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Madre e figlio - Mat i syn


Regia:Sokurov Aleksandr

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Yuri Arabov; fotografia: Alexei Fyodorov; musiche: Mikhail Glinka, Otmar Nussio, Mikhail Ivanovich; montaggio: Leda Semyonova; interpreti: Gudrun Geyer (madre), Alexei Ananischnov (figlio); produzione: Thomas Kufus per O Film/Severnyi Fond; distribuzione: Istituto Luce; origine: Germania - Russia, 1997; durata: 75’.

Trama:In un paese di campagna, sono rimasti solo in due: la madre gravemente ammalata, debilitata nel fisico, priva di ogni energia e il figlio che la cura amorevolmente, la nutre, la fa sedere sulla panchina davanti casa e, ad alta voce, le legge ciò che è scritto in alcune cartoline. Insieme ripercorrono le tappe dell'infanzia di lui, quando lei lo sorvegliava costantemente per paura di perderlo. L'unico segnale di vita che giugne da fuori è il rumore di una locomotiva...

Critica (1):Ci sono film dai quali si esce con un’emozione forte, un senso di meraviglia per l’originalità della scrittura, di piacere per l’intensità della tessitura poetica. Il film di Sokurov è uno di questi e affascina altresì per la forma della ricerca iconografica. Sono le ultime ore della vita di una madre amorevolmente assistita dal figlio. Non ci sono altri personaggi; la casa isolata, il giardino, il bosco sono i paesaggi del commiato. La madre è prostrata, incapace ormai di muoversi; parla a fatica... una debole luce negli occhi, le membra già rilassate. Il figlio le è vicino, ne solleva delicatamente il corpo leggero e spento, la porta nel bosco per darle un po’ di respiro, per avvicinarle quei luoghi dove era solita passeggiare: figura minuta sotto le sagome dei grandi alberi, immersa nell’ombra, piccola cosa nel grande mondo della natura. Ora è distesa nella casa, su un giaciglio che sembra un sepolcro, il figlio che le parla di ricordi e le legge vecchie lettere e cartoline postali. Come se tutto fosse normale, per sfuggire al pensiero della morte. Fuori c’è l’autunno, i colori si accendono, la luce è morbida, magica, quasi irreale. La madre muore. Nuvole dense e nerastre sovrastano l’ultimo verde, prima che arrivi l’inverno. Il figlio adesso è solo, sul suo volto un dolore attonito e silenzioso.
Solo due personaggi nel film di Sokurov e un ultimo, disperato, atto d’amore: e la realtà è come sbilanciata nell’imminenza dell’evento. La morte è già lì, fin dall’inizio, e ogni cosa sembra risentirne. Il tempo viene trattenuto, perché quei pochi momenti che ancora mancano debbono scorrere tutti, affievolirsi pian piano, consumarsi come la luce di una candela. Il passaggio nel nulla ha la leggerezza del sonno. Ma i segni della sofferenza sono quelli delle pietà quattrocentesche, scavati nei volti, espressioni di un destino universale. Nell’immagine i colori sfumano e si impastano, confondendo i contorni : pennellate stese sull’assurdità dell’essere, forme dove si incontrano la natura e l’umana trascendenza. Bellissima è la sequenza dell’uomo che cammina nel bosco, rimpicciolisce allontanandosi, fino a diventare una piccola macchia che si confonde con quelle degli alberi, per scomparire del tutto
da Cineforum n. 364, 4/1997

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Aleksandr Sokurov
(Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di); (Progetto editoriale a cura di) Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet; Redazione Internet (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di); (Contenuti a cura di) Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema; Ufficio Cinema
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