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Celeste - Céleste


Regia:Adlon Percy

Cast e credits:
Soggetto: dal libro "Monsieur Proust" (1973) di Céleste Albaret; sceneggiatura: Percy Adlon; fotografia (Eastmancolor): Yürgen Martin; assistenti alla fotografia: Horst Becker, Helmo Sahlinger, Hermann Ramelow; scenografia: Hans Gailing; costumi: Barbara Gailling; musica: "Quartetto per archi" di César Franck, eseguito dal Quartetto Bartholdy (Antonio Perez, Max Speermann, Jörg Wolfgang Hahn, Annemarie Dengler); montaggio: Clara Fabry; suono: Rainer Wizhr, Willi Schwadorf (assistente: Holger Gimpel); assistenti alla regia: Hans Gailling, Marlies Frese, Kurt Diell, Esther Wenger, trucco: Rainer Kraubs, Evelyn Necker; interpreti: Eva Mattes (Céleste Albaret), Jürgen Arndt (Marcel Proust), Norbert Wartha (Odilon Albaret), Wolf Euba (Robert Proust), Joseph Manoth, Leo Bardischewski, Horst Raspe, Andy Stefanescu, Rolf Illig; direttore di produzione: Eleonore Adlon; produttore delegato: Benigna von Keyserling; produzione: Pelemele Film (München)/Bayerischer Rundfunk; origine: RFT, 1981; durata: 100'.

Trama:Al capezzale di Marcel Proust (1871-1922) morente, la sua governante rievoca i dieci anni che ha passato al suo servizio. Ispirato alle memorie dell'anziana signora, pubblicate 60 anni dopo la morte di Proust (avvenuta il 18 novembre 1922).

Critica (1):Due persone in un appartamento di Parigi nel 1920. La sala da pranzo resta vuota con i soli mobili di famiglia protetti da tende bianche. Lontano da lui, in cucina, le mani posate sul suo cucito, lei è tranquilla e sonnecchia. Lui è nel suo letto. Scrive sulle ginocchia piegate. Dei cuscini messi dietro la schiena gli permettono di rimanere seduto. Un particolare rivestimento dei muri lo isola completamente dal mondo e gli garantisce la tranquillità di cui ha bisogno. Il giorno per lui è la notte. Lui chiama. Lei gli porta la borsa dell'acqua calda. Lui chiama ancora Le incolla una serie di foglietti nei suoi quaderni perché possa ritrovare le sue correzioni. Lui vuole uscire ancora. Lei lo aiuta a trasformarsi in un perfetto gentiluomo, come ha fatto molte altre volte. Lui racconta, e una tavola del Ritz dove è radunata gente dell'alta società appare davanti agli occhi incantati di Céleste. Lei ride, lui assapora il suo successo. Lei lo trova madido di sudore, mentre lotta contro una crisi di asma. In breve entrambi sono avvolti dalla nube di talco con la quale lei lo ha cosparso. Lei ha vent'anni, è una ragazza di campagna. Lui ne ha cinquanta e sta per morire. Lei non vive che per lui, lui non vive che per il suo libro, per la scrittura. Due prigionieri nell'universo di un appartamento. Il tempo perduto. Due cospiratori. Lei si chiama Céleste, e soltanto cinquant'anni dopo, nel 1973, romperà il suo silenzio e racconterà di lui: di Proust. Lui l'aveva definita «la mia cara Céleste, la mia amica di sempre». Lei ne ha conservato la memoria nell'oscurità quieta e anonima della sua esistenza, poi un giorno ha deciso di raccontare quest'esperienza straordinaria ad uno scrittore, Georges Belmont: il ritratto che ne è uscito ci restituisce un Proust più vivo, più vero di molte biografie di letterati su di lui.
Quello di Céleste è un Proust conosciuto dall'interno di quei pomeriggi silenziosi, consumati tra giorno e notte, in una percezione volutamente confusa, che non capiva, ma doveva condividere. Percy Adlon (München, 1935) regista di estrazione televisiva, ha firmato la riduzione cinematografica delle memorie di Céleste, la governante di Proust, segnalandosi al suo esordio nel cinema come uno dei più promettenti autori degli anni Ottanta. Calarsi in un universo nel quale "la vita scorre al contrario", alla ricerca di due soli personaggi, dei quali l'una non è che il discreto, silenzioso (o muto?) interlocutore dell'altro, non era facile, ed Adlon ha avuto mano felice nella resa drammaturgica e nella scelta degli interpreti, alla quale si deve gran parte del notevole successo del film. La vita di Céleste è stata una lunga sequenza di attese; su queste attese, "...su questi non fatti, Adlon ha avuto l'abilità di costruire un racconto in cui sensazioni ed emozioni, suoni, colori, persino il luccichio di una porcellana o di un argento sostituiscono con efficacia la realtà. A seconda dei casi, il tic tac di un orologio può avere lo stesso rilievo di un ospite, che si presenta inatteso; così come la spiaggia di Caubourg, intravista da un oblò, equivale ad un squarcio di infinito. (Con un gusto visivo alla Magritte)" (Maudente).
Fischer-Hembus-Taggi, Il nuovo cinema tedesco 1960/1986, Gremese Editore, 1987.

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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