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Ora sola ti vorrei (Un')


Regia:Marazzi Alina

Cast e credits:
Montaggio
: Ilaria Fraiol; immagini d'archivio (1926 - 1972): Ulrico Hoepli; montaggio del suono: Benni Atria; suono: Remo Ugolinelli, Alessandro Feletti; produzione: Venerdì e Bartlebyfilm in coproduzione con RTSI Televisione Svizzera, con la partecipazione di TELE+; origine: Italia - Svizzera, 2002; durata: 55'.

Trama:Mia madre è nata nel 1938 ed è morta nel 1972, quando io avevo 7 anni. Non ho molti ricordi di lei, ma ho sempre saputo che in un armadio in casa dei miei nonni era rinchiusa tutta la memoria visiva della nostra famiglia. In questo armadio sono conservate delle scatole di vecchie pellicole, filmati girati dal padre di mia madre tra il 1926 e gli anni '80, con una cinepresa amatoriale 16 mm. È solo qualche anno fa che ho avuto il coraggio di cominciare a guardare questi filmati, con grande curiosità ed emozione, soprattutto quelli segnati con una "L", l'iniziale del nome di mia madre: Liseli. Come per una magia, in un attimo, quella misteriosa e sconosciuta persona proiettata sullo schermo davanti a me era come se fosse viva. In un secondo ero catapultata nel passato, all'epoca in cui viveva una madre conosciuta poco e molto dimenticata.Il film inizia con la registrazione sonora di un disco 45 giri con la vera voce di mia madre che mi parla; il resto del racconto intreccia la lettura di lettere e diari di mia madre e delle cartelle cliniche delle case di cura in cui mia madre ha trascorso lunghi periodi. Attraverso questi testi è possibile ricostruire per intero la sua vita , nei suoi vari periodi: l'adolescenza, l'amore, i figli, la malattia, il disagio esistenziale.

Critica (1):Inizia lieve il percorso della memoria di Alina. Ci sono i filmini d'epoca, quelli girati dal nonno Hoepli, la storia dei nonni e poi della mamma, e poi della mamma in coppia col papà e poi i bambini, il fratellino prima e poi lei. E belle case, la borghesia milanese, le montagne svizzere, giardini pieni di sole, di fiori e di felicità, palpabile. Vacanze, matrimoni, i filmini girati per le occasioni, per lasciare traccia, ricordi fisici di una giovinezza viva. Visi belli, delicati, illuminati, sorrisi, dolcezze di bambini che giocano. Che cosa si inceppa a un certo punto? Qualcosa porta la giovane Liseli, bellissima, solare, a incupirsi, a scartare di lato, ad affondare sempre più giù, e non servono a niente psicoterapie, farmaci, cliniche svizzere di grande nome, a niente. La depressione come male di esistere, come nonsenso, come scacco, la porta sempre più lontano. E qui il percorso di Alina si fa corpo, parola della madre. La sua voce legge le lettere che la madre Liseli mandava al marito, ai genitori, ai bambini durante i sempre più lunghi soggiorni in clinica; scorrono sotto gli occhi le immagini di cartoline, trucchi per l'assenza. Legge i diari impietosi, li avvicina a fotografie che da ridenti si fanno tristezza diffusa, ansia in movimento fermo. Gli occhi di Alina grande vedono ora quello che Alina piccola non poteva vedere: la madre che si perde, che scivola via, che non ce la fa. Ed è con un amore sconfinato nel tempo che l'accompagna, che si/ci accompagna, che la incontra e la fa incontrare: un percorso di conoscenza, di pietas e di allegria, la domanda è sospesa - la risposta è impossibile - con una voce che attraversa il tempo ed entra nelle nostre voci, in quelle che risuonano nella stanza dell'analisi, in parole che prendono corpo. E il corpo-psiche di Liseli non resiste, a un certo punto cade nel vuoto, dall'alto di un palazzo, rimbalza sulle pagine di cronaca, angelo a capofitto. Alina tutto documenta, tutto vuol sapere, tutto racconta con pudore, rispetto; libera Liseli dalla prigione del silenzio in cui era confinata; amiamo in lei questa madre perduta, vediamo in lei anche le altre che non ce la fanno, e le nostre parti interne sofferenti trovano modo di sciogliersi in pianto. (...)
Alina è la piccola Antigone che accompagna nel lutto e le immagini di Liseli ragazza ridente, giovane Core ma anche coraggioso guerriero Polinice che sfida il potere e ne muore, non se ne vanno dai nostri occhi. (...) Una vecchia canzone, "un'ora sola ti vorrei per dirti quello che non sai ed in quest'ora ti direi quello che sei per me", è il filo che ci conduce, la voce della memoria, il desiderio di far tornare indietro i filmini, di fermare il tempo un po' prima, di raccontarsi l'una con l'altra quello che non si sa, come in sogno (...).
È la narrazione emozionata della storia, della madre e della figlia, del loro perdersi e ritrovarsi, Demetra con Core, e la figlia Alina si fa madre della madre Liseli, e così la ritrova come madre.
Il percorso analitico segue le stesse tappe che Alina ci mostra in immagini e voci e visioni, e le parole sono inadeguate spesso, almeno fino a quando non diventano poetiche. A volte, quando ci si trova dentro un lutto fisico e più spesso psichico, chiedo di vedere insieme ai pazienti le fotografie, quello che è rimasto impresso dell'infanzia, e sempre si trovano tracce, piste, scorci che aprono ricordi, fantasie, nuovi modi di raccontare, e così riaprire proprio a quella strana speranza viva che ci fa solo bisbigliare "chi sa cos'è che inghiotte la terra". (...)E pare di vederla la storia, così come Alina ci mostra la sua: case, strade, famiglie, alberi che da piccoli diventano grandi, bambini con gli occhi smisurati, e poi seguendo una voce, un incantesimo, una maledizione, qualcuno chiude una porta e se ne va, di scatto.
Lella Ravasi

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Alina Marazzi
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