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Dolce vita (La)


Regia:Fellini Federico

Cast e credits:
Soggetto
: F. Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli; sceneggiatura: F. Fellini, E. Flaiano, T. Pinelli, Brunello Rondi; fotografia: Otello Martelli; scenografia e costumi: Piero Gherardi; musica: Nino Rota; montaggio: Leo Cattozzo; interpreti: Marcello Mastroianni (Marcello), Anita Ekberg (Sylvia), Yvonne Fourneaux (Emma), Anouk Aimée (Maddalena), Walter Santesso (Paparazzo), Alain Cuny (Steiner), Annibale Ninchi (il Padre di Marcello), Valeria Ciangottini (Paola, la cameriera della trattoria), Adriana Moneta (la prostituta), Totò Scalise (il produttore), Harriet White (la segretaria di Sylvia), Lex Bèrker (Robert), Adriano Celentano (se stesso), Gio Staiano (un giovane effeminato), Alex Messoyedof (il prete del miracolo), Magali Nöel (Fanny), Polidor (il clown) Giulio Questi (don Giulio Mascalchi), Eugenio Ruspoli (don Eugenio Mascalchi), Audrey McDonald (Sonia), Doris Pignatelli (la signora col mantello bianco), Loretta Ramaciotti (la donna della seduta spiritica), Giulio Girola (il commissario), Nadia Grey (Nadia), Mino Doro (l’amante di Nadia), Antonio Jacono e Carlo Musto (i due travestiti), Jacques Semas (il divo), Laura Betti (Laura), Riccardo Garrone (il padrone della villa di Fregene), Mario Conocchia (un partecipante all’orgia), Enrico Glori (l’ammiratore di Nadia), Franca Pasut (la ragazza bionda); produzione: Riama Film / Pathé Consortium;origine: Italia, 1960; durata: 173’.

Trama:Marcello è un giornalista che scrive per un rotocalco articoli mondani, in cui figurano fatti e personaggi, noti nell’ambiente di Via Veneto. L’attività professionale ha portato il giornalista ad adottare un sistema di vita molto simile a quello dei suoi personaggi. Così egli passa con indifferenza da una relazione all’altra: mentre convive con Emma non rinunzia ad altre avventure. Ha una temporanea relazione con Maddalena, giovane ricchissima, annoiata della vita, sempre in cerca di sensazioni. L’arrivo di Sylvia, celebre attrice americana, dà occasione a nuove esperienze sentimentali del giornalista. Per dovere professionale Marcello si occupa di una falsa apparizione della Madonna, inventata da due bambini dietro istigazione dei genitori; indi partecipa ad una festa organizzata da alcuni membri della nobiltà che gli dà modo di accertare il basso livello morale di quell’ambiente. Marcello è amico di Steiner, un intellettuale che riunisce nel suo salotto artisti e letterati. La felice vita familiare dell’amico impressiona favorevolmente il giornalista, il quale accarezza l’idea di sposare Emma per iniziare con lei un’esistenza più regolare e tranquilla. Ma egli apprende dopo qualche tempo che Steiner, in una crisi di sconforto, si è ucciso, dopo aver soppresso i suoi due bambini. Per superare l’orrore destato in lui dal tragico fatto, Marcello, si getta, senza alcun ritegno, nel turbine della vita mondana. Dopo un’orgia, che ha lasciato in tutti tedio e disgusto, Marcello incontra per caso sulla spiaggia una giovanetta dallo sguardo limpido e innocente, e cerca invano di capire quanto ella gli dice; un canale li divide e non afferra le sue parole, perciò segue i suoi squallidi amici.

Critica (1):Crudeltà d’analisi, partecipazione di sentimenti, impeto visionario si accavallano e si confondono in questo terribile e affascinante polittico su una moderna Babilonia [...] Il fatto che egli esprima i suoi giudizi e le sue condanne con una profonda partecipazione all’umanità dei suoi personaggi anche dei più abbietti e che, cioè, mettendosi al loro posto scopra le loro ragioni che poi sono le proprie è un altro segno della vitalità, della forza e della pietà che il suo film possiede in alto grado.
Morando Morandini, Schermi, a. III, n. 20, gen.-feb. 1960

Critica (2):Reduce dai successi e dai riconoscimenti dei suoi primi sette film, Fellini a trentanove anni, gioca la carta più rischiosa della sua carriera, decide di non raccontare più storie ambientate in un paese appena uscito dalla guerra, ma di osservare il paese nuovo, che sta vivendo il boom e attraversando un'epoca di profonda trasformazione. Lo fa in modo clamoroso, con un film inimitabile - di inusuale lunghezza rispetto ai film italiani del periodo - usando, per la prima volta il cinemascope, scegliendo attori, per lui, tutti nuovi, sbriciolando ogni regola del racconto. "Dobbiamo fare una scultura picassiana, romperla a pezzi e ricomporla a nostro capriccio" dirà, programmaticamente, a Tullio Pinelli e Ennio Flaiano, i suoi sceneggiatori. Il tentativo è così imponente, innovativo e rischioso che lo adottano e poi lo ab-bandonano una girandola di produttori, tra i quali due fuoriclasse che già avevano lavorato con lui, Dino De Laurentiis e Goffredo Lombardo. Alla fine sarà un ma-turo e abile produttore a non avere paura, Giuseppe Amato, con l'appoggio e la forza finanziaria di Angelo Rizzoli. Il primo ciak viene battuto il 16 marzo '59, l'ultimo in agosto: cinque mesi irripetibili. Fellini è così abile che trasforma le riprese in un evento mediatizzato. La dolce vita è il primo film che diventa un evento molto prima di essere un film. Il set è frequentato da tutta Roma, che si mette in fila, per vedere come sarà rap-presentata.
È l'Italia che si appresta a celebrare con le Olimpiadi di Roma un'epoca nuova. (...) Il film racconta quest'atmosfera, con un cast stellare e una delle protagoniste delle notti romane, Anita Ekberg, Miss Svezia nel 1950, regina delle copertine dei rotocalchi di mezzo mondo. Fellini si propone di realizzare la radio-grafia della mutazione di un'epoca. Di raccontare la vita così come la rappresentano i nuovi media e, nel costruire il racconto, si appropria, per molti episodi, degli scoop dei fotoreporter. L'episodio di Anita nella fontana era stato fotografato da Pierluigi Praturlon nel '58, mentre Tazio Secchiaroli, il re dei fotoreporters di Via Veneto, sempre nel '58, aveva fotografato lo spogliarello di Aiché Nanà in un locale notturno alla moda, molto frequentato dalla Roma bene. Ma anche l'episodio della scazzottata in via Veneto e dei due bambini che sostengono di aver visto la Madonna, erano stati celebri servizi fotografici. La dolce vita è, programmaticamente, una lettura esatta della mediatizzazione dell'I-talia, quasi un saggio sulla manipolazione dell'informazione e dell'immagine. (...) È un viaggio attraverso il disgusto. A intro-durci in questo mondo nuovo, invaso dal consumo, dal culto dello scandalo, da una religiosità isterica e in malafede, popolato da una nobiltà esausta, da una borghesia cinica e corrotta, da intellettuali che ascoltano, in salotto, i suoni registrati della natura, è Marcello Rubini, cronista mondano che scrive per un rotocalco "semifascista" (dirà Steiner), ben inserito in Vaticano e nei luoghi giusti. Un po' ripugnato da quel mondo, ma molto lusinga-to, blandito, affascinato. Forse vorrebbe esserne un testimone, ne è invece un complice. La faccia leale di Mastroianni ci fa accettare la sua meschina passività, al limite della cialtroneria, e ci illude che, nonostante tutto, la vita possa avere una sua profonda dolcezza.I personaggi del film, pur immersi in un perenne movimento, sono immobili, tranne Steiner, il 'maestro', predicatore ed enigmatico, che sceglie la morte, per sé e per i suoi figli. (...) Forse l'unico personaggio positivo del film è proprio Sylvia, con la sua animalesca incoscienza, il suo indifeso candore, che la fa ululare, beata, nella notte. Dell'incontro con Anita, Fellini scriverà "quel senso di meraviglia, di stupore rapito, di incredulità che si prova davanti alle creature eccezionali come la giraffa, l'elefante, il baobab lo provai anni dopo quando nel giardino dell'Hotel de la Ville la vidi avanzare... Sostengo che la Ekberg, oltretutto, è fosforescente." Nel film tutto è fosforescente. Tutto luccica, specchi, occhiali, macchine, super-fici riflettenti, il ballerino coperto di foglie d'oro. Tutto è prezioso, patinato e fluido, il fantasmagorico e bruciante mondo animato da mille personaggi, la continuità dei movimenti di macchina e di quelli interni alle inquadrature. Via Veneto ricostruita da Piero Gherardi a Cinecittà, identica alla realtà, ma in piano, senza salita! La fotografia ultradefinita di Otello Martelli, la musica ipnotica di Nino Rota, la ricchezza del doppiaggio, della colonna sonora, con mille voci e una varietà stereofonica di rumori. La forza del film, il genio di Fellini, sta nella sua capacità di stordirci, di sorprenderci, ma anche nel tenerci per mano, nel comunicarci una sensazione confusa e voluttuosa di abbandono, un mood, che vince le asperità del contenuto. (...) La dolce vita è anche uno sberleffo all'Italia provinciale e conservatrice. Mentre il film sta per uscire, il paese si spacca in due, anatemi dai pulpiti, interpellanze in Parlamento, litigi nelle famiglie, sui giornali campagne stampa furibonde. Alla prima proiezione a Milano sputano addos-so a Fellini. Altri esagitati gridano a Marcello, 'vigliacco, vagabondo, comunista'. Ma l'attesa è talmente alta che Rizzoli e Amato decidono portare, per la prima volta, il prezzo del biglietto a Mille Lire. La folla, per paura che i prefetti sequestrino il film, sfonda le porte e inonda le sale italiane. Fellini aveva visto giusto, l'Italia voleva vedersi in quello specchio preciso e apparentemente bellissimo che, da grande illusionista, aveva creato. Il finale del film è aperto. Nella faccia angelica di Paolina può starci tutto, la malizia, ma anche il perdono. Su quella spiaggia, lasciandosi alle spalle il mostro marino che segue Fellini fin dall'infanzia e che ancora non riesce a guardare da vicino, Marcello è ebbro di storie che gli sono scorse addosso senza che abbia saputo trattenerle, forse ha voglia di addormentarsi. Fellini invece, che ha trovato, in Mastroianni il suo doppio e, in Cinecittà, una casa, sta per liberarsi di tutto questo fardello; il vero racconto, che lo occuperà per trent'anni, quello dei suoi sogni, sta per iniziare. Al mondo mediatizzato saprà opporre la libertà del suo inconscio.
Gian Luca Farinelli, cinetecadibologna.it

Critica (3):Deludendo puntualmente amici e giornalisti ho sempre detto che la Roma de La dolce vita era una città interiore e che il titolo del film non aveva nessuna intenzione moralista o denigratoria, volevo soltanto dire che nonostante tutto la vita aveva una sua dolcezza profonda, irrinnegabile... Non mi sembra di aver mai avuto l'intenzione di denunciare, criticare, fustigare, fare della satira; non ribollivo di insofferenze e di sdegni, di rabbie: non volevo accusare nessuno. Via Veneto? Mai frequentata. Non credo di averne mai parlato neanche una volta con Flajano, di via Veneto. La sequenza dei nobili? L'ho aggiunta durante le riprese, suggestionato da certi racconti che mi faceva Brunello Rondi gran frequentatore di parties e feste nelle case dei patrizi romani. L'orgia finale? Credendo che Pasolini fosse un competente di orge, una sera lo invitai a cena. Ma Pier Paolo mi disse subito che gli dispiaceva ma di orge borghesi non sapeva niente, non vi aveva mai partecipato. "E non conosci nessuno che vi partecipa?", gli chiedevo. No, non conosceva nessuno. Jacopetti? Ma in quel momento era in Africa. Iniziai la sequenza senza un'idea. Sistemavo gli attori, suggerendo poco convinto atteggiamenti di deboscia. Avevo un'assistente olandese, una bella ragazza che mi seguiva con occhi attenti e fiduciosi nell'attesa eccitata di vedermi produrre chissà quali stregate turpitudini. Dopo due ore l'ho sentita che mormorava delusa: "Vuole fare il porco e non lo sa fare"... Mi rendo conto che La dolce vita ha costituito un fenomeno che è andato al di là del film stesso. Dal punto di vista del costume; ma anche forse di qualche innovazione: era il primo film italiano che durava tre ore e tutti, anche gli amici, volevano che lo tagliassi. Ho dovuto difenderlo con le bombe. Io l'ho fatto come faccio tutti i film: per liberarmene e soprattutto per la mia spudorata voglia di raccontare. Mi pare che il nutrimento, anche per quanto riguarda la formazione delle immagini, fosse rappresentata dalla vita proposta dai rotocalchi, L'europeo, Oggi; insensate passerelle di aristocrazia nera e fascismo, quel loro modo di fotografare le feste. E quella loro estetizzante impaginazione. I rotocalchi sono stati lo specchio inquietante di una società che si autocelebrava in continuazione, si rappresentava, si premiava; di una nobiltà papalina, nera e contadina, che prendeva il Caravelle e si faceva fotografare su Lo specchio. Una vecchia Italia seicentesca e codina che si incrociava con quella dei Nastri d'Argento e sulla quale mi piaceva esercitare una mia propensione a fare sberleffi. Ma come potevo spiegarlo, tutto questo, a quella vecchia vestita dì nero, con paglietta, trine e nastri, che un paio di mesi dopo l'uscita del film, quando lo scandalo era scoppiato e L'osservatore romano ogni giorno scriveva cose di fuoco contro La dolce vita e il suo autore, e si parlava di ritirare il visto di censura dal film... Cosa potevo dire a quella vecchína che, precipitatasi fuori da una lussuosa Mercedes nera, rifiutando l'aiuto dell'autista che voleva sorreggerla, ha attraversato come un topo piazza di Spagna per raggiungermi e attaccarsi alla mia cravatta coma alla corda di una campana, rantolandomi sulla faccia: "meglio legarsi una pietra al collo e affogare nel più profondo dei mari piut
tosto che dare scandalo alle genti!" Sorreggendola insieme all'autista l'ho riaccompagnata alla macchina, dandole ragione; e davvero mi sentivo un po' turbato. Come quell'altra volta che a Padova, alle due di un pomeriggio di agosto, solo soletto, ho visto sul portale di una chiesa un enorme manifesto listato a lutto con sopra scritto: "Preghiamo per la salvezza dell'anima di Federico Fellini pubblico peccatore".
Federico Fellini, Intervista sul cinema a cura di Giovanni Grazzini, Laterza 1983

Critica (4):Forse oggi rende nostalgici l'idea che neanche tanto tempo fa si potesse guardare alla vita e definirla dolce... A una certa età confidi con maggiore sicurezza nell'esperienza artigianale. Perciò se dovessi rifare oggi La dolce vita (scusa se ti anticipo, è la domanda che mi rivolgono tutti) certo che la farei diversa. Come se potessi rivivere oggi i miei 39 anni: li vivrei diversamente. Un'altra domanda inevitabile ogni volta che si parla di un mio film è se sono soddisfatto. Sì, sono soddisfatto, perché ho tirato avanti un anno e mezzo vivendo e lavorando alla mia maniera. Di solito il film che volevo fare, ahimè, non lo ricordo, ma verso quello che ho fatto provo una sorta di solidarietà. È stato sempre così, anche ai tempi de La dolce vita. Come se qualcuno mi chiedesse "sei soddisfatto?" mentre guardo la mia mano. Risponderei: "Che vuol dire? È la mia mano".
Tullio Kezich, intervista a Federico Fellini, Corriere della Sera 26 novembre 1989
Federico Fellini
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