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Perfidia


Regia:Angius Bonifacio

Cast e credits:
Soggetto: Bonifacio Angius; sceneggiatura: Bonifacio Angius, Fabio Bonfanti, Maria Accardi; fotografia: Pau Castejón Úbeda; musiche: Carlo Doneddu; montaggio: Tommaso Gallone, Cristiano Travaglioli (supervisione); scenografia: Luca Noce; costumi: Luisella Pintus; suono: Piero Fancellu; interpreti: Stefano Deffenu (Angelo), Mario Olivieri (Peppino), Noemi Medas (ragazza), Alessandro Gazale (Danilo), Andrea Carboni (Fabio), Domenico Montixi (Domenico); produzione: Francesco Paolo Montini per Movie Factory in associazione con Grazia Porqueddu e Bonifacio Angius-Il Monello Film-Unione Cineasti Indipendenti; distribuzione: Monello Film; origine: Italia, 2013; durata: 103’.

Trama:Angelo è un trentenne perdigiorno immerso nel vuoto di una città di provincia. Non ha un amore, non ha un lavoro, non è felice. Peppino è un padre che non si è mai interessato al figlio. Dopo la morte della moglie, Peppino si accorge di Angelo, suo figlio, si rende conto di non sapere neppure chi sia. Perfidia racconta di un padre e di un figlio abbandonati a loro stessi, che si avvicinano quando ormai è troppo tardi.

Critica (1):In una provincia sarda cupa e disperata, il conflitto padre-figlio al centro del secondo lungometraggio del sassarese Bonifacio Angius è una radiografia dell'Italia e del suo cinema, presi in mezzo tra colpevoli eredità e incapacità di reagire. Un'immagine tanto reale da diventare a tratti insostenibile.
Dal realismo magico di SaGràscia a una Sardegna invernale, cupissima, dominata da toni grigi. Sono lontane le Bellas Mariposas di Mereu, con il loro slancio vitale di fronte alla miseria, la sfrontatezza feroce e solare di chi ancora vuole mangiarsi, malgrado tutto, la vita.
Al secondo lungometraggio, il trentaduenne Bonifacio Angius posa il suo sguardo su Peppino e Angelo, padre e figlio, rimasti soli alla morte della madre "vecchia già a quarant'anni", per questo ammalata. Perché la vita é un imbroglio e per sopravvivere devi stare in questo imbroglio".
E invece Angelo, trentacinque anni, lento e taciturno, sembra vivere lontano da tutto, senza un lavoro, una donna, un progetto, eccetto un vago sogno romano da invidiare all'amico fortunato del baretto che frequenta ogni giorno. Mentre suo padre cerca di capirlo e sistemarlo, all'italiana, con raccomandazioni di amici di amici, inerpicandosi per sentieri impervi che si trasformano in vie crucis disperate, sigillate dalla sequenza al ristorante, col suo sistema di caste, che chiude simbolicamente la prima parte dell'opera, la più bella per coesione e limpidezza.
Ci sono le case in eterna penombra, coi centrini ricamati e le radio perennemente sintonizzate sulle stazioni cristiane. Ci sono i videopoker e le slot machine, i cantieri e gli uffici che non si sa bene a cosa siano preposti. Angelo e Peppino si muovono in questa terra desolata, conducente e passeggero presto destinati a scambiarsi i ruoli. Ma che succede quando tocca al nuovo farsi carico del vecchio? Che succede quando non hai spalle abbastanza forti per sostenere un peso?
È questo tragico e amorevole conflitto padre-figlio a dominare Perfidia. Una lotta tra due universi lontani che si traduce in un radiografia dell'Italia e del suo cinema, presi in mezzo tra eredità colpevoli e incapacità di reagire.
Un'immagine tanto reale da diventare a tratti insostenibile e che Angius porta avanti con grande coraggio e onestà, forse il pregio più grande di Perfidia, opera lontana dagli scandali, che non sembra mai procedere per tesi per porsi invece allo stesso piano, profondamente umano, dei suoi protagonisti.
Un cinema quindi assolutamente vitale, a dispetto dell'aura mortifera che racconta. Capace di viaggiare nella tradizione (quanto ricordano Angelo e Peppino un'altra coppia padre/figlio, quella del monicelliano Borghese piccolo piccolo?) e nel cinema contemporaneo, fra pedinamenti dardenniani e uno sguardo internazionale che si rivela, paradossalmente, quello più diretto e tagliente possibile.
sentieriselvaggi.it

Critica (2):Per avere una fotografia della crisi italiana, non bisogna guardare ai mercati ma alla nostra provincia. È quello che fanno film come Perfidia, piccoli progetti coltivati fuori dai soliti recinti produttivi e avulsi da logiche cristallizzate in un'immagine del Paese certamente più appetibile, ma edulcorata e consolatoria.
Ambientato a Sassari e interpretato da un gruppo di attori locali, Perfidia racconta il cul-de-sac di una generazione, quella dei trentenni a cui lo stesso Angius appartiene: il protagonista, Angelo (perfetto Stefano Deffenu) è un classe '78, non ha un lavoro né desiderio di cercarsene uno. Che lavoro poi? Orfano di madre, vive col padre (l'ottimo Mario Olivieri), un uomo all'antica convinto ancora che bastino conoscenze o frequentazioni politiche ad assicurare un futuro al figlio. Quest'ultimo asseconda il padre più per apatia che per convinzione, continuando a dividersi tra il proprio letto e uno squallido bar, ritrovo di amici non più giovani e già abbondantemente falliti come lui. Poi però si invaghisce di una studentessa mentre il padre ha un malore. Nella vita-non vita di Angelo potrebbe esserci una svolta.
Il 32enne Bonifacio Angius, che si era messo in luce tre anni fa con il mediometraggio saGràscia (Premio della Giuria al Religion Today Film Festival 2011), debutta stavolta nel lungometraggio con un'opera già presentata a Locarno – dove ha vinto il Premio Giuria Giovani – e ad Annecy Cinema Italien - Menzione Speciale della Giuria.
Perfidia gronda angoscia dall’inizio alla fine, immerso in “parole vuote ma doppiate”, interazioni non dialogiche, ambienti ocra e senza palpiti e nella luce spettrale di un sole al neon (la fotografia è di Pau Castejon Ubeda).
Un film mefitico, visivamente disadorno, volutamente sfilacciato e iterativo, con un paio di momenti onirici niente male e improvvise iniezioni di ironia qua e là. Dichiarati i debiti con il cinema del disagio, a partire dal Taxi Driver scorsesiano, da cui mutua situazioni e dinamiche psicologiche del personaggio, come nell'attenzione malsana che Angelo mostra per l'amico "normale" – l'unico con una moglie, un lavoro e una bella macchina – e nelle difficoltà relazionali evidenziate con la giovane donna di cui s'invaghisce (cui chiede di sposarlo al primo appuntamento, mostrando un'inadeguatezza simile a quella di Travis/De Niro quando porta la sua Betsy a un cinema a luci rosse).
A differenza di Travis, Angelo però ha uno sguardo più neutro, senza profondità, è una specie di mite sociopatico, incapace di una qualsivoglia forma di eversione che non sia anche un patologico distacco dalla realtà. Perciò ogni paragone con I pugni in tasca di Bellocchio non ha alcun senso (e il regista stesso lo rifiuta): i tempi sono cambiati, il ribellismo di allora è oggi malessere senza forma né contenuto.
Gianluca Arnone, cinematografo.it

Critica (3):

Critica (4):
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