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Figli - Hijos


Regia:Bechis Marco

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura
: Marco Bechis, Lara Fremder; fotografia: Fabio Cianchetti; musica: Jacques Lederlin, Daniel Buira; montaggio: Jacopo Quadri; scenografia e costumi: Caterin Giargia.; suono: Tullio Morganti; interpreti: Carlos Echevarria (Javier Ramos), Julia Sarano (Rosa Ruggeri), Stefania Sandrelli (Victoria Ramos), Enrique Piñeyro (Raul Ramos), Evita Ciri (Alessandra, fidanzata di Javier), Antonella Costa (Ana, la partoriente), Delia Caseaux (Julia Borman, l’ostetrica), Marcelo Chaparro (militare in borghese), Adrian Fondari (militare in borghese), Pablo Razuk (militare in divisa), Romina Paula (madre nel sogno), Santiago Traverso (padre nel sogno); produzione: Vittorio Cecchi Gori e Amedeo Pagani, per C. G. Group / Fin.Ma.Vi ./ Storie; distribuzione: Cecchi Gori; origine: Italia, 2001; durata: 100'.

Trama:Buenos Aires, 9 dicembre 1977. Una giovane prigioniera politica partorisce due gemelli. Uno viene consegnato agli sgherri del regime militare, l’altro è portato in salvo dall’ostetrica. Milano, 9 dicembre 2000. Javier figlio di un argentino e di un’italiana, è da qualche tempo in contatto via e-mail con Rosa, una coetanea di Buenos Aires convinta di essere sua sorella naturale. La ragazza arriva a Milano e riesce a incontrare il giovane, che ormai ha più di un dubbio sui presunti genitori. Insieme, Rosa e Javier decidono di raggiungere Barcellona, dove vive l’ostetrica che forse li separò all’atto della nascita e dove si dovranno sottoporre all’esame del DNA. Secondo le informazioni fornite dall’associazione Nonne di Plaza de Mayo, alla fine degli anni ’70 erano circa cinquecento i bambini sottratti dopo la nascita ai desaparecidos argentini. Di circa la metà non si è saputo più nulla e solo settantadue di loro sono stati individuati con certezza. Adesso hanno tra i venti e i venticinque anni. Sessantotto hanno deciso di vivere con i parenti dei genitori naturali e solo quattro sono rimasti nelle famiglie acquisite, di solito quelle di ufficiali della dittatura militare.

Critica (1):Parte da qui il film di Marco Bechis Figli/Hijos: o meglio, si ricollega al progetto del film precedente, Garage Olimpo, cercando di sviscerare un’altra pagina nerissima della storia argentina. A dire il vero le due pellicole dovevano essere ancora più legate e Bechis, che gira preferibilmente in continuità (ovvero rispettando la successione narrativa delle singole sequenze) pensava di realizzarle insieme utilizzando gli stessi attori. Poi esigenze produttive e la mancanza di una sceneggiatura unitaria hanno reso impraticabile l’operazione, sulla carta molto interessante. Restano tuttavia alcuni tratti comuni. Ad esempio l’ossessione della ricerca espressa attraverso la sensibilità dei protagonisti al richiamo dei legami familiari. I quali danno l’idea del forsennato desiderio di sopravvivere alla contingenza politica (in Argentina si vorrebbe definitivamente chiusa la riflessione sulla dittatura di Videla), recuperando le radici di una comunità (quella dei vari associazionismi legati al fenomeno della desaparicion, prima ancora di quella di un popolo) nata da una tragedia collettiva. Una madre che cerca una figlia (Garage Olimpo), una sorella che cerca un fratello (FiglilHijos): in quest’ultimo caso, scrive Adriano Sofri introducendo la sceneggiatura dei film, "la ferita dei figli è anche la ferita dei fratelli: di una sorella che cerca un fratello. Un’Antigone della sepoltura e del disseppellimento. All’ostetrica coraggiosa spetta il ruolo del pastore Polibo con il piccolo Edipo". La storia di Rosa sulle tracce di Javier, il presunto fratello, procede seguendo il formarsi di una reciproca identità, attraverso tappe psicologicamente molto dolorose: la sintonia generata dal coinvolgimento nella stessa drammatica esperienza; il viaggio metaforico da Milano a Barcellona per scoprire la verità incontrando l’ostetrica e sottoponendosi all’esame dei DNA; la conoscenza fisica dell’altro, che in questo caso non è altro da sé, raffigurata nella bella sequenza del disvelamento, a letto, dei propri corpi. L’esame genetico dà un risultato negativo ma alla fine del film vediamo ugualmente Javier sfilare a Buenos Aires insieme a Rosa e a molti "Hijos". Il legame di sangue, vero o presunto, non è più significativo perché conta la radice comune che lega Javier alla storia degli altri. E il discorso si può ampliare: da Javier allo spettatore, idealmente chiamato a partecipare a quella manifestazione che cerca di far emergere orrori che riguardano tutti.
Le radici, dunque, e il rimosso. Non a caso il libro di Marco Bechis si intitola Filmare la violenza sotterranea. Nella metafora c’è naturalmente un dato oggettivo ed è lo stesso regista a suggerirlo in un passaggio dei testo: "(...) l’Argentina del 1978 durante i mondiali di calcio, trecento campi di concentramento sotterranei e migliaia di giornalisti di tutto il mondo a seguire una partita". Con Garage Olimpo e Figli/Hijos il regista italo-cileno, nato e vissuto per vent’anni in Argentina, sembra quasi voler risarcire il nostro debito di verità denunciando la cecità degli occhi del mondo (un mondo complice, purtroppo) oggi come allora. E subito dopo facendo riemergere le tracce dell’orrore, gli indizi e la sporcizia della Storia. La sua sfida giustifica molte scelte estetiche e ideologiche. I prigionieri incappucciati e bendati di Garage Olimpo o l’atteggiamento di Javier, che all’inizio di Figli/Hijos si ostina a non voler sapere/vedere. I primi alla cecità sono costretti: in quanto oppositori politici, avevano come grande colpa proprio quella di avere guardato troppo, e con lucidità, nel cuore del regime. Il secondo è invece reso cieco dalla capacità di mimetizzazione del male. In questo senso Stefania Sandrelli e Enrique Pineyro, rispettivamente madre e padre di Javier, sono straordinarie maschere dell’orrore reiterato, burocratizzato, inconsapevole.
Anche l’opacità della fotografia di Figli/Hijos (ottimo l’operatore Fabio Cianchetti) si pone come filtro e ostacolo allo sguardo, che fatica ad andare oltre la nebbia, il freddo palpabile o l’umidità dell’inverno brianzolo (splendida la sequenza che mostra Javier e il padre in barca, a pesca) o di quello assai più impenetrabile che ottenebra le coscienze.
Mauro Gervasini, Segnocinema, n. 112, novembre-dicembre 2001

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Marco Bechis
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