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Rapporto confidenziale - Mr. Arkadin / Confidential Report


Regia:Welles Orson

Cast e credits:
Sceneggiatura
: Orson Welles, dal suo romanzo “Monsieur Arkadin” (edizione italiana: Il Signor Arkadin, Garzanti 1956/1978); fotografia: Jean Bourgoin; montaggio: Renzo Lucidi; musica: Paul Misraki; suono: Jacques Lebreton, Jacques Carrére; scenografia e costumi: Orson Welles; voce del narratore: Orson Welles; interpreti: Orson Welles (Gregory Arkadin), Paola Mori (Raina), Robert Arden (Guy Van Stratten),Akim Tamiroff (Jacob Zouk), Michael Redgrave (Burgomil Trebitsch), Patricia Medina (Mily), Mischa Auer (Radzinski), Katina Paxinou (Sophie), Jack Watling (marchese di Rutleigh), Grégoire Aslan (Bracco), Peter van Eyck (Thaddeus), Suzanne Flon (baronessa Nagel), Frédéric O’Brady (Oskar); nell’edizione spagnola: Irene Lopes de Heredia (Sophie), Amparo Rivelles (baronessa Nagel); produzione: Louis Dolivet, per Mercury Productions/ Film Organisation, in collaborazione con Filmorsa/Cervantes Film/Sevilla Studios; distribuzione: Lab 80 Film (versione originale sottotitolata); origine: Francia/Spagna, 1955; durata: 100’.

Trama:Van Stratten un ambiguo seduttore, avvicina la figlia del ricchissimo Arkadin, con lo scopo di arrivare al padre e ricattarlo con delle false accuse. Arkadin decide di servirsene. Asserisce di non ricordarsi nulla della sua giovinezza e di non sapere quali sono le origini della sua fortuna miliardaria: incarica Van Stratten delle indagini sul suo passato e intanto lo tiene d'occhio nelle sue investigazioni in giro per il mondo. Nel suo piano però è ostacolato dall'amore esclusivo per la figlia.

Critica (1):Un certo re, grande e potente, chiese una volta ad un poeta: «Cosa posso darti di tutto ciò che possiedo?» Egli rispose saggiamente: «Qualsiasi cosa, sire... tranne il vostro segreto». Plutarco (didascalia d’apertura di Mr. Arkadin) Qualche mese dopo l’uscita sugli schermi italiani dell’operazione – It’s All True (passata per la verità un po’ in sordina, in proporzione alla portata dell’evento), la Lab 80 concede al popolo wellesiano un’altra chance riportando alla visibilità – in versione originale e debitamente sottotitolata per l’occasione – uno dei film più vertiginosi, frenetici e debordanti mai concepiti da mente umana: Mr Arkadin (meglio conosciuto in Italia col titolo “alternativo” di Rapporto confidenziale). Pur rendendomi perfettamente conto del pericolo che comporta il mancato controllo dell’aggettivazione, credo che i tre termini che ho utilizzato riescano almeno in parte a catturare l’impatto che questa pellicola è ancora in grado di sprigionare a oltre quarant’anni dalla sua prima comparsa. Del resto, è anche accaduto che in un passato più o meno recente le medesime attribuzioni venissero usate con intenzionalità tutt’altro che apologetiche: non è poi trascorso molto tempo dall’epoca in cui uno dei rimproveri più frequentemente mossi da certa critica non solamente a Mr. Arkadin, ma all’intero corpus wellesiano consisteva proprio nella presunta mancanza di “organicità”, di una forma “chiara e distinta” e come tale più agevolmente sezionabile e classificabile. Per questa ragione, senza pretendere di aggiungere alcunché di nuovo all’immenso fiume d’inchiostro speso a proposito di uno dei tre o quattro individui (togliamoci il dente e scriviamo la parola impronunciabile: geni) che hanno davvero inventato qualcosa nella cosiddetta settima arte, bisognerà pur ribadire che, se esiste una qualità che proietta il cinema di Welles fuori da ogni contingenza, in una sorta di permanente modernità, è esattamente la sua essenza metastabile, variabile e “incompiuta”. Infatti, con la significativa eccezione di Quarto potere, non esiste opera wellesiana che – sia per le circostanze della sua realizzazione, sia per la sua intrinseca natura, come nel caso di Mr. Arkadin – presenti una fisionomia “definitiva” o comunque completamente rispondente alle intenzioni (reali o dichiarate) del suo autore. Di queste caratteristiche Mr. Arkadin rappresenta, insieme forse all’Orgoglio degli Amberson, il paradigma perfetto: ancora nel 1984, un anno prima della sua morte, Welles sosteneva che questo film gli era stato sottratto e massacrato da un montaggio che considerava lontano anni luce da quello che lui aveva in testa. Si può allora affermare che il Mr. Arkadin che stiamo per (ri)vedere è veramente “quel” Mr. Arkadin? Forse è giunto il momento di riconoscere che si tratta davvero di una questione secondaria. Non che improvvisamente la filologia sia diventata un optional, ma come si può continuare a parlare di “unicità” per un film che, come accadeva sistematicamente decenni fa, già in origine viene girato con attori diversi per gli stessi ruoli (nella versione spagnola, per esempio); del quale si conoscono un numero imprecisato di découpage differenti; che prende spunto da un romanzo che ufficialmente è stato scritto dallo stesso regista, ma di cui Welles (che è sempre stato un “affabulatore”, uno storyteller, e di conseguenza anche un prestigiatore, un illusionista: insomma, un contaballe) sostiene di non sapere niente? Quindi Mr. Arkadin, come tutta la filmografia di Welles (e come forse è avvenuto solo per Fassbinder, o per Ruiz) sta alla storia del cinema come una specie di equivalente del principio di indeterminazione della fisica o di incompletezza per la matematica: un’entità fluida e mutante, della quale la critica, anziché irritarsi per il venir meno della compattezza del suo oggetto, dovrebbe constatare la profonda contemporaneità. Come se Welles avesse prefigurato – suo malgrado – la possibilità di attraversare un testo in tante direzioni virtuali: un’idea che la tecnologia sta trasformando in realtà, e di cui si dovrà per amore o per forza, anche semplicemente vedendo un film (e in particolare questo film), tenere conto. [...]
Marco Borroni, Cineforum n. 353, aprile 1996

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
Orson Welles
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