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Campo (ll) - Campo (El)


Regia:Belón Hernán

Cast e credits:
Soggetto e sceneggiatura: Hernán Belón, Valeria Radivo; fotografia: Guillermo Nieto; musiche: Antonio Fresa, Luigi Scialdone; montaggio: Natalie Cristiani; scenografia: Walter Cornás; costumi: Anna Franca Ostrovsky; suono: Jésica Suárez; interpreti: Leonardo Sbaraglia (Santiago), Dolores Fonzi (Elisa), Matilda Manzano (Matilda), Pochi Ducasse (Odelsia), Juan Villegas (Alberto); produzione: Joana D'alessio, Hernán Belón, Giorgio Magliulo, Luciano Stella, Thierry Lenouvel er Bastiana Films, in coproduzione con Skydancers-Cine-Sud Promotion in collaborazione con Cinecittà Luce-Zona Audiovisual, con il sostegno di Incaa-Instituto Nacional De Cine Y Artes Visuales; distribuzione: Cinecittà Luce; origine: Argentina-Italia-Francia, 2010; durata: 85’.

Trama:Per sfuggire al logorio della vita moderna, Santiago, Elisa e la piccola Matilda decidono di trasferirsi in una casa in campagna. Giunti sul posto, il luogo si presenta con il decadente fascino di una casa da lungo tempo disabitata e, mentre Santiago ne è entusiasta, Elisa avverte, senza riuscire a spiegarselo, uno strano senso di inquietudine. Con il passare dei giorni l'agitazione di Elisa aumenta: i vicini molto strani, la calma e la desolazione del luogo, la percezione sempre più forte che qualcosa, fuori e dentro la casa, si muova e stia occupando la sua vita. Ma soprattutto il comportamento di Santiago che appare mutato, come se si trattasse di una persona diversa. Nello stesso tempo, Santiago non riesce a capire cosa stia succedendo alla sua compagna, tanto che il loro rapporto inizia a incrinarsi e nulla sarà più come era prima...

Critica (1):Elisa e Santiago, coppia argentina con bimba al seguito, si trasferiscono nella periferia agricola di Buenos Aires, in cerca di un locus amoenus dove costruire il proprio futuro partendo da zero. Il documentarista Belón catapulta lo spettatore in un’atmosfera da incubo privato, restituita da nebbiose e incerte inquadrature iniziali di chiaro gusto horror. La tranquillità della nuova casa pare nascondere inquietanti attività delle quali il sound design si incarica di riflettere la carica emotiva. Cigolii metallici, tonfi leggeri e improvvisi: Elisa diviene suscettibile all’intrusione sonora, capace di caricare anche i più banali rumori domestici di referenti altri, spettrali e dunque insondabili. Su stilemi risaputi – dalla pregnanza del fuoricampo uditivo al tema dell’isolamento, dai vicini
ingombranti e “strani” all’indefinito terrore strisciante – Belón innesta però una variazione spiazzante, utilizzando il registro thriller come semplice controtempo su una partitura a toni melodrammatici. Quella che si consuma nel casolare di campagna (il campo del titolo) non è una discesa nella paura, bensì una seduta di analisi di coppia coraggiosa nelle intenzioni ma di banale restituzione in sceneggiatura. La condizione di solitudine porta allo scoperto, come da copione, le pulsioni, i nervi, l’inconscio. L’isteria indotta dal contesto comporta la scissione interna di Elisa, con deviazione schizoide dal progetto di vita condiviso. Se la sera vuole un altro figlio da Santiago, la mattina chiede la separazione dopo aver visto il marito uccidere (involontariamente?) una lepre incinta: saltano le coordinate e l’alienazione prende il sopravvento. La narrazione rurale si avvale di un’ottima regia d’ambiente, sospesa nel (non) tempo cadenzato e monocorde del (non) luogo. La lentezza del racconto, pienamente motivata dalle esigenze drammatiche, è sostenuta da una grande libertà nel montaggio e nei tagli dell’inquadratura, e viene talvolta interrotta da incursioni energiche nella sfera sessuale della coppia. A El campo manca soltanto il guizzo dell’imprevedibilità, quello scarto capace di trasformare una lineare vicenda di crisi domestica in un’opera capace di bucare l’immaginario e in esso trovare stabile domicilio. Gli ammiccamenti di genere andavano in questa direzione, ma forse sono stati abbandonati troppo presto a beneficio di una vicenda già vista.
FilmTv.it

Critica (2):Opera prima di un quarantenne regista argentino che finora aveva diretto soprattutto documentari. Anche qui si avverte l'impronta documentaristica, soprattutto nell'attenzione riservata agli spazi aperti della campagna (el campo, appunto) che circonda la casa in cui va ad abitare una giovane coppia con una bimba piccola. C'è subito contrasto fra i due: lui, Santiago, ha scelto di vivere lontano dalla città, mentre lei, Elisa, non è così convinta della soluzione adottata. La solitudine imposta come condizione abituale alla donna peggiora la situazione. Il grande spazio all'aperto induce un senso di vuoto, e i "vicini", che vivono in realtà al di là di un bosco, appaiono come presenze inquietanti. La notte, poi, si popola di rumori e sibili insinuosi. I rapporti fra i due coniugi si deteriorano prima lentamente, poi in modo più pronunciato. Le presenze degli altri sembrano minacciose, la cura della figlia appare per la madre più pesante, l'aria intorno alla famiglia si fa greve. Una situazione che, al cinema, conosciamo già bene. Ci aspetteremmo una svolta narrativa, un colpo di scena destabilizzante, la resa concreta e manifesta di una alterità (esterna o interiore che sia): in fin dei conti le premesse ci sono tutte (almeno per una piccola produzione che si rispetti), e vengono ben scandite nella prima parte del film. Ma qui non succede nulla, proprio nulla. E non siamo certo, dal punto di vista sia visivo che concettuale, all'Antonioni degli anni Sessanta! Si registra e si descrive correttamente una situazione (di straniamento in un rapporto di coppia, di crisi da isolamento, di timori ancestrali). Punto. (...) Lo svolgimento finale è all'insegna della riconciliazione. Neanche i fantasmi a lungo evocati (e invocati dal pubblico!) riescono a smuovere i protagonisti dalla loro consuetudinaria apatia.
Pierpaolo Loffreda, Cineforum n. 508, 10/2011

Critica (3):

Critica (4):
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