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Latino Bar - Latino Bar


Regia:Leduc Paul

Cast e credits:
Soggetto: dal racconto "Santa" di Federico Gamboa; sceneggiatura: Paul Leduc, José Joaquin Blanco; fotografia: Josep Maria Civit; musica: brani di Joan Albert Amargos, Consejo Valiente, J. Antonio Mendez, Beny More, Gerardo Batiz, Tabu Ley Rocherau; montaggio: Marisa Aguinaga; scenografia: Haidée Pino; suono: Victor Luckert; interpreti: Dolores Pedro, Roberto Sosa, Antonieta Colon, Norma Prieto, Cecilia Bellorin, Milagros Carias, Lisette Solorzano, Janet Thode, Dianina Vargas, José Elias Moreno, Raul Medina, Marcos Moreno; produzione: J. A. Perez Ginerper Opalo Films/Universidad de los Andes/ICAIC/ TVE/Channel 4; distribuzione: IMC; origine: Spagna, Venezuela, Cuba, 1991; durata: 80'.

Trama:In un locale della costa sudamericana, popolato per lo pia da prostitute e uomini volgari e violenti, si incontrano un ragazzo e una giovane donna. Fuori ci sono fame, repressione, omicidio. Nel bar, e anche fuori, nessuno parla. Tra l'uomo e la donna riesce faticosamente a sbocciare l'amore. Lei partirà, lui appiccherà un gigantesco incendio.

Critica (1):Latino Bar é un luogo, un crocevia notturno in cui si incontrano uomini e donne, si mescolano solitudini, si balla, si canta, si bevono birre, si vende e si compra sesso. Spazio narrato in cui il tempo non è passato nè il futuro, non la memoria nè l'attesa, ma una saspensione torrida e malata, che sembra confinare con il nulla, in cui l'infelicità non riesce a trovare sbocco nel desiderio. Luogo fisico di una fisicità forte e fumosa, densa e sudata, in cui si compattano mescolandosi, la violenza e la seduzione della notte caraibica. Specchio scuro, nodo al pettine di una realtà e di un malessere che si annidano tutto intorno. Latino bar é perciò anche, luogo "allargato" che trascende i propri confini, é il "dentro" paradigmatico di un "fuori" accennato, suggerito, illuminato per squarci anzichè raccontato. Un dentro e un fuori inineludibile relazione fra loro. Come in Casablanca (saltando per cinematografiche situazioni di stallo, ebar) il Rick's Cafè è cartina di tornasole dell`immensa tragedia" circostante, microcosmo in cui si ripropongono equlibri epocali così tra i tavoli di Latino bar aleggia il fiato pesante della sopraffazione. Senonchè degli avventori di quel cine-mitologico locale, questi sono parenti poveri, corrosi, ubriachi senza storia, progetto speranze. Latino bar è, per ultimo, luogo filmico di precise radicali scelte stilistiche chiassose di musiche e suoni e insieme privo totalmente di parole. Cinema afisico, potrebbe dirsi, più ancora che muto, ostinatamente taciturno nel segno di una fatale, dolorosa impossibilità di comunicazione verbale. Silenzio stilistico e silenzio semantico sembrano essere i due tratti distintivi, tra loro comunicanti, di un film comunque spesso e denso. C'è il silenzio della sottomissione, dell'incapacità di reagire, di organizzare, persino di sognare o amare, un humus negativo, oscillante tra prepotenza e autolesionismo, che impregna tutto Latino bar e che affiora sopra le righe quasi didascalico, nella sequenza in cui un uomo zittisce bruscamente i gemiti di una donna durante l'atto sessuale. C'è qui davvero il silenzio degli innocenti, ma anche quello dei colpevoli, lacerante rappresentazione di rapporti umani, ormai calcificati nell'assurdo, in cui la violenza non ha bisogno di parole e la ribellione non ne trova. L'unico verbo che ascoltiamo è quello di una cerimonia religiosa, la parola rumore di una ritualità già insistentemente richiamata lungo tutto il film, da un articolato sistema di simulacri, icone ed altarini, codice "segnico" del fideismo di devozioni che imprigionano al dio-dio, al dio-denaro ecc...). Restano le canzoni, dissonante colonna delle serate al bar, allegre e velenose di sesso, alcol e oblio. Parlare è impossibile, o inutile, e diventa simbolo di una difficoltà struggente a comunicare, contrappuntata dalla figura di un cieco molto tattile ed olfattivo (ed ugualmente silenzioso), e sviscerata nei contorcimenti di meta-messaggio amoroso della protagonista, nella paura paralizzante di vivere una passione autentica che sarà punto di rottura definitivo e catartico. Ne consegue - dicevamo di silenzio stilistico - un cinema denso di segni ed insieme estraneo ad un recupero forzoso di alcun codice del muto; gli elementi visivi non subiscono un'accentuazione "quantitativa", ma si accrescono, per così dire, nel loro peso specifico. Così se pure all'assenza di dialogo non corrisponde, ad esempio, un uso particolarmente insistito di pri
mi e primissimi piani volti a svelare la "mìcrofisionomia" di uomini e cose, se le espressioni dei volti non sono sempre esasperate nel pathos e scoperti veicoli del "senso", se in definitiva la vicenda "esterna" non viene sacrificata sull'altare di quella "interna" nè, d'altro canto, si respirano suggestioni da cinema "puro", ugualmente Latino bar traduce in campo estetico la sua vocazione al silenzio: intanto- s'è detto - attribuendo valenza drammatica alla musica e a suoni e restituendo valore segnico agli oggetti e semanticità al colore, ma soprattutto attestandosi, con sanguigna e "significante" foga, nei territori di un cinema corporeo che non costituisce esercizio cinefilo di "avanguardistica" gratuità. E fonde invece immagine e senso in un silenzio insieme testardo e coatto, di cui quel finale estremo e iconoclasta vorrebbe forse segnare la fine.
Sandro Mauro, Segno Cinema n. 56 luglio-agosto 1992

Paul Leduc, nato in Messico nel '42, studia architettura e teatro. Scrive di cinema prima di entrare all'IDEC di Parigi. nel '73 realizza il primo lungometraggio, Reed: Mexico insurgente a cui fa seguito, tre anni dopo, uno dei migliori documenti sullo sterminio dei nativi latinoamericani, Etnocidio: notas sobre el Mezquital. Nel '79 gira in Salvador Historias prohibidas de Pulgarcito, mentre con Frida (sulla vita e le opere della pittrice messicana frida Kahlo) ha inizio il periodo della svolta cinematografica, che prosegue con il successivo Barocco.

Critica (2):

Critica (3):

Critica (4):
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