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Donna elettrica (La) - Kona fer í stríð


Regia:Erlingsson Benedikt

Cast e credits:
Sceneggiatura: Ólafur Egilsson, Benedikt Erlingsson; fotografia: Bergsteinn Björgúlfsson; musiche: Davíð Þór Jónsson; montaggio: David Alexander Corno; scenografia: Snorri Freyr Hilmarsson; costumi: Sylvía Dögg Halldórsdóttir, Maria Kero; suono: François de Morant, Raphaël Sohier, Vincent Cosson, Aymerick Devoldère; interpreti: Halldóra Geirharðsdóttir (Halla / Ása), Jóhann Sigurðarson (Sveinbjörn), Juan Camillo Roman Estrada (Juan Camillo), Jörundur Ragnarsson (Baldvin), Haraldur Stefansson (Gylfi Blöndal), Davíð Þór Jónsson (pianista/fisarmonicista), Ómar Guðjónsson (susafono), Magnús Trygvason Eliasen (batterista), Iryna Danyleiko, Galyna Goncharenko - Coro ucraino, Susanna Karpenko (Coro ucraino), Charlotte Bøving (signora agenzia adozioni), Björn Thors (Primo ministro), Þorsteinn Guðmundsson, Helga Braga Jónsdóttir (Guardie carcerarie), Jón Gnarr (Presidente dell'Islanda), Vala Kristín Eiríkssdóttir (Stefanía), Hjörleifur Hjartarsson (assistente del Primo ministro), Olena Lavrenyuk (direttrice dell'orfanotrofio), Margaryta Hilska (Nika); produzione: Marianne Slot, Bendikt Erlingsson, Carine Leblanc per Slot Machine & Gulldrengurinn; distribuzione: Teodora Film; origine: Islanda-Francia-Ucraina, 2018; durata: 100’.

Trama:Halla, è una donna che combatte da sola, con caparbietà e coraggio, contro le multinazionali che stanno devastando la sua terra, gli altipiani islandesi. Ma quando una sua vecchia richiesta d'adozione va a buon fine e una bambina si affaccia a sorpresa nella sua vita, Halla dovrà affrontare la sua sfida più grande...

Critica (1):Nelle Highlands islandesi, una donna lotta contro il capitalismo. Halla è una semplice direttrice di un coro di paese che nel tempo libero si occupa di sabotare, con arco e frecce, i fili elettrici dell’enorme fabbrica di alluminio appartenente alla Corporation che, a suo parere, sta distruggendo la nazione. Una donna libera (ma ricercata), in guerra contro i potenti, contro lo Stato, contro l’evoluzione cieca e cinica. Un atto di resistenza ambientalista, il suo, che diventa una bomba mediatica. Un manifesto, lanciato dai tetti della città, firmato “la donna elettrica”.
Qui la natura è ciò che va salvaguardato e ciò che allo stesso tempo salvaguarda Halla, che sfrutta ripetutamente cespugli, animali e zolle di terra per nascondersi dagli insistenti inseguimenti della polizia. Prati, vallate e montagne danno colore al film così come al mondo stesso. Il verde dell’erba che si confonde al blu del cielo, contribuisce a restituire una fotografia fredda e naturale, radicata nell’Islanda che non vuole scendere a compromessi con il grigio delle industrie e delle città.
Come nel suo primo Storie di cavalli e di uomini, Benedikt Erlingsson ripropone una regia dinamica, caratterizzata da inquadrature fisse eleganti, alternate a steadycam e riprese aeree con le quali rincorre la protagonista e osserva, forse troppo didascalicamente, il panorama.
Anche se questa “guerra” pare essere una lotta alla “Davide contro Golia”, la protagonista, per quanto piccola, non è mai sola. La colonna sonora, fatta di suoni tipicamente nord europei, per quanto illustratrice, si scopre non essere extra-diegetica, ma realizzata in campo da tre strumentisti e tre coriste. Musicisti che, non senza una buona dose di ironia grottesca, accompagnano Halla nei suoi, solitari, sabotaggi. Questi sembrano non esserci ma ci sono, così come la sorella che, esteticamente identica a lei ma nello stesso tempo diversa, mette in scena un binomio fatto di morali condivise ma metodologicamente opposte. Due approcci differenti alla lotta per la giustizia: da un lato la sorella prega e medita, sostenendo di essere “la goccia che scava la pietra”, dall’altro Halla lotta concretamente provocando danni tramite i quali, crede, possa veramente cambiare il mondo.
I suoi “maestri”, altrettanto sabotatori, sono Gandhi e Mandela. Di quest’ultimo indossa una maschera in una sequenza chiave, dove con arco e freccia abbatte un drone (simbolo del capitalismo tecnologicamente più evoluto). Successivamente – inquadrata dal basso come la scimmia di 2001: Odissea nello spazio, e con una gestualità molto simile... – fa a pezzi il drone con una roccia. Se dunque la scimmia diventa uomo evoluto, in La donna elettrica l’essere evoluto ritorna “scimmia” attraverso l’utilizzo del sasso (strumento tra i più arcaici) che distrugge il drone (“strumento del futuro”).
In tutta questa ideologia, Halla, non ha un tornaconto personale ma un obiettivo dedicato al futuro, o meglio, alle future generazioni. Questa lotta vive una svolta centrale, annunciata da una telefonata: una sua vecchia richiesta di adozione è stata approvata. Le generiche e anonime “future generazioni” prendono la forma di una bambina ucraina che potrà diventare sua figlia. Tutto aumenta di senso e volontà, anche se in gioco c’è tanto di più.
La donna elettrica si inserisce di diritto nel filone del cinema ambientalista contemporaneo. È un First Reformed più semplice, confortevole e scanzonato; è un Troppa grazia più movimentato e dinamico. Un messaggio di speranza più che di cinica disillusione. Un manifesto di lotta ironico ma concreto, che non crolla mai in una scontata retorica. Allo stesso tempo, però, non manca di prendere atto della tragica condizione del mondo. Forse molte cose non si potranno cambiare e le strade allagate potranno sembrare problemi senza via d’uscita, ma una donna, o meglio, una madre una soluzione può trovarla.
Alberto Savi, cineforum.it, 5/12/2018

Critica (2):Una guerrigliera fai da te e una piccola eroina bambina che resta sullo sfondo, fino alla fine. Woman at War (La donna elettrica, ndr)) parla di eroismo femminile attraverso la formula curiosa di un action movie fai da te che conferma il talento originale e bizzarro di Benedikt Erlingsson, già apprezzato con l’esordio Of Horses and Men del 2014.
Qui Erlingsson racconta di Halla, un’insegnante di musica nella quale si nasconde una bio-terrorista che fa saltare centrali elettriche e fabbriche. Mentre la polizia le dà la caccia, lei si deve occupare anche del suo sogno di diventare madre, visto che la sua domanda di adozione di una bimba ucraina sopravvissuta alla guerra è stata accettata.
Nessuna melensaggine però nello script di Erlingsson e Òlafur Egil Egilsson che anzi mescola un film d’avventura curioso col racconto di famiglia iniettandovi una certa dose di umorismo.
Una miscela per nulla semplice ma perfettamente in linea con lo spirito ardimentoso di Erlingsson, il quale sa equilibrare un humour scandinavo sempre sul filo della bizzarria (i musicisti che compaiono a suonare la colonna sonora e che fungono da vero e proprio coro, in senso classico) con il sentimentalismo ben temperato e con un senso dell’avventura e della suspense molto originale che trova nella natura e nei luoghi, nel modo di riprenderli e usarli il suo centro e il suo senso, sia nei geyser dove riscaldarsi sia nel muschio in cui nascondere un ricordo prezioso.
Erlingsson sceglie accuratamente i toni e i registri, li alterna senza confonderli, punta tutto sul ritmo e sull’adesione dello spettatore e fa dell’Islanda il luna park del suo immaginario (il western del primo film, l’avventura di questo) aprendosi a un finale tanto quietamente emotivo quanto epico, seppure in sedicesimi. Alza la posta il regista islandese. Per ora, continua a vincere.
Emanuele Rauco, cinematografo.it, 12/12/2018

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