RETE CIVICA DEL COMUNE DI REGGIO EMILIA
; Archivio film Rosebud; ; Archivio film Rosebud
Torna alla Home
Mappa del sito Cerca in Navig@RE 

 > Aree tematiche > Cultura e spettacolo > Archivio film Rosebud > Elenco per titolo > 

Cavallo di Torino (Il) - Torinói ló (A)


Regia:Tarr Béla, Hranitzky Ágnes

Cast e credits:
Sceneggiatura: László Krasznahorkai, Béla Tarr; fotografia: Fred Kelemen; musiche: Mihály Víg; montaggio: Ágnes Hranitzky; scenografia: Sándor Kállay; costumi: János Breckl; interpreti: Erika Bókm, János Derzsi, Mihály Kormos (Kormos); produzione: T.T. Filmmûhely-Mpm Film-Zero- Fiction Film-Vega Film-Werk Werk Works; origine: Ungheria-Francia-Germania-Svizzera, 2011; durata: 146’.

Trama:Torino, 1889. Dopo il suo intervento per salvare un cavallo esausto, la salute e la mente di Nietzsche iniziano a vacillare. Il film narra le vicende accadute, dopo questo evento, al proprietario del cavallo, a sua figlia e all'animale stesso...

Critica (1):Dell'attrazione che è capace di generare un fuoco acceso in un camino avevano accennato una volta un personaggio di un film di Truffaut e lo stesso regista in uno dei suoi scritti: il fuoco come grado zero dell'immagine in movimento, la fiamma luminosa e viva, sebbene sempre identica a se stessa nel suo perenne consumarsi, non sarebbe altro che un cinema ante litteram. Non c'è immagine più adatta per definire l'esperienza di visione cui conduce Il cavallo di Torino.
La vista di un fuoco cattura lo sguardo e slega il pensiero dalla visione: si guarda la fiamma senza cercare un divenire degli eventi, un movimento progressi­vo verso un fine; allo stesso modo nell'opera si ripetono gesti sempre uguali presi nel loro continuo deteriorarsi, nel loro consumarsi, quasi come le rocce erodono invisibilmente sotto l'azione incessante del vento. Lo stesso vento, simile al crepitio della legna, è una sorda colonna sonora che fa da contrappunto all'unico brano musicale presente nel film, sottolineando che solo il movimento conta, ma un movimento che è stare presso le cose. In un certo senso, il film non lo si guarda davvero, ci si incanta di fronte all'anziano vetturino che dorme e ai gesti della figlia che lo accudisce, ma si cede a uno sguardo vuoto, rapito, che ci pone, come i protagonisti, in una dimensione di attesa.
Inizia su uno sfondo nero, che persiste per tutto il tempo in cui una voce racconta: è la storia di Nietzsche e del giorno in cui divenne pazzo. Una mattina, per le strade di Torino, vide un cavallo maltrattato dal suo padrone perché non voleva più muoversi, a un tratto si lanciò verso l'animale e lo abbracciò, piangendo; da quel momento non si riebbe più. Sappiamo cosa accadde poi al filosofo tedesco, ma la vicenda si sviluppa sulla domanda circa il destino del cavallo.
L'opera di Tarr è una risposta che, come egli stesso ha sostenuto, è una tra le tante possibili, essa non ha nulla di necessario. Il film è un'ipotesi che attraverso il cavallo, il vecchio e sua figlia rende conto della vita come pura possibilità, cioè della sostanziale uguaglianza tra tutte le storie e le circostanze che possono essere narrate. Nel suo tentativo di catturare la forma di un'esistenza, il regista ungherese ne mostra principalmente lo spessore, la consistenza densa e immanente di cui è fatta, i tempi morti e quelli sempre uguali. Essa è imparagonabile alle sottili pagine di un libro, agli eventi che si succedono in un racconto e che dipanano il senso, l'infinita possibilità delle risposte è la vita, ovvero la vita come possibilità dell'insensatezza.
La storia è una tra le tante, e non c'è un solo passaggio che possa far credere che il cavallo sferzato dal vento nella prima scena sia davvero quello soccorso da Nietzsche. Ma cosa conta, poi? Nell'ambito della percezione estetica che Tarr ci propone, al centro c'è l'assoluta irrilevanza di questo particolare.
I lunghi piani sequenza che si dispiegano in un movimento quasi continuo della macchina da presa danno la netta impressione di una ripresa che avviene senza solu­zione di continuità con la materia filmata. È l'illusione di uno spazio tutto diegetico dove l'occhio meccanico non separa più il campo dal fuoricampo e si muove come in coreografia in ogni direzione, una sorta di operatore eva­nescente che si fonde in quello spazio quasi scomparen­do, tanto che il punto cieco da cui si origina lo sguardo sembra appartenere all'immagine che produce. Un titolo perfetto per questo film sarebbe potuto essere quello che un altro grande filosofo eretico ha dato al suo ultimo scritto, poco prima di suicidarsi. Il filosofo è Gilles Deleuze e il titolo è L'immanenza: una vita. Infatti, se l'opera di Tarr risulta così lontana dalle esperienze che comunemente si hanno del cinema è perché in esso si tenta di cancellare tutti i possibili punti di trascendenza, tutti i piani di significato, di interpretazione, e di ritmo narrativo che in un film sono solitamente esplicitati o nascosti nelle immagini.
Non ci sono interstizi, non ci sono pieghe in cui il senso si annida, né è possibile ricondurre elementi o personaggi a strutture interpretative senza che esse appaiano assolutamente ridicole e inconsistenti un attimo dopo. È fin troppo chiara la volontà di una totale compattezza e impenetrabilità della materia filmica. Da un lato lo spazio è sempre pieno, tanto che anche nei campi "vuoti" all'aperto, l'aria si addensa e preme facendosi vento, dall'altro il tempo diventa qualcosa di concreto di cui si sente tutto il peso.
I giorni trascorrono, la vita peggiora, così il vecchio cerca salvezza dal disfacimento: prende con sé la figlia, il cavallo e il carretto e s'incammina oltre l'oriz­zonte; l'immagine sta, in attesa. Poco dopo i tre ricompaiono in lontananza, tornano indietro, non importa cosa abbiano visto; sebbene fosse già così fin dal primo momento, il film diventa adesso, anche narrati­vamente, un intervallo non misurabile tra la vita e la morte. Non si tratta più delle loro esistenze specifiche, ma di «un momento in cui "una" vita gioca con la morte e nient'altro. [...] Vita di pura immanenza, neutra, al di là del bene e del male" . (...)
Alessandra Mallamo, Cineforum n.512, 3/2012

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
Valid HTML 4.01! Valid CSS! Level A conformance icon, W3C-WAI Web Content Accessibility Guidelines 1.0 data ultima modifica: 07/23/2012
Il simbolo Sito esterno al web comunale indica che il link è esterno al web comunale