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Io e il vento - Historie di vent


Regia:Ivens Joris, Loridan Marceline

Cast e credits:
Sceneggiatura: J. Ivens, M. Loridan; fotografia: Thierry Arbogast; montaggio: Geneviève Louveau; musica: Michel Portai; produzione: CAPI Films/La Sept/Ministère de la Culture Francaise; distribuzione: Luce-Italnoleggio; origine: Francia, 1988, colore; durata: 78'.

Trama:
Una didascalia avverte: "Un vecchio riparte per la Cina con una cinepresa, a novant'anni, con un progetto folle: catturare il vento." Circondato dai tecnici, seduto su una sedia in un deserto della Mongolia, attende che il vento si alzi, galleggiando sulle onde quiete del suo immaginario e dei ricordi. Occorre un intervento magico perché finalmente il vento soffi.

Critica (1):"Mi sono invischiato", ci ha detto Joris Ivens" in ben cinque guerre, e mi meraviglio di esserne uscito fuori vivo; ma quelle che ho filmato non le ho scelte a caso. Non ho mai fatto dei reportages a sensazione o per denaro, ho filmato solo dei popoli in lotta per la loro sopravvivenza. Al centro di tutti i miei film militanti c'è sempre stata la difesa della libertà e della dignità dell'uomo. Non vorrei quindi essere scambiato per uno specialista di "film di guerra". Ho fatto soprattutto dei film sulla pace in cui mostravo come l'uomo trasforma la natura e la storia mediante il lavoro. Due anni fa, a ottantotto anni, sono tornato in Cina per la quarta volta per realizzare un altro film sulla civiltà millenaria di quel paese, per cercare il 'Vento'. In sessant'anni di attività ho girato in tutto il mondo una quarantina di opere ma non mi considerate per favore un eroe da leggenda, tipo l'ultimo pioniere del cinema. Sono soltanto un olandese testardo e un po' romantico che nel 1933, dopo aver fatto un film su uno sciopero di minatori, ha rotto con il suo paese ed è partito con una cinepresa alla scoperta del mondo. In tutta la mia vita ho cercato di rimanere fedele a me stesso, di non tradire la realtà. I fatti contano più dei dogmi e delle ideologie che possono anche risultare deludenti..."
L'ultimo viaggio di Joris Ivens, e della sua compagna e ispiratrice Marcelini Loridan, risale a due anni fa. Io e il vento non è un'ulteriore documentario sulla Cina, è un cine-poema d'avanguardia. Protagonisti, il vento - della storia, dell'ispirazione, della rivoluzione interiore - e un vecchio; lo interpreta lo stesso regista, fisicamente affaticato ma spiritualmente agilissimo.
Il film è la storia di un uomo alla ricerca dell'impossibile. Una ricerca puntigliosa, testarda: per snidare il 'vento' (che allarga i polmoni, fa circolare le correnti delle idee nuove spazzando via l'afa delle abitudini inveterate e paralizzanti), il gran vecchio attraversa fiumi, foreste, montagne, deserti. Si spinge persino in sogni sulla luna. La sua paziente attesa sarà premiata; mentre nel deserto si scatena la furia degli elementi, vediamo il gran vecchio appagato levarsi dalla sedia e scomparire dietro una duna; lascia simbolicamente il posto (la sedia) ad altri...
In Io e il vento si rimane incantati davanti alla fantastica libertà costruttiva, affidata - come nei grandi film d'avanguardia degli anni Trenta - a una forma di associazionismo squisitamente lirico - si pensi al vertiginoso 'salto' di montaggio dal totale dell'aereo, che in apertura del film vediamo volare come in sogno sopra un oceano bianco di nubi, alle pale gigantesche del mulino a vento olandese che, mosse dal vento, spazzano ritmicamente lo schermo come l'elica di un motore. A ogni istante veniamo catturati da una sinfonia di immagini di visionaria bellezza: la visita al gran Budda "che ha mille mani per consolare e mille occhi per scrutare", il viaggio onirico sulla luna alla Meliès, il sorvolamento delle fantastiche colline a terrazza, della foresta pietrificata, l'apparizione della misteriosa maschera nel magico 'otre dei venti'. Forse per la prima volta nella sua lunga carriera di regista progressista e militante, Ivens osa ironizzare su certe manifestazioni retoriche della rivoluzione socialista (la visita al circo, i comizi, i matrimoni di massa, i cori delle voci bianche ecc.) e sulle lentezze burocratiche della nuova Cina. Arricchito da una esperienza sessantennale, Joris Ivens ha ritrovato il soffio fecondo, vitale della poesia e ci ha regalato a novant'anni uno dei suoi film più liberi e giovanili.


Immancabilmente presente nei punti caldi del pianeta dove stava accadendo qualcosa di importante, dal 1930 ad oggi l'olandese Joris Ivens ha documentato nei suoi poetici "Quaderni di viaggio" i grandi eventi del nostro secolo. Dalla guerra civile spagnola (Terra di Spagna, 1937, commento di Hemingway) alla lotta di liberazione dell'Indonesia: la regina non gli perdonò mai di aver preso le difese dei rivoltosi in Indonesia calling (1946) e lo privò del passaporto olandese per una decina d'anni. Dagli albori della rivoluzione cinese che lvens fu il primo a filmare nel 1938 (Quattrocento milioni) alla rivoluzione cubana (Popoli in armi, 1961).
Dalla prima campagna presidenziale di Allende (Il treno della vittoria, 1964) alla guerra del Vietnam: Lontano dal Vietnam, Diciassettesimo parallelo (1967).

Aldo Tassone, Vivi il Cinema, n. 15-16 novembredicembre 1989

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