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Mifune - Dogma #3: Mifunes Sidste Sang


Regia:Kragh-Jacobsen Søren

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Søren Kragh-Jacobsen, Anders Thomas Jensen; fotografia: Anthony Dod Mantle; montaggio: Valdís Óskarsdóttir; musica: Thor Backhausen, Karl Bille, Christian Sievert, Nullé & Verdensorkestret; interpreti: Iben Hjejle (Liva Psilander), Anders W. Berthelsen (Kresten Jensen), Jesper Asholt (Rud Jensen), Sofie Gråbøl (Claire Hostrup-Jensen), Parpika Steen (Pernille), Mette Bratlann (Nina), Susanne Storm (Hanne), Ellen Hillingsø (Llykke), Sidse Babett Knudsen (Bibbi), Emil Tarding (Bjarke), Anders Hove (Gerner), ; produzione: Birgitte Hald, Morten Kaufmann per Nimbus Film; distribuzione: Key Films; origine: Danimarca, 1999; durata: 97'.

Trama:Durante la prima notte di nozze Kresten viene svegliato dalla notizia della morte del padre. Parte immediatamente alla volta della diroccata fattoria sperduta nella campagna dove viveva il padre e dove dovrà occuparsi non soltanto dei funerali, ma anche del fratello ritardato di cui nessuno conosce l'esistenza. Incapace di prendere una decisione, Kresten fa in modo che sua moglie rimanga a Copenaghen e assume come cameriera una donna che in realtà è una prostituita di lusso in fuga dalla città.

Critica (1):Il giovane Kresten, un arrampicatore sociale che è riuscito anche a sposare la figlia del suo capo, viene a sapere che suo padre è morto e decide di tornare al paese d'origine. Ritrova la sua misera casa, il ricordo di una vita da cui ha sempre desiderato fuggire e Rud il fratello ritardato che vede gli Ufo e adora Toshiro Mifune. Liva è una prostituta invischiata in un giro d'alto bordo e perseguitata telefonicamente da un maniaco. Decide di fuggire riciclandosi come cameriera e finisce proprio nella casa di Kresten, che cercava qualcuno per accudire Rud. Nella strana compagnia finisce poi anche il fratellino maleducato e teppista di Liva. Sorpresa! Il Dogma può anche veicolare storie convenzionali e sentimentalismi senza troppe velleità anticonformiste. Chi arriva al terzo prodotto della famiglia artistica di von Trier seguendo rigorosamente la progressione numerica rischia effettivamente di rimanere deluso o sollevato, a seconda dei punti di vista. Nessun “camera a mano” da mal di mare, nessuna traccia di soggetti “sgradevoli”, nessun tentativo di lesa maestà alle abitudini estetiche del cinema contemporaneo... Certo, dalle nostre parti è già uscito Lovers, il primo Dogma francese firmato Jean-Marc Barr, che già ci aveva illustrato la possibile “normalizzazione” dei comandamenti danesi in termini di minimalismo à la page, tutto sguardi, sorrisi, passioni e disperazioni. Qui Soren Kragh-Jacobsen sceglie di raccontare la storia di una ri-conversione ai valori della terra, della famiglia e dell'amore, niente di più lontano dalla furia iconoclasta dei suoi padrini cinematografici. E lo fa con una messinscena che, pur rispettando le famose regole originarie, evita di giocarci per sorprendere lo spettatore e cerca anzi di nasconderle dietro alla necessità delle emozioni e del racconto. Ci verrebbe quasi da pensare ad una nuova fase dello sviluppo del Dogma, se non avessimo ben presenti la frenesia, la violenza e la travolgente demenza estetica del Dogma 6 di Harmony Korine (Julien donkey-boy, molto discusso e discutibile, forse anche furbo e modaiolo, ma senz'altro affascinante) visto a Venezia, che pratica un linguaggio esattamente all'opposto di quello scelto da Mifune. In realtà il Dogma assomiglia sempre meno ad una “scuola” (cosa che d'altra parte von Trier non ha mai voluto) o ad una “missione” e sempre più ad uno schema formale (se preferite chiamatelo pure “voto di castità”) di cui l'autore/regista si appropria per misurarsi su un terreno nuovo, ma non tanto adeguandosi, quanto adeguandolo alla propria idea di cinema (magari contando anche sull'effetto pubblicitario). Jacobsen ha d'altra parte già detto che questa esperienza cinematografica è solo un episodio (per quanto rigenerante): «Sono un realista e un narratore: non ho lasciato la mia tradizione e allo stesso tempo ho rispettato le condizioni poste dalle regole del Dogma». Il risultato però è quello di un film molto spezzettato, quasi costruito a segmenti spesso accostati bruscamente. Nulla di nuovo rispetto, ad esempio, alla costruzione formale di un film come Idioti. Con la differenza che Jacobsen racconta una storia ben precisa, con una sua traiettoria realista e personaggi ben delineati (anche se schematicamente), in cui spesso accadono cose di cui non si capisce il motivo, che cioè non hanno alle spalle uno sviluppo narrativo che ne garantisca la plausibilità (vedi la reazione esagerata della moglie di Kresten; la confessione del ragazzino alla sorella, quasi buttata lì in un momento qualsiasi, prevista dal soggetto ma non sceneggiata; l'imboscata notturna delle amiche di Liva...). Ci sono “buchi” improvvisi che si aprono tra l'istinto di narratore di Jacobsen e la sua voglia di adeguarsi all'essenzialità anti-spettacolare del Dogma, tra l'ipotetica solidità drammaturgica di una storia d'amore tra due persone in fuga dalla vita sbagliata e l'immediatezza espressiva di una messinscena senza obblighi di script. È come se il regista danese cercasse di distogliere l'attenzione dalla vicenda per concentrarla sui frammenti di emozione, sul dettaglio delle passioni, sui pensieri tradotti in dialoghi ed azioni estemporanei. Ma il gioco non regge, o comunque funziona solo a tratti. Non c'è la forza devastante di un von Trier che rende la finzione più vera della "realtà" (anzi, che mette in discussione i due termini del rapporto) ed elimina all'origine la necessità di una trama, o il geniale virtuosismo di un Vinterberg che si mimetizza tra i luoghi comuni narrativi del cinema e del teatro nordico per esaltarne quasi fisicamente (con un gioco estetico disturbante) la “verità”. Ci sono bravi attori, una splendida giovane protagonista di nome Anders Berthelson, alcune belle immagini e alcune belle trovate (come quella del fantasma di Mifune nascosto in cantina), momenti di commozione e momenti di tenera comicità. C'è insomma del buon cinema, con una vena ottimistica abbastanza originale.
Fabrizio Tassi, Cineforum n. 390, dicembre 1999

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Søren Kragh-Jacobsen
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