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Notti di Cabiria (Le)


Regia:Fellini Federico

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura:
Federico. Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli; fotografia: Aldo Tonti, Otello Martelli; scenografia: Piero Gherardi; musica: Nino Rota; montaggio: Leo Cattozzo; consulente per il dialetto romanesco: Pier Paolo Pasolini; interpreti: Giulietta Masina (Cabiria), Amedeo Nazzari (Amedeo), François Périer (il rag. Oscar D’Onofrio), Aldo Silvani (l’ipnotizzatore), Franca Marzi (Wanda), Dorian Gray (Jessy), Polidor (frate cercatore), Mario Passante (Cripple), Pina Gualandri (Matilda), Franco Fabrizi (Giorgio), Ennio Girolami, Christian Tassou; produzione: Dino De Laurentiis; origine: Italia, 1957; durata: 110'.

Trama:Innocente e indifesa, Cabiria è una prostituta dall’esistenza infelice: ha rischiato di essere uccisa da un amico per i suoi soldi, un celebre attore si fa beffe di lei e persino le sue compagne di strada si divertono alle sue spalle. Sconfortata, si reca al santuario del Divino Amore e, presa dall’enfasi di una cerimonia religiosa, prega anch’essa, che un miracolo le faccia cambiare vita. E il miracolo sembra avverarsi: dopo che un illusionista le ha predetto un futuro roseo incontra Oscar, che le dichiara il suo amore; Cabiria lo ricambia affidandogli i suoi risparmi. Ma Oscar è interessato solo a questi, e tenta addirittura di ucciderla. Cabiria riesce ancora una volta a scamparla, e si rende conto che è la sua ingenuità a complicarle la vita. Disperata, vaga in un bosco, di notte, dove incontra un gruppo di giovani allegri e felici. E Cabiria ritrova il sorriso, smette di piangere. Domani riprenderà la sua strada.

Critica (1):Io sono per difendere o attaccare un film in blocco: lo spirito, il tono, lo stile, il respiro prevalgono su una meschina classificazione di scene buone e meno buone. È possibile che Le notti di Cabiria sia il più diseguale dei film di Fellini, ma i momenti forti sono di tale intensità che esso diventa per me il suo film migliore. Fellini ha corso molti rischi scegliendo di muoversi in Le notti di Cabiria in diverse direzioni e rinunciando in partenza all’unità di tono per sperimentare più campi molto difficili. Che forza in quest’uomo, che dominio bonario della scena, che padronanza sicura e quale invenzione divertita! Giulietta Masina è Cabiria, una piccola, strampalata prostituta romana, ingenua e fiduciosa, sballottata dalla vita, brutalizzata dagli uomini, ma sempre candida. Cabiria è una creazione felliniana che completa logicamente la Gelsomina della Strada, ma la tecnica del personaggio e della recitazione è, questa volta, propriamente chaplinesca. Questo personaggio farà inorridire quelli che si aspettano da un film qualcosa di diverso dalle emozioni vive e insolite; ciò non impedisce che Giulietta Masina, quand’anche dovesse un giorno venire a noia, avrà da sola segnato «un momento» del cinema, come James Dean e Robert Le Vigan. Amo Fellini e, poiché Giulietta Masina ispira Fellini, amo anche Giulietta Masina. Si tratta qui di una comicità di osservazione che deborda continuamente in invenzioni barocche; non attribuendo un grande valore alla comicità d’osservazione, ciò che mi colpisce di più è il movimento finale di ogni episodio quando gli avvenimenti precipitano e la comicità si muta in tragedia. A questo proposito, il finale del film Cabiria ha sposato lo strano e dolce François Perier – è un prodigio di potenza e di forza, nel senso più nobile del termine.
François Truffaut, 1957

Critica (2):Si è spesso evocato Chaplin a proposito di La strada, ma io non sono mai stato molto convinto di questo paragone, molto sforzato, tra Gelsomina e Charlot. La prima inquadratura, non solo degna di Chaplin, ma uguale alle sue migliori trovate, è l’ultima di Le notti di Cabiria, quando Giulietta Masina si gira verso la cinepresa e il suo sguardo incrocia il nostro. Unico, ritengo, nella storia del cinema, Chaplin ha saputo fare un uso sistematico di questo gesto che condanna tutte le grammatiche del cinema. E, senza dubbio, sarebbe fuori luogo se Cabiria, piantando i suoi occhi nei nostri, s’indirizzasse a noi come messaggera di una verità. Ma il fine ultimo di questo lampo di regia, e che mi fa gridare al genio, è che lo sguardo di Cabiria passa molte volte sull’obiettivo della cinepresa senza mai esattamente fermarvisi. Le luci si accendono su questa meravigliosa ambiguità. Cabiria è certamente ancora la protagonista delle avventure che ha vissuto davanti a noi, dietro la maschera dello schermo, ma è anche, ora, quella che ci invita con lo sguardo a seguirla sulla strada che ha ripreso. Invito pudico, discreto, sufficientemente incerto perché noi possiamo far finta di credere che sia rivolto ad altri; sufficientemente certo e diretto anche per strapparci dalla nostra posizione di spettatori.
André Bazin, Cahiers du Cinéma, n. 76 novembre 1957

Critica (3):Le notti di Cabiria si innesta con piena coerenza nello sviluppo tematico di La strada e di Il bidone. Il primo film era infatti il dramma di Zampanò, zingaro solitario e primitivo che non riusciva a sgelare la sua rozzezza e ad agganciare con il mondo, e di Gelsomina, una scema patetica che spontaneamente, sia pure su un piano inconscio, palpitava tutta verso una subordinazione trascendentale del proprio essere. Il secondo invece era la tragedia sordida e nera di Augusto, il bidonista disperato che non aveva rotto i ponti con il Divino solo perché non aveva mai agito ed operato come se questi ponti esistessero per lui. Ma nell'uno e nell'altro film veniva in primo piano il problema agghiacciante della "solitudine", che l'uomo può risolvere solo nell'ambito della propria autenticità spirituale, facendo leva sul fondo quasi preistorico ed istintivo della propria integralità morale; e come Zampanò, in virtù di Gelsomina, aveva sentito lievitare dalla disincrostata animalità la rivelazione miracolosa della sua impotenza umana, così, al contrario, Augusto non aveva potuto trovare salvezza "fuori" di sé, gridando a vuoto, in un pelagianesimo di disperazione, il nome di Dio.
Con Le notti di Cabiria Fellini ribadisce e sviluppa questa intonazione religiosa del messaggio: la vera autenticità dell'uomo, ciò che può perderlo o salvarlo, è dentro di noi, in interiore, e a nessuno, neppure alla creatura apparentemente più "perduta", neppure alla prostituta che per troppo amore abbia fatto pubblico mercimonio del corpo, a nessuno è negata questa possibilità di attingere pienamente il proprio "se stesso". Le condizioni esterne di "perdizione" sociale possono anche continuare (ché non sempre dipende dall'individuo poterle mutare o travolgere), ma quello che vale ed importa è la carica di vitalità e di speranza che sorregge l'individuo e, pur nello squallore di un'esistenza impotente a sollevarsi dalla marea montante del fango
quotidiano, lo spinge a credere, a sperare, a proiettarsi in un futuro migliore. Anche per la protagonista di Le notti di Cabiria vibrano queste inconscie sollecitazioni che oscuramente ristabiliscono, anche al di là delle apparenti contraddizioni, un reale rapporto tra la creatura e Dio. L'esistenza di Cabiria è legata a un mestiere avvilente, intorbidata da delusioni, disperazioni, amarezze, ma la speranza le traluce sempre verde e viva al di là di ogni scacco. Cabiria è vittima di una rapina, e proprio da parte di Oscar, il suo presunto fidanzato: ella reagisce violentemente, brucia in un rogo gli indumenti e i ricordi di lui, si dispera, ma poi torna sui marciapiedi e per i viali della Passeggiata Archeologica, a cercare l'amore unico e definitivo della sua anima ingenua, illudendosi magari di trovarlo nella simpatia di un attore famoso che una notte la invita nella sua villa fastosa. Speranze e delusioni e sogni s'incatenano, si confondono, stringendo Cabiria entro una morsa implacabile. Così, durante un pellegrinaggio al Divino Amore l'invadente festosità e il fanatismo quasi superstizioso della folla eccitano la donna che si trova al limite di una riscoperta della propria onesta coscienza, ma poco dopo, sul prato antistante, tutto ritorna come prima e Cabiria delusa erompe in un pianto nervoso. Ed ancora, quando sul palcoscenico di un teatrino di periferia, durante una seduta ipnotica ha l'impressione di trarsi fuori dalla banalità di ogni giorno e di incorniciarsi con un'atmosfera di infantile purezza, la suggestione magica le dura appena qualche istante e Cabiria riprecipita nello scoramento, tra le grasse e sardoniche risate di un pubblico impietoso. Ed alla fine, quando Oscar sembra spalancare innanzi a lei i veri orizzonti dell'amore fedele, la disillusione le ripiomba addosso con imprevista crudezza e Cabiria si trova al limite del suicidio. Eppure, ancora una volta basta una comitiva festosa di ragazzi, bastano un suono di fisarmonica, un aperto sorriso, un saluto cordiale, perché Cabiria ritorni a sperare, a sorridere tra le lacrime, a guardarci in primissimo piano con i suoi occhioni commossi, decisa a reinserirsi nella vita, con un'ostinata tensione verso l'amore che salva ed eterna.
Impostato così il tema del film sul piano narrativo, era ovvio che Le notti di Cabiria finisse per presentarsi come un'antologia di "fioretti" che di Cabiria mostrano il crescendo delle "rivelazioni" e degli stati d'animo, dalla constatazione dell'impotenza di ogni apparato, umano o magico che sia (amori prezzolati, divismo, superstizione, ecc.) alla nervosa intuizione della propria realtà morale di peccatrice e alla "miracolosa" scoperta della propria autenticità di creatura, sino all'ultimo atto di fede, scaturito da un episodio così simile alla sequenza iniziale e in realtà tutto in altro clima e con altre reazioni umane. Di questa graduale introspezione del personaggio Giulietta Masina rende in maniera superba gesti, tensioni, incantamenti, con una maturità espressiva più accorta e scaltrita che in passato. Ci sono ancora imitazioni chapliniane o compiacenti insistenze su certe leziosità letterarie del personaggio, ma c'è anche rispetto alla Gelsomina di La strada, talora cristallizzata in un atteggiamento simbolico, una maggiore intensità di partecipazione e di mimica.
Alberto Pesce, Cineproposte, 1978

Critica (4):
Federico Fellini
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