiche contrade abbandonate» (Ode a un usignolo, 1819, vv. 69-70). E a fare capolino non in un’epigrafe più o meno convenzionale, bensì attraverso la peculiare dizione di un attore, Rex Harrison, travestito da nero fantasma galante e rivolto alla rapita Gene Tierney, la giovane vedova Muir (mare, in gaelico: siamo nel villaggio di Whitecliff, sul Mare del Nord) che ha affittato il cottage del defunto capitano di marina suscitandone le immancabili rimostranze. O, per meglio dire – se davvero si potesse dire in italiano –, “mostranze” (monstrance, “ostensione”): dal momento che il fascinoso Daniel Gregg si “mostra” senza tanti imbarazzi in veste di revenant a un’inquilina, Lucy Muir, a sua volta per nulla imbarazzata (ed è per questo che legano fin dal primo incontro, notturno ma nient’affatto spaventoso, se mai disinvolto e rilassato) dalla presenza ostinata dell’ospite. Il che sposta inesorabilmente l’asse ermeneutico dalla ghost story alla sophisticated comedy, con gran sfoggio di atmosfere gotiche de-goticizzate da un romanticismo più solare (il mare, la spiaggia, il plein air marino in cui il fantasma si muove pienamente a suo agio) che sinistro – tanto che verremo a sapere alla fine, anche se lo spettatore attento ha modo di accorgersene assai prima, che l’illustre trapassato intrattiene rapporti non meno amabili con la figlioletta di Lucy, la non meno disinibita Anne, bambina del tutto refrattaria alla paura dei fantasmi.
Non è che, in Il fantasma e la signora Muir, manchi la figura topica del prisoner. Solo che il prisoner non è Daniel Gregg, eventuale inoffensivo nosferatu finito in cattività tra le mura stregate del suo stesso cottage, bensì Lucy Muir, o, perché no?, Anne Muir, inquiline segrete di una shanned house cui si sentono legate da un troppo sollazzevole “patto con il fantasma” per avere la benché minima intenzione di violarlo. La sciarpa di Il ritratto di Jenny? I ritratti stessi di Il ritratto di Jenny? Macché. Tra le pieghe del precoce modello di cross over disegnato da Mankiewicz per l’occasione (mystery gotico più commedia sentimentale più dramma romantico più thriller ironico alla Hitchcock: le musiche sono firmate da Bernard Herrmann) si lascia affiorare, e con la massima credibilità diegetica, un ben più concreto talismano di origine soprannaturale, nientemeno che un libro a quattro mani destinato non solo alle stampe ma a un sicuro successo editoriale, dunque non un lascito di natura ultraterrena quanto un’eredità di natura quanto mai terrena e soprattutto pubblica, che trascende il destino privato (Daniel ripiombato tra le ombre in attesa della morte-ricongiungimento di-con Lucy, Anne sposa felice “emancipata” dal vincolo primario con il cottage dell’infanzia) degli stessi contraenti il patto: il libro di memorie dettato nelle interminabili ore buie dall’incantevole man in black all’incantata apprendista di termini marinareschi e solecismi da lupi di mare. Perché, come sempre in Mankiewicz, a farla da padrone non è lo storytelling in sé, e tantomeno lo storyboard (che pare non esistere). È lo storyteller in persona.
Sergio Arecco, Sogni (di) prigionieri, Cineforum n. 514, 5/2012)

Critica (2):Il fantasma e la Signora Muir ci ricorda come i morti sono ancora tra di noi, a guardia dei medesimi luoghi che hanno abitato da vivi, e per comunicarci bisogna trovare un modo di interpretare quella corporeità ibrida, da presenza filtrata, quasi fossero vecchie apparizioni di celluloide. La scelta di affidare tale compito a Gene Tierney è sintomatico di come l’attrice negli anni avesse costruito un personaggio liminare, impalpabile. Una presenza troppo fragile per essere solo di carne e talmente intensa da rendere necessaria la garza per evitare che il suo sguardo consumasse la pellicola. Il film di Mankiewicz quindi chiude idealmente il suo percorso divistico riportandola nuovamente a faccia a faccia con i fantasmi, formando un cerchio perfetto che ha il suo nadir in Il Cielo può attendere, il film di Lubitsch che la impose nel firmamento hollywoodiano.
Una giovane rimasta vedova decide non conformarsi alle leggi non scritte che la condannano ad una vita di privazioni da passare accanto alla nuora e alla suocera pregando ogni giorno sulla tomba del defunto marito, e affitta un cottage sulla costiera inglese rimasto sempre sfitto perché si mormora sia infestato. Il fantasma in questione è quello del fu Comandante Daniel Gregg, che da anni si diverte a spaventare gli avventori interessanti alla sua vecchia abitazione. Lucy invece non si fa intimidire dall’apparizione dell’affascinante ectoplasma e comincia a stabilire con lui una relazione appassionata.
Nella Londra vittoriana nasce così una storia d’amore fuori da ogni convenzione, in cui due individualità malinconiche sul punto di abbandonare la vita, rinascono in un incontro che supera le distanze spazio-temporali. Se la tematica dell’amore ultraterreno non era nuova ad Hollywood (ad esempio il già citato film di Lubitsch), Il Fantasma e la signora Muir non sceglie la consueta strada dell’amore impossibile ma va contromano. Lo normalizza, lo familiarizza fino a trasformarlo in un oggetto quotidiano. Il lavoro di dettatura e scrittura che darà forma al romanzo autobiografico del capitano scandisce un ritmo giornaliero, che permette ai due di conoscersi, di apprezzarsi e di mancarsi vicendevolmente, nei limiti delle diverse densità fisiche. Il rapporto tra le due parti non è mai conflittuale, come ci si aspetterebbe in una relazione impossibile, entrambi sono consci delle due differenti dimensioni che abitano, quella fisica e quella illusoria, e non provano a forzare le barriere che li confinano. Provano solo ad usare al meglio il tempo che hanno a disposizione, perché potrebbe scivolare via prima di quanto possiamo immaginare.
Il film di Mankiewicz sottolinea infatti come la primavera possa sbocciare improvvisa anche nel momento più buio della propria presenza terrena ma allo stesso modo, dopo un accecante fulgore,inevitabilmente viene seguita da lunghi autunni piovosi. Una stagionalità che finirà tragicamente per ricordare quella della stessa Tierney, troppo simile ai fantasmi per non diventarlo lei stessa.
Lorenzo Bottini, sentieriselvaggi.it, 18/6/2016

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