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Exiled - Fong juk


Regia:To Johnnie

Cast e credits:
Sceneggiatura: Yip Tin-Shing, Szeto Kam-Yuen; fotografia: Cheng Siu-keung; musiche: Guy Zerafa, Dave Klotz; montaggio: David M. Richardson; scenografia: Tony Yu; costumi: Stanley Cheung; effetti: Stephen Ma; interpreti: Anthony Wong (Blaze), Francis Ng (Tai), Simon Yam (Fay), Nick Cheung (Wo) Richie Ren (Sergente Chen), Roy Cheung (Cat), Josie Ho (Jin), Lam Suet (Fat), Lam Ka Tung (Keung), Cheung Siu-Fai (Jeff ), Tam Ping Man (Zio Fortune), Siu Hung Hui (Sergente Shan), Wah Wo Wong (Darkie); produzione: Johnnie To per Milkyway Image Co. Ltd.-Newlink Development-Media Asia Films; distribuzione: Ripley's Film; origine: Hong Kong, 2006; durata: 109’.

Trama:1998, Macao. Il passaggio della colonia portoghese nelle mani dell’amministrazione cinese fa cambiare, anche le dinamiche tra le bande criminali. Wang, arrivato da Hong Kong, vorrei prendere il potere, intanto medita vendetta nei confronti di Wo, che un tempo aveva tentato di ucciderlo e ora vive proprio a Macao, insieme alla moglie e al figlio appena nato. Ad ucciderlo manda due killer, amici d’infanzia di Wo. Il sentimento di amicizia e un debito di riconoscenza, modificherà gli equilibri.

Critica (1):Due gangster di Hong Kong vengono chiamati dal loro capo. Hanno il compito di trovare un componente della banda che si è macchiato di tradimento e di giustiziarlo. Il fuggitivo si è nascosto a Macao e i due lo rintracciano con facilità. Una volta sul posto, però, si trovano davanti a un dilemma perché compaiono dal nulla due vecchi loro compagni, decisi ad ostacolare la loro missione. Mentre i quattro tentano di negoziare e di risolvere la questione, compare un quinto uomo. In più, tra di loro c'è un altro traditore.
Il film si svolge nel 1998 a Macao, poco prima che nella colonia portoghese subentri il governo cinese. Da Hong Kong giungono due killer che dovrebbero uccidere un "rinnegato" il quale, sposato e con un bimbo appena nato, ha deciso di cambiare vita. I due si ritrovano a fare i conti con altri due ex compagni, pronti ad ostacolarli in ogni modo: dopo qualche reticenza, i quattro decidono di ribellarsi al volere del boss e aiutare il loro comune amico. Titolo emblematico, i protagonisti della vicenda vivono in una condizione di esilio volontario, rappresentanti di una società ormai in via di estinzione, alle soglie di una svolta epocale. Il loro essere fuori del tempo e l'estraneità che li circonda sono visibili e tangibili, a partire dagli spazi nei quali si muovono, vuoti e privi di vita. La dimensione nostalgica prevale sin dal primo fotogramma, come si trattasse di foto ricordo simili a quelle che ad inizio e fine della pellicola mostrano i cinque protagonisti, dapprima molto giovani e poi ormai adulti.
Nel rispetto delle regole di genere, Fanghzu è firmato da Johnnie To, che vanta una carriera cinematografica di venticinque anni e un numero considerevole di lungometraggi realizzati. Ancora poco noto al pubblico europeo, se non a quello dei maggiori festival internazionali, il regista è senza dubbio una delle personalità di spicco del cinema di Hong Kong.
Luisa Ceretto, mymovies

Critica (2):E’ difficile parlare di un film come Exiled. Difficile perchè tanta è la tentazione di lasciare da parte qualsiasi tipo di obbiettività e di descrivere quest’opera con il cuore, lasciandosi trascinare dalle emozioni che certe potenti, liriche immagini trasmettono allo spettatore e mettendo in fila una serie infinita di entusiastiche esclamazioni. Difficile perchè - riguadagnando l’obbiettività di cui sopra - il film in questione rappresenta uno dei picchi più alti della carriera di uno dei cineasti più prolifici e sorprendenti dell’ultimo ventennio, un uomo che ha avuto non solo il coraggio di mettersi in gioco fondando una propria casa di produzione ma anche la capacità di prendere per mano il cinema del proprio paese e di trascinarlo al di là di quel fatidico 1997, producendo e realizzando nel giro di pochi anni un numero sconvolgente di capolavori. A dieci anni dalla nascita della Milkyway Image, Johnnie To dimostra al mondo come si possa ancora fare del grande cinema divertendosi, realizzando con passione un film estremamente personale e guarnendo il tutto con una serie di omaggi all’Italia. (...)
Exiled nasce dallo stesso seme di The Mission ma non vuole esserne un sequel, né un prequel, tantomeno un remake. Ne riprende gran parte del cast, ne ridistribuisce ruoli e caratteri, ne ridisegna gli schemi: Exiled e The Mission diventano così due film paralleli, simili e diversi e assolutamente complementari. Simili perchè viene riportato in primo piano il tema dell’amicizia e del rapporto che c’è tra l’emotività ed il senso del dovere, diversi perchè se prima la geometrica freddezza della messa in scena riusciva a tratti a soffocare il calore dei rapporti tra i protagonisti, ora succede l’esatto opposto. Difatti Exiled è anche e soprattutto la storia di un gruppo di amici. Un gruppo di cinque vecchi amici e colleghi, killer a pagamento che si ritrovano costretti a mettersi l’uno contro l’altro a causa del tradimento di uno di loro nei confronti di un potente boss. L’ordine di fare fuori il traditore disintegra gli equilibri del gruppo: due ricevono il compito di ucciderlo, altri due si ripromettono di proteggerlo. Ma dopo un primo, feroce, spettacolare confronto, l’equilibrio si ristabilirà ed i cinque - dopo aver scattato una simbolica foto ricordo - si metteranno al lavoro per preparare la fuga dell’amico ed aiutarlo a rimediare i soldi per la moglie ed il figlio neonato.
Curiosamente ambientato nella Macao del post-handover, Exiled è un film assolutamente portentoso: non solo per l’atmosfera epica che traspare da ogni singola scena, non solo per lo splendido stile registico o per la bellissima colonna sonora. Exiled è un film portentoso anche perchè ha il coraggio di basare buona parte dell’impatto emotivo e del coinvolgimento empatico sulle interpretazioni degli attori, una serie di mostri sacri che difficilmente qualche altro regista sarebbe riuscito a riunire per un unico film. C’è Anthony Wong, icona cool per eccellenza con uno sguardo perennemente filtrato da un paio di scurissimi occhiali da sole. Trasuda calma, freddezza, professionalità, è un monumento al carisma. C’è Francis Ng con i suoi occhi spiritati e Roy Cheung mai così umano in una sua interpretazione, ci sono Nick Cheung – in una parte che finalmente gli rende onore in un film Milkyway, dopo l’impersonale poliziotto di Breaking News e lo spietato ma poco convincente killer Jet dei due capitoli di Election - e Josie Ho, bella e brava come non mai, finalmente protagonista femminile in un noir balistico. C’è anche Simon Yam nel ruolo del boss Yau, che ritorna finalmente sopra le righe regalando momenti di puro spasso dopo una serie di interpretazioni tranquille e compassate. C’è poi l’immancabile e perenne macchietta Lam Suet, killer con la passione per le prostitute il cui sorriso alla vista di Ellen Chan diventa uno dei simboli del film, ed infine Richie Jen, poliziotto dalla mira infallibile il cui personaggio viene coinvolto negli eventi del film per via di un buffo gioco del fato. Ci sono proprio tutti ed il carico emotivo del film è riversato quasi totalmente su di loro, sui loro volti e sui loro corpi che dopo anni di attività possono permettersi di assumere un valore quasi iconico alla luce della loro esperienza. Hui Siu-hung, in una piccola parte che gli riserva a malapena una manciata di battute, non fa altro che confermare il tutto interpretando il suo ruolo di sempre: un goffo e maldestro poliziotto oramai praticamente inscindibile dalla sua persona reale.
L’ultima fatica di Johnnie To è un omaggio chiaro e sentito ad una buona fetta di cinema italiano. L’influenza dei western e del cinema di Sergio Leone è chiara sin dal primissimo duello, volti in primo piano e figure lontane sullo sfondo, sguardi fissi tra i contendenti e revolver tra le mani al posto delle più convenzionali berette. Il gioco cinematografico di To non si limita ai piccoli particolari (una scena è presa quasi di peso da Per qualche dollaro in più, con Roy Cheung e Richie Jen al posto di Clint Eastwood e Lee Van Cleef), anzi pesca senza complimenti dall’immaginario collettivo del western proponendo addirittura un vero e proprio assalto ad una carovana. Ma l’apice dell’italianità si esplica al meglio nel momento in cui i protagonisti in fuga, seduti intorno ad un falò durante un momento di tregua, mentre scherzano tra di loro esclamano un corale “vaffanculo” in accento cantonese. E al respiro del lontano e Leoniano west si aggiunge una delle componenti costanti dell’universo Milkyway: così come nella stragrande maggioranza delle opere di Johnnie To e di Wai Ka-fai, anche in Exiled il destino si ritaglia uno spazio importante nella narrazione degli eventi ed è proprio intorno al suo gioco beffardo che gira l’intera vicenda. I killer in esilio, infatti, scelgono i loro percorsi lanciando in aria una monetina e lasciando decidere al fato la direzione da intraprendere, come a dimostrare la consapevolezza di essere guidati da un disegno superiore. Forse, dalla mano di Johnnie To stessa.
Ma oltre alle bizze del caso sono le pistole e i fucili a dettar legge in Exiled, nel far west così come nella Macao del 1998. Le sparatorie scandiscono idealmente il film, lo suddividono in capitoli portandolo al suo climax nel sanguinario e violentissimo finale. Se in The Mission era la geometria ad ergersi al ruolo di padrona assoluta, in Exiled la sparatorie vengono portate ad un livello ancora superiore: ogni elemento scenografico è utile a creare uno spettacolo visivo fatto di scintille, proiettili e nuvole rosso sangue, da una porta scardinata alle tende della clinica clandestina (teatro di una delle scene più belle del film) ai lampadari del ristorante che si spengono in sequenza, uno dopo l’altro fino all’oscurità. Anche l’effetto degli spari sui corpi dei soggetti colpiti subisce un’evidente innovazione che palesa ulteriormente – se ancora ce ne fosse bisogno – l’impegno profuso nel rendere le sparatorie più coreografiche e gradevoli alla vista che mai, senza però lasciare da parte la perfezione stilistica e l’elegante schematicità quasi matematica di certe scene. Si potrebbe accusare Exiled di un’eccessiva dipendenza dalle sparatorie e del fatto che la sceneggiatura segua dei binari sin troppo lineari, ma anche questo fa parte del gioco dai toni western di cui si diceva poco fa ed il fatto che i destini dei protagonisti sembrino spesso lasciati al caso non è un difetto, ma solo un’estremizzazione della poetica della Milkyway e del modo in cui tesse in modo beffardo i fili del destino dei suoi eroi (...).
asianfeast.org

Critica (3):

Critica (4):
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