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King of New York - King of New York


Regia:Ferrara Abel

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura
: Nicholas St. John; fotografia: Bojan Bazelli; musica: Joe Delia; montaggio: Anthony Redman; scenografia: Alex Tavoularis; costumi: Carol Ramsey; suono: Ray Karpicki; effetti speciali: Matt Vogel (coord.); interpreti: Christopher Walken (Frank White), David Caruso (Dennis Gilley), Larry Fishburne (Jimmy Jump), Victor Argo (ten. Ruth Bishop), Wesley Snipes (Thomas Flanigan), Janet Jukan (Jennifer), Joey Chin (Larry Wong), Giancarlo Esposito (Lance), Paul Calderon (Joey Dalesio), Steve Buscemi (Test Tube), Theresa Randle (Rayo), Leonard Lee Thomas (Blood), Roger Smith (Tanner), Carrie Nygren (Melanie); produzione: Mary Kane, per Reteitalia/Scena Film/Augusto Caminito film; distribuzione: Penta; durata: 103'.

Trama:Uscito dal carcere dopo un lungo periodo detentivo, il gangster Frank White scatena la sua banda di neri per la "conquista" del mercato della droga di New York. Colombiani, italiani, cinesi: tutti gli ostacoli sono rimossi per porre la città sotto il controllo del suo nuovo "King". Ma l’ispettore Bishop e i suoi agenti non danno tregua a White e ai suoi. Per nulla frenati dalle sue opere di beneficenza pubblica (l’aiuto cospicuo ad un ospedale per bambini disabili e non abbienti), i poliziotti lo affrontano ricorrendo agli stessi metodi della malavita. E dopo varie carneficine saranno proprio i due capi ad affrontarsi in un Gunfight sulla metropolitana, che porterà sia Bishop che White alla morte.

Critica (1):Premiato e celebrato da una retrospettiva completa al Mystfest ’91, Abel Ferrara si era già guadagnato, specie in Francia, la fama di ottimo prosecutore della tradizione del B-movie con L’angelo della vendetta e Paura su Manhattan. Neppure China GirI, a saper guardare oltre lo scempio compiuto dai produttori, era privo di qualità. Oggi il suo Re di New York, produzione italoamericana dell’89, rivela che il suo talento può benissimo essere sfruttato anche in settori (produttivi) più alti.
Tornato, dopo il flop senz’attenuanti di Oltre ogni rischio (da lui del resto totalmente sconfessato), a collaborare coll’amico sceneggiatore Nicholas St. John (sono loro pure alcune delle canzoni del film. Nulla di strano: nei Sixties i due, fan dei Rolling Stones, misero in piedi un complesso rock, di cui Ferrara era la voce solista), il regista sforna la sua opera (finora) più convincente costruendo il personaggio di un gangster ambiguo (un ottimo Christopher Walken, il cui "teschio" di un pallore cadaverico, vampiresco, alla Nosferatu, riempie frequentemente lo schermo) che, abbracciando con lo sguardo, dall’alto di una terrazza, l’immensità di New York immersa nelle sue mille luci notturne sogna di realizzare "qualcosa di buono" coprendo le proprie malefatte con due tipi di giustificazione, una alla Robin Hood (si ruba per ragioni sociali, per fornire aiuti economici ragguardevoli a opere di pubblica utilità), l’ altra alla vendicatore solitario, alla Giudice Inappellabile, alla Angelo Sterminatore (si uccidono sempre e solo quanti lo meritavano, il che permette di non aver rimorsi. I sentimenti del gangster, d’altronde, sono morti in galera (...)
"Tornato dall’inferno", il révenant Frank White (bianco, come la polvere di morte che, anche durante la sua carcerazione, non ha cessato di inondare la città, ma pure come la classe dirigente di un paese fondato sull’iniziativa individuale) ritiene di agire in pieno diritto. "Il problema non sono io. Io sono solamente un uomo d’affari" spiega a Bishop, il poliziotto cardiopatico che gli dà il tormento, impartendogli una lezione di economia sulla domanda di droga che sta alla base di un mercato la cui redditività fa impallidire la più florida delle multinazionali. Il Sistema è dalla sua parte, come notano, esasperati, gli uomini di Bishop delusi nei loro ideali. "Credevo che fossimo noi i giusti, credevo che le leggi avessero valore" urla l’agente Gilley/David Caruso di fronte allo schermo televisivo che consacra Frank uomo del giorno, star, "king of New York" appunto).
Come alcuni suoi celebri predecessori questo moderno principe della criminalità sa sfruttare ogni appiglio, ogni cavillo la legge gli offra, si avvale dei migliori difensori possibili (l’avvocatessa affamata di sesso di Ore disperate nasce forse dal personaggio della bionda Jane Julian), frequenta il meglio, i locali più in, la gente più ricca, gli spettacoli più raffinati. Contraddizione vivente, egli pur disponendo di lussuose limousine private o di un appartamento al Plaza, si serve della metropolitana come alcova e come fonte di reclutamento dei suoi galoppini. Stufi delle "formalità legali" che ne impastoiano l’azione, i poliziotti mordono il freno, per scatenarsi poi, sfuggiti al controllo del loro superiore, in un guerra tra bande contro gli uomini d White. I difensori dell’Ordine, irlandesi d’origine o d’adozione (il nero Tom Flanigan, che partecipa a pieno titolo alla festa di nozze di un collega in un tipico locale irish, che pare uscito da Stato di grazia), assaltano il covo della banda White in puro stile gangsteristico.
La sparatoria, l’inseguimento che ne deriva, in auto e a piedi, danno vita a splendide sequenze di balletto, in cui Bojan Bazelli mostra la sua grande abilità fotografica, immergendo i corpi, che si agitano, danzano al ritmo delle sventagliate delle pistole, in una surreale luce bluastra, del tutto simile a quella usata a teatro per la pièce di E. O’Neil The emperor Jones. Lo zenith è raggiunto nello stupefacente scontro sotto la pioggia fra il poliziotto nero e il braccio destro di White, Jimmy Jump, "un impiegato" del crimine, come si autodefinisce. La scena, coi due agonizzanti fianco a fianco (finché Dennis Gilley, della squadra di Bishop, vendica il suo "gemello" freddandone l’assassino con un rapidissimo colpo alla testa), è di una violenza (e di una maestria) rara, degna di un Fuller o di un Aldrich. Ma già prima di questa secchissima esecuzione sommaria i metodi della polizia erano andati ben oltre la legalità (per esempio col fermo-rapimento di Frank), riservando al pubblico alcune fra le tante ‘sorprese’ di questo gangster-movie modernissimo e destinato a diventare un classico del genere.
Abel Ferrara, già lo sapevamo, e in grado di dipingere la violenza che ci sta attorno come pochi altri, e non è un caso se un film apertosi con l’inquadratura delle sbarre di una cella termina con quella di una pistola tra le mani di un morto. ‘Ti vuoi fermare?" gli aveva domandato una ragazza della gang mentre, dopo la scarcerazione, attraversano il Bronx in auto. Frank White non ci ha ripensato, è stato un colpo esploso dal suo più accanito antagonista, Bishop, un poliziotto legalitario che la strage dei suoi uomini ha convinto della necessità di altre "procedure" per fermare il Male, a porre fine all’utopia criminale del Re di New York e a seppellirne i sogni in mezzo a una strada. Esattamente da dove erano partiti.
Mario Molinari, Segnocinema n. 52, novembre-dicembre 1991

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Abel Ferrara
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