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Banda (La) - Bikur Hatizmoret


Regia:Kolirin Eran

Cast e credits:
Sceneggiatura: Eran Kolirin; fotografia: Shai Goldman; musiche: Habib Shehadeh Hanna; montaggio: Arik Lahav Leibovitz; scenografia: Eitan Levi; costumi: Doron Ashkenazi; interpreti: Sasson Gabai (Tewfiq), Ronit Elkabetz (Dina), Saleh Bakri (Haled), Khalifa Natour (Simon), Imad Jabarin (Camal), Tarak Kopty (Iman), Hisham Khoury (Fauzi), François Khell (Makram), Eyad Sheety (Saleh), Shlomi Avraham (Papi), Rubi Moscovich (Itzik), Hila Surjon Fischer (Iris), Uri Gabriel (Avrum), Ahouva Keren (Lea); produzione: July-August Productions, Bleiberg Entertainment, Sophie Dulac Productions; distribuzione: Mikado; origine: Francia-Israele 2007; durata: 90'.

Trama:La banda musicale della polizia di Alessandria d'Egitto viene invitata a suonare all'inaugurazione del centro culturale arabo di una cittadina israeliana. All'aeroporto di Tel Aviv non c'è nessuno ad attendere il gruppo di musicisti, così il pragmatico direttore d'orchestra e colonnello Tewfiq decide di raggiungere il luogo con un autobus locale. Arrivato nella remota e desertica cittadina (una sorta di Las Vegas spoglia di luci scintillanti, giochi e schiamazzi) capisce che, per un difetto di pronuncia, ha sbagliato destinazione. Non si trova nella moderna Petah Tikva, bensì nell'arida Bet Hatikva. Poiché non c'è modo di andarsene da lì (c'è una sola corriera che passa una volta al giorno) gli otto egiziani sono costretti ad accettare l'ospitalità di Dina, la bella proprietaria dell'unico ristorante del posto.

Critica (1):Che ci fanno otto musicisti egiziani dispersi in un deserto israeliano, dopo aver sbagliato autobus? Parafrasando Raymond Chandler ("Non c'è niente di più vuoto di una piscina vuota"), si potrebbe dire che non c'è niente di più smarrito che otto musicisti smarriti con la linda uniforme celeste e il berretto di foggia militare che è la divisa della banda orchestrale della polizia di Alessandria d'Egitto. Il film ce li mostra sin dall'inizio in fila come nella vignetta di un cartoonist spiritoso e surreale. Vincitore di Un certain regard a Cannes, "scoperta" dell'anno agli Oscar europei, La banda, opera prima dell'israeliano, trentacinquenne, Eran Kolirin, è un mix inedito di Medioriente e malinconia, sensualità e solitudine in cui una formazione di laconici strumentisti, sbarcati da un aereo (le indicazioni in arabo dall'aeroporto di Tel Aviv sono state abolite da decenni), manca l'appuntamento con i rappresentanti di un centro di cultura presso il quale devono tenere un concerto. Si ritrovano in un villaggio sperduto ai margini di una distesa arida e desolata. Per comunicare, arabi e israeliani, non hanno a disposizione che un inglese striminzito e imbarazzato (è la ragione, un po' perversa, per la quale il film non ha potuto concorrere all'Oscar per il miglior film straniero), ma è sufficiente per trovare accoglienza presso una affascinante barista israeliana con la quale spartiscono l'insopprimibile bisogno di contatto umano. Il tutto somiglia a qualcosa di indefinibile e strano: è un po’ come se Aki Kaurismäki avesse messo in scena un copione di Amos Gitai (non a caso uno dei migliori critici americani, Kenneth Turan, ha parlato di "scandinavian flavour”). Il resto del film rivela che, tra ambizioni aleatorie (il sogno di una grande sinfonia inseguito da un componente della banda), inibizioni sentimentali (un abitante del villaggio che attende ogni notte a un telefono pubblico una chiamata della morosa) e le infinite promesse disattese dalla vita, quasi tutti, non importa di quale religione o etnia, maturano il sospetto, nel mezzo del cammino, d'aver preso l'autobus sbagliato o di aver perduto qualche incontro decisivo. Notturno, disadorno e carico di un'invitante sensazione di rimpianto, La banda ha almeno due attori di cui fa venir voglia di scoprire la filmografia completa. Il primo è il maestro dell'orchestra (Sasson Gabai, che ha anche vinto l'Oscar europeo per il film), tra i più noti attori israeliani, già apparso come caratterista in qualche blockbuster hollywoodiano (Rambo III) o nel bellissimo Storie di spie, di Eric Rochant. Il suo personaggio, che cela collera e un dolore sordo e profondo per la perdita di un figlio, è il focolaio della mestizia del film e del suo humour dal retrosapore di riservatezza e disincanto. L'altra è Ronit Elkabetz (che è stata anche regista), la più bell'attrice mediterranea vista quest'anno sullo schermo insieme alla Nadine Labaki di Caramel. La scena d'amore di cui è protagonista, con uno dei musicisti della banda, se risarcisce indirettamente dei suoi sensi di colpa il direttore d'orchestra (che declina come un padre generoso le sue offerte di seduzione perché vengano accolte da un collega più giovane, con il quale è spes­so in conflitto), dall'altra ha contribuito a creare al film buona parte dei nume­rosi problemi di natura politico-culturale cui è andato incontro. Benché quasi tutto accada fuori scena, un rapporto sessuale tra una donna israeliana e un arabo, non è cosa che nel mondo di og­gi si possa raccontare senza che si scatenino l'ostracismo e la censura. Infatti, se sembra fatto apposta per chi ama il ci­nema di sapore non convenzionale questo film dolce e sommesso ha immedia­tamente provocato gli interdetti delle istituzioni arabe (che hanno proibito sia al festival di Abu Dhabi che a quello del Cairo di proiettarlo). E dire che, nel fi­nale, la banda raggiunge il centro di cul­tura che lo aveva invitato regalando agli spettatori una avvolgente ballata della tradizione nazionale che continua a scorrere sui titoli di coda.
Mario Sesti, FilmTV n. 12 23/03/08

Critica (2):Al suo esordio in lungo l'israeliano Eran Kolirin realizza una piccola opera cinematografica, densa di valore, trovando il modo per fotografare e raccontare il suo paese con umorismo, sentimento e nostalgia, utilizzando un linguaggio (e lanciando un messaggio) universale. La banda è una brillante commedia dal retrogusto amaro che parla innanzitutto dell'essere umano. Le inamidate uniformi azzurre della banda celano i disagi esistenziali dei componenti. L'unica voce fuori dal coro è quella di Haled, dongiovanni nell'anima che seduce le fanciulle sussurrando i versi romantici di Chet Baker. La musica fa da collante tra lo sgangherato gruppo in terra straniera e i loro ospiti. È una canzone jazz israeliana che Dina sceglie per trasmettere a Tewfiq - il suo personale Omar Sharif - il desiderio di dirgli "tante cose". È la danza delle mani del colonnello, che muove sinuosamente nell'aria per mostrare alla locandiera come si dirige un'orchestra, a creare un momento d'intesa tra l'uomo e la donna. E, infine, intorno alla tavola apparecchiata a festa, nel silenzio imbarazzante e un tantino ostile, basta intonare un'approssimativa "Summertime" per comunicare e azzerare la distanza di due paesi avversi.
Al di là delle divergenze culturali e delle barriere linguistiche c'è la musica, ma c'è anche l'amore. Quello agognato da una giovane che vede la sua vita come un (melodrammatico) film arabo, quello perduto a causa del proprio rigore, quello cercato tra le braccia di uno sconosciuto. Il finale de La banda è preannunciato da una frase di Itzik. È "come un concerto che finisce di colpo, né triste, né allegro". Un concerto, aggiungiamo noi, da godere fino all'ultima nota.
mymovies 2007

Critica (3):

Critica (4):
Eran Kolirin
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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