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Bella sempre-Belle toujours - Belle toujours


Regia:De Oliveira Manoel

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Manoel de Oliveira, ispirato a personaggi creati da Joseph Kessel; fotografia: Sabine Lancelin; montaggio: Valérie Loiseleux; musica: brani dall'"Ottava sinfonia" di Antonin Dvorak, eseguiti dall'orchestra della Fondazione Calouste Gulbenkian di Lisbona; scenografia: Christian Marti; costumi: Milena Canonero; interpreti: Michel Piccoli (Henri Husson), Bulle Ogier (Séverine Serizy), Ricardo Trepa (Benedetto, il barista), Leonor Baldaque (la prostituta giovane), Júlia Buisel (la prostituta anziana); produzione: Miguel Cadilhe, Serge Lalou per Filbox Produções//Les Films d'Ici; distribuzione: Mikado; origine: Portogallo/Francia, 2006; durata: 72'.

Trama:Parigi. Un signore anziano ed elegante, Henri Husson, sta assistendo all'esecuzione di una sinfonia di Antonín Dvoràk quando la sua attenzione viene attratta irresistibilmente dalla presenza di una donna bionda, non più giovane, che siede fra il pubblico. Appena termina il concerto, Husson si precipita a rincorrere la donna fra gli spettatori che stanno sciamando via. Ma quando arriva all'ingresso del teatro, lei si è già dileguata. L'uomo s'incammina per le strade notturne, finché vede la stessa donna mentre sta uscendo da un bistrot...

Critica (1):Il cinema di Manoel de Oliveira è abitato da fantasmi di storie senza immagini, evocati nei teatri delle parole, nel mistero allusivo degli oggetti e nei volti e corpi di chi sta raccontando. Fantasmi della letteratura, della storia, del teatro, di un'affabulazione remota, di un mito.
Ma lo spettro di Belle toujours è un film. La storia narrata da Henri Husson ad un barista nella notte, rimanda ad un tessuto di immagini che conosciamo: Bella di giorno (Belle de jour, 1967) di Luis Buñuel, così celebre da essere diventato un archetipo. Un archetipo di ellissi enigmatiche e rebus onirici.
Gli spettatori, infatti, al pari del personaggio di Séverine, non hanno potuto assistere alla scena dell'ultimo incontro fra Husson e il marito della donna, Pierre, dopo che Henri le aveva annunciato di voler rivelare il suo vergognoso segreto (le prostituzioni diurne) al coniuge infermo e muto. Husson entrava nella stanza e si udiva soltanto il suo saluto, fin troppo squillante di allegria. In seguito, Séverine scopriva che sotto gli occhiali neri di Pierre era stillata una lacrima. Forse il segno della disperazione per avere appreso il segreto, quindi il tradimento e l'inganno della moglie.
"L'immagine che ho conservato di Belle de jour, è quella lacrima che non cola, rappresa sul volto del marito, alla fine", ha dichiarato de Oliveira durante le riprese di Belle toujours. Anche da quel segreto ambiguo di Belle de jour, è nata l'idea del film del maestro portoghese, come una libera variazione ispirata all`archetipo" buñueliano, ma che appartiene unicamente all'estetica di de Oliveira. Belle toujours non è certo un film "alla maniera di" Buñuel: gli oggetti e le presenze che rimandano all'universo del grande regista di Calanda campeggiano quasi in rilievo, avvolti da un'ironia sorniona. Anche l'angolazione narrativa di de Oliveira è completamente diversa: segue i movimenti della ricerca di Husson e mostra Séverine sempre ed esclusivamente dall'esterno, ossia dallo sguardo dell'uomo che la desiderava (e la desidera), senza aderire mai alla soggettività onirica della donna (privilegiata, invece, nel film buñueliano). Séverine stavolta è avvistata, riconosciuta, inseguita, sollecitata, incontrata e perduta dal desiderio di un personaggio (Husson, appunto), che in Belle de jour non occupava il centro della narrazione, anzi era respinto ai margini (e nei sogni) proprio dalla volontà della protagonista.
All'origine del film, esiste anche il piacere dichiarato di rendere omaggio all'autore di Un chien andalou e al suo sceneggatore Jean-Claude Carriere: "Il parallelo che talvolta si stabilisce fra Buñuel e me, è importante perché sottolinea qualcosa di "peninsulare" in noi. La Spagna è più violenta. Il Portogallo è più dolce. Nel mio cinema, le cose sono aggressive ma dolcemente aggressive. In quello di Buñuel, sono crudelmente, violentemente aggressive. Buñuel ha una posizione antireligiosa. Io ho una posizione, diciamo, di dubbio religioso, di forte dubbio religioso e, allo stesso tempo, sento il bisogno di trovare la sorgente di tutto ciò, vale a dire il desiderio di trovare un reame che non possiamo sapere se lo raggiungeremo un giorno. Buñuel ha una visione altrettanto pessimista dell'umanità che di Dio. (...) Io non ho mai creduto che Buñuel fosse ateo. Cinematograficamente, Buñuel esiste per la sua ossessione cattolica. È una sorta di inversione dei sentimenti. E così cattivo verso gli uomini che verso Dio. E io penso: come potrebbe attaccare qualcuno che non esista? Il vero ateo, è il grande credente nel suo non credere. Non può accadergli di dubitare".
Il nome di Buñuel ritorna spesso nelle interviste a de Oliveira, ma quasi sempre accompagnato dalla menzione di un altro autore, come un distinguo. Dieci anni fa, per esempio, l'autore di Francisca dichiarava di appartenere alla stessa "famiglia" del surrealismo "ma sono un altro. Sono della famiglia di Buñuel, di Vigo o del documentarista inglese Basil Wright". Subito precisava: "Io sono più vicino a Jean Vigo,
che è irriverente, che non a Buñuel, che è un provocatore". Nel febbraio del 2006, durante le riprese di Belle toujours, ecco invece affiorare Dreyer: "naturalmente esiste, con lui, una condivisione iberica, anche se il mio spirito è più vicino a Dreyer. Io penso forse come Dreyer, ma sento come Bñuel. Era un uomo religioso deluso. Sono sicuro che all'inizio abbia creduto alla purezza, e che un bel giorno, questa fede si sia spezzata. Allora ha visto gli uomini solamente come animali domestici, dagli,istinti repressi".
E sotto il segno della disillusione e di un sottile sarcasmo (maschera della malinconia) che de Oliveira ha realizzato Belle toujours. Forse perché, alla fine, ha voluto riconoscere in se stesso qualche ombra del disincanto buñueliano.(...)
Roberto Chiesi, Cineforum n. 458, 10/2006

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Critica (4):
Manoel De Oliveira
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