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Tutta colpa di Voltaire - Faute à Voltaire (La)


Regia:Kechiche Abdellatif

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Veronique Paris; fotografia: Dominique Brenguier, Marie Spencer; montaggio: Annick Baly Tina Baz Legal; interpreti: Sami Bouajila (Jallel), Élodie Bouchez (Lucie), Bruno Lochet (Franck), Aure Atika (Nassera), Virginie Darmon (Leila), Olivier Loustau (Antonio); produzione: Jean-Francoise Lepetit per Flach Film; distribuzione: Mikado; origine: Francia, 2000; durata: 124'.

Trama:La famiglia Brahimi a Tunisi ha, come al solito, un risveglio movimentato. Le donne preparano i bambini per la scuola e riordinano la casa, il primogenito Jallel, di ventisette anni, va in centro a vendere sui marciapiedi ogni sorta di mercanzia. Quel giorno incontra Mahmoud, un conoscente espulso dalla Germania che lo spinge ad acquistare un passaggio clandestino nella stiva di un mercantile. Jallel, novello Candide, si imbarca per la Francia alla ricerca di un'occasione che lo porti verso il benessere. Con un passaporto falso in tasca, si trova, invece, a condividere la vita e la solidarietà degli esclusi, i miserabili di una ricca capitale europea. Quando, dopo varie avventure, sembra aver trovato un po' di pace, verrà rimpatriato dalla polizia.

Critica (1):Nella sua opera prima il regista Abdel Kechiche ci racconta come è un Candido oggi: un clandestino, un sans papier, un extracomunitario. Jallel (interpretato dal sempre bravo Sami Bouajila, visto di recente ne La strada di Felix), parte dalla Tunisia alla volta della Francia per approdare a Parigi pieno di speranze alla ricerca di un lavoro. Il film ha una struttura simile a quella delle storie arabe, in cui domina soprattutto il piacere del racconto. Non ci si impietosisce davanti al destino di Jallel, di Nassera (Aure Atika), origine araba, vitalità prorompente e bellezza luminosa; di Lucie (Eloide Bouchez), fragile e ignara di qualunque codice di comportamento; di Franck (Bruno Lochet), esuberante e generoso; anzi, suscitano simpatia e comprensione. Il tono del film nell'insieme è leggero, tutta la storia ha però dentro di sé il germe della denuncia: mostrare la durezza del sistema. Lentamente assistiamo alla disillusione di Jallel che dai centri d'accoglienza agli incontri per trovare un'attività attraversa la Parigi degli emarginati. I suoi sogni di trovare l'Eldorado restano irrealizzati, ma questa esperienza gli permette di scoprire e condividere la solidarietà degli emarginati. Accompagnato da una musica raï accogliente e calda e girato con padronanza, a dispetto dell'argomento trattato Tutta colpa di Voltaire risulta un film gradevole; pervaso da una luce calda, riesce a regalare allo spettatore anche attimi di piacere. Jallel conosce amore, amicizie e sorrisi solo da altri diseredati come lui. Per il regista Abdel Kechiche non conta il giudizio morale ma l'analisi della reazione che può avere un individuo di fronte ad una situazione estrema. Certo è che il regista, ispirandosi per la figura di Jallel al Candido di Voltaire, sembra esprimere un lucido pessimismo sui sogni europei di integrazione economica. Il film ha uno stile mobile, toccante, mai sdolcinato, teso a restituire dignità al protagonista, a ricordarci che Jallel è uno di quei tanti milioni di emarginati ai quali l'Europa unita dovrebbe guardare con più attenzione se non vuole fallire. Persona più che personaggio, Jallel è un guerriero metropolitano pronto a non farsi umiliare; ha solo bisogno di integrarsi per trovare una vita migliore. "Premio De Laurentiis - Miglior Opera Prima" alla 57^ Mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Tutta colpa di Voltaire ha uno straordinario impatto emotivo. Nel film il regista ha voluto coinvolgere in prima persona le persone del gruppo Emmaus (centri che si occupano di emarginati). Queste istituzioni, nate per gestire situazioni precarie, sono ormai diventate strutture permanenti dove le persone vivono, coltivano le proprie abitudini, preparano feste, organizzano giochi. Jallel va incontro ai suoi simili cercando di instaurare con loro dei legami, muovendosi liberamente, tanto che ad un certo punto i problemi legati all'illegalità della sua permanenza in Francia non sono posti in primo piano, sembrano dimenticati. Il regista usa la macchina da presa come uno strumento destinato a fissare gli attimi della vita che i vari interpreti riescono a catturare. Alla fine vediamo Jallel in manette che viene accompagnato dai gendarmi sull'aereo che lo riporterà a Tunisi. A noi spettatori questo brusco e inatteso cambiamento giunge come una doccia fredda, uno sviluppo che con la sua perentorietà ci lascia incapaci di reagire.
Memmo Giovannini, Kwcinema

Critica (2):La faute a Voltaire è un documento realista che riproduce fedelmente giornate di ospiti - con e senza permesso di soggiorno - di origine algerina che vivono ai margini vendendo abusivamente frutta lungo i corridoi della metropolitana. Vite di resistenza spese tra vocazione alla paternità, occupazioni occasionali sottopagate, risate sguaiate, strette di mano mai calorose, ascoltando Cheb Mani per allontanare malinconie domenicali e sorseggiando birra in solitudine alla ricerca di semplici parole di affetto. Sono vittime sacrificali di sfruttatori di professione, imprigionati da ricordi familiari consolatori; sono persone silenziose che abbassano ripetutamente lo sguardo e si difendono con repentini cambi di umore. Kechiche lascia improvvisare gli attori ed usa il suo Candido algerino come viaggiatore non frastornato, tra centri di accoglienza ed alloggi di fortuna, alla ricerca dell'eldorado della tranquillità nel microcosmo dei diseredati invisibili. La faute a Voltaire è una commedia essenziale che appartiene di diritto al genere "immigrati", piena di speranza concreta sulla solidarietà spontanea che rende omaggio alle storie incrociate di Karim Dridi con estratti di musical egiziani e indiani raccontando sconfitte ed illusioni d'amore in una realtà costruita a compartimenti stagni che rilascia o ritira documenti idoenei per delicati ed indispensabili equilibri di sopravvivenza.
Domenico Barone, Cinema.it

Critica (3):Il regista Abdel Kechiche, esordendo dietro la macchina da presa dopo una ventennale attività a Parigi come attore, pur mostrando una indubbia attenzione alle tematiche 'civili', ha soprattutto privilegiato le storie con le due donne (...) Svolte entrambe con un realismo accentuato che sfiora il naturalismo, mentre attorno il quotidiano di tutti quegli immigrati finisce per essere esposto con modi solo cronachistici, privi molto spesso di segni psicologici. Riscatta però in parte questi scompensi - narrativi e di gusto - il disegno molto attento del personaggio centrale, proposto come una figura meritevole di partecipazione e simpatia.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 14/07/2001

Critica (4):
Abdel Kechiche
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